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Educazione alla fede e contesti di vita

Relazione di Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo di Bari-Bitonto per il Convegno nazionale dei Direttori degli Uffici di Pastorale Sociale. Bari, Hotel Parco dei Principi, 25 ottobre 2012

mons-cacucci.jpgNella relazione mi limiterei ad una prospettiva di fondo o di base, destinata a dare il quadro del rapporto “educazione alla fede e alcuni contesti di vita”. Una riflessione quindi di carattere teologico–pastorale.

 

1. EDUCARE

 

Partirei da un chiarimento iniziale. Negli ultimi anni la CEI sta utilizzando il termine “educazione” in ambito pastorale. I guadagni in prospettiva missionaria sono notevoli. Purché si superi un’incertezza di significato. I due termini “educare” ed “evangelizzare” non sono equivalenti, pur essendo contigui e richiamandosi a vicenda.

Va recuperato il senso profondo dell’espressione “evangelizzare educando, educare evangelizzando” (Direttorio Generale della Catechesi, 147).

L’evangelizzazione educa, nel senso che indica finalità antropologiche al processo formativo. L’educazione evangelizza, nel senso che l’impianto educativo permette l’apertura al Vangelo.

La formazione va compresa quindi dentro l’intera questione antropologica, tenendo conto anche del contesto socio culturale.

 

Il progetto di vita, luogo del processo educativo

L’intero processo pedagogico deve trovare un punto di sintesi e può essere individuato nella elaborazione di un personale progetto di vita[1].

Questo comporta un tradere, un recipere e un reddere. Nel linguaggio ecclesiale, l’intero processo può essere riportato all’evangelizzazione, al catecumenato e alla mistagogia.

È indubbio che questi processi sono stati inficiati ed indeboliti dalla situazione culturale contemporanea[2]. Questa analisi è presente anche negli Orientamenti pastorali della Chiesa italiana:

Educare alla vita buona del vangelo, che al n. 9 afferma:

«Considerando le trasformazioni avvenute nella società, alcuni aspetti, rilevanti dal punto di vista antropologico, influiscono in modo particolare sul processo educativo: l’eclissi del senso di Dio e l’offuscarsi della dimensione dell’interiorità, l’incerta formazione della identità personale in un contesto plurale e frammentato, le difficoltà di dialogo tra le generazioni, la separazione tra l’intelligenza ed affettività…

 Siamo così condotti alle radici della “emergenza educativa”, il cui punto cruciale sta nel superamento di quella falsa idea di autonomia che induce l’uomo a concepirsi come un “io” completo in se stesso, laddove, invece, egli diventa “io” nella relazione con il “tu” e con il “noi” ».

 

Il discernimento pastorale è d’obbligo.

 

Educazione via alla missione

Da sempre la Chiesa ha utilizzato diverse forme pedagogiche. Essa stessa ha svolto una funzione di paideia e possiede una notevole tradizione di itinerari educativi.

Oggi la Chiesa si trova a dover gestire non tanto la trasmissione del messaggio, quanto la “persuasione”.

È stato Benedetto XVI a dare avvio in Italia al passaggio da una pastorale della comunicazione ed iniziazione ad una pastorale della educazione o pastorale come educazione. Con coraggio egli, all’inizio della sua Lettera alla Diocesi e alla Città di Roma sul compito dell’Educazione (21 gennaio 2008), afferma:

«Educare però non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita».

 

2. EDUCARE GLI ADULTI ALLA FEDE

 

La complessità dell’esperienza di fede

L’atto di fede viene inteso come atto umano che si realizza nella globalità della persona e attraverso l’insieme delle sue dimensioni. È intelligenza, affettività e azione. Si riprendono così le indicazioni di San Tommaso D’Aquino (Summa Theologica II – II, q. 2, a. 2), già formulate dai Padri della Chiesa. Viene inoltre inteso insieme come comprensione, obbedienza ed esperienza (concepita sia come relazione personale con Dio-Trinità sia come realizzazione nella vita quotidiana).

Questa impostazione, riconosciuta dal Vaticano II (Dei Verbum, 5), è alla base di ogni proposta missionaria post-conciliare.

Recentemente, su indicazione di Benedetto XVI, alcuni hanno voluto riassumere il compito dell’educazione alla fede come costruzione dell’incontro con Cristo[3].

Anche la CEI ha assunto questa indicazione come orizzonte della sua missione catechistica e di Nuova Evangelizzazione[4]. Tra le finalità e i compiti della catechesi, il recente Annuncio e Catechesi, al n. 17, recupera l’espressione “educare alla mentalità di fede” già propria del Documento Base del 1970.

 

La complessità del compito missionario: dal tradere al recipere

Il Vaticano II ha recuperato le fonti principali per dire la fede: la Scrittura, la Liturgia, la Tradizione, il Magistero. La catechesi italiana ha riconosciuto anche l’importanza dell’antropologia e della storia, perché la rivelazione avviene nella storia e vuole realizzare una storia di salvezza (cfr. DV, 2).

Tuttavia le ultime stagioni ecclesiali invitano a riflettere sui linguaggi più adatti per dire il messaggio della fede. Benedetto XVI ha proposto il rapporto tra rivelazione e liturgia o lettura liturgica della rivelazione[5], da realizzarsi nella Lettura orante della Sacra Scrittura, mentre affida alla catechesi il compito di spiegare la dottrina e la tradizione. In modo particolare sollecita l’uso del Catechismo della Chiesa Cattolica per affermare la ricchezza della tradizione ecclesiale.

 

Il recupero della pedagogia catecumenale

Nel post-concilio si è affermata la necessità di rivedere i processi di Iniziazione Cristiana e di ispirare ad essa l’intera offerta formativa. Per questa scelta ha influito in modo particolare l’Ad Gentes (n. 14), che ha ispirato il successivo Rito per l’Inizazione cristiana degli Adulti, del 1978 (RICA), che costituisce la forma tipica di ogni itinerario di fede, che ispira una pastorale a livello di adulti che sia davvero innovativa, ma che è ancora da ricercare e verificare. Infatti permane una insufficiente comprensione antropologica-culturale dei “nuovi venuti” e dei cosiddetti “ricomincianti”.

Dovremmo, tra l’altro, chiederci: come la domanda relativa al «ritorno al sacro» diffusa, oggi, specie tra gli adulti, ci interpella al di là della contrapposizione, propria della teologia dialettica, tra fede e religione? Come è possibile una inclusione di questi due termini? Si tratta di osare una sorta di riflessione nella quale l’elemento religioso e la domanda religiosa risultino significativi per l’educazione alla fede e l’evangelizzazione stessa.[6]

La formazione a una vita di fede adulta comporta un intervento non solo settoriale (intinerari e incontri), ma una vera e rinnovata progettualità pastorale che realizzi cinque grandi percorsi: per chi chiede il battesimo in età adulta; per la nuova evangelizzazione; per una vera e adeguata mistagogia o sequela Christi; per abilitare gli adulti e le comunità a sviluppare la dimensione profetica; e da ultimo per la crescita di fede degli operatori pastorali[7].

 

La mistagogia modello per la crescita e maturità di fede

«Il cammino di fede - soleva dire Mons. Mariano Magrassi - non è solo apertura dell’intelligenza a Cristo, ma è ingresso progressivo nel mistero della salvezza»[8].

Il momento formativo mistagogico certamente ha delle responsabilità verso il primo annuncio, la Nuova Evangelizzazione e l’Iniziazione crisitana, ma il suo compito sarà proprio quello di sviluppare negli adulti la capacità di vivere la fede cristiana. È questo il pensiero del Direttorio Generale per la Catechesi fin dal 1971.

La mistagogia, quindi, va intesa non solo come comprensione dell’esperienza liturgica, ma come cifra pastorale globale, che unisce Parola, celebrazione, vita[9].

A questa unità dei linguaggi (dimensioni) della fede si deve unire la percezione preziosa che la mistagogia si manifesta come itinerario formativo in una duplice forma: la mistagogia come esperienza liturgica sacramentale del mistero e l’esperienza esistenziale vitale dello stesso[10].

La mistagogia è la pedagogia Chiesa madre; ma ha bisogno essa stessa di una pedagogia all’interno della questione antropologica.

 

3. EDUCARE GLI ADULTI A VIVERE LA FEDE NEGLI AMBIENTI DI VITA E AD EVANGELIZZARE GLI AMBIENTI DI VITA.

 

Con Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia nella Chiesa italiana ha preso avvio una terza fase del suo cammino post-conciliare, nella quale l’antropologia torna ad essere oggetto di riflessione. Questa “cultura” ha ispirato e generato il Convegno di Verona.

Affermava D. M. Chenu che il Vangelo viaggia nel tempo e che la vita quotidiana è il luogo dell’incarnazione dell’evento salvifico. È quanto ha raccolto l’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI con l’espressione “salvezza integrale” (c. III).

 

Il senso del rapporto

Il rapporto tra educazione, fede e ambiti di vita si stabilisce a due livelli.

In primo luogo gli ambiti di vita manifestano le dimensioni della pratica o esercizio della vita cristiana e costituiscono una risposta al senso integrale della salvezza. Essi descrivono la vita cristiana in atto; sono esercizio o testimonianza cristiana. Manifestano cioè il senso del Mistero Pasquale. Come grida (di gioia) il Prefazio I per annum: “Mirabile è l’opera da lui compiuta nel mistero pasquale: egli ci ha fatti passare dalla schiavitù del peccato e della morte alla gloria di proclamarci stirpe eletta, regale sacedozio, gente santa, popolo di sua conquista, per annunziare al mondo la tua potenza, o Padre, che dalle tenebre ci hai chiamati allo splendore della tua luce”; o come afferma a complemento il Prefazio IX comune “Tu lo chiami [l’uomo] a cooperare con il lavoro quotidiano al progetto della creazione e gli doni il tuo Spirito, perché in Cristo, uomo nuovo, diventi artefice di giustizia e di pace”.

In secondo luogo gli ambiti di vita diventano ponte comunicativo per rendere significativa la proposta di fede (la speranza che deriva dall’annuncio pasquale) e la crescita nella vita cristiana. Vedendo le conseguenze (le opere) della fede, si comprende il mistero della fede. Abbiamo qui una applicazione della teologia pastorale di Giovanni 20, 30-31 “Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo abbiate la vita nel suo nome”.

 

 La fede orizzonte/via dell’educazione

La fede nella sua accezione più ampia interagisce con la vita quotidiana. E rimanda alle due azioni proprie della missione ecclesiale: l’evangelizzazione e la formazione.

Circa la dimensione evangelizzatrice la fede si rapporta alla vita quotidiana come proposta di vita anche culturale. Indica un modo di vivere le dimensioni della vita. In questo senso si può dire che esista un Vangelo del matrimonio, della fragilità, del lavoro, della festa, etc. Ancora in questa prospettiva la fede agisce come esercizio profetico o come ermeneutica dei processi culturali in atto. La evangelizzazione diviene qui a volte profezia, a volte dialogo interculturale.

La fede è inoltre contenuto di una proposta e agenzia formativa. In questo contesto essa è innanzitutto luogo educativo (comunità educante). La quotidianità vissuta con lo spirito del Vangelo è infatti una cultura ovvero un modo di vivere che diviene contenuto e meta di processi formativi. L’iniziato attraverso la mistagogia viene formato a vivere nel quotidiano le pratiche del Vangelo. Coloro che vivono la fede si presentano ai catecumeni o post-cristiani “risvegliati” come un grembo che fa vedere e nutre il seme della fede loro innestato dallo Spirito. Proprio per questo la fede diviene per loro risorsa (Grazia) per il cammino di accoglienza e di risposta (la fede educata dai sacramenti).

 

Obiettivi missionari

Le considerazioni fin qui concepite permettono di definire meglio gli obiettivi generali da perseguire nel denso rapporto tra evangelizzzazione e famiglia, lavoro, festa e la loro mediazione educativa.

Mi soffermerò in particolare sul rapporto tra educazione alla fede e festa, anche perché il Congresso Eucaristico Nazionale, svoltosi a Bari dal 21 al 29 maggio 2005, ha permesso a me e alla Chiesa di Bari-Bitonto di riscoprire e difendere il significato religioso, ed insieme antropologico, culturale e sociale della domenica, giorno del Signore, della Chiesa, dell’uomo.

L’interazione tra azione messianica, Mistero Pasquale, ad esercizio della vita cristiana fa sì che dalla domenica «parta un’onda di carità, destinata a espandersi in tutta la vita dei fedeli, iniziando ad assicurare il modo stesso di vivere il resto della domenica» (Dies Domini, 72).

 

Così si potranno perseguire alcuni obiettivi missionari: difendere, rafforzare, abilitare, evangelizzare.

 

a) «Senza la domenica non possiamo vivere»: così i 49 martiri di Abitene, un piccolo villaggio nell’attuale Tunisia, difendono, attraverso Emerito, davanti al proconsole l’esigenza di vivere la domenica.

Oggi rischia di smarrirsi il senso profondo della festa. Quanto più prolifica diventa l’industria del divertimento, tanto più oggi l’uomo sembra non sapere più «il perchè» e «il per chi» festeggiare. Timothy Radcliffe “difende” il giorno del Signore, mostrando la differenza tra il mondo dello show business dei centri destinati all’intrattenimento e il tempo del riposo nel Signore, che non è solo un tempo di astensione dal lavoro, ma un tempo per aprire gli occhi, per guardare i nostri amici, le nostre famiglie, per guardare gli altri.

Dice un’antica orazione pasquale: «Toglici il velo dagli occhi, donaci la tua fiducia, non lasciarci nella vergogna e nell’imbarazzo, non lasciarci nel nostro disprezzo».

Il nostro riposo domenicale lo difendiamo per vedere ad essere visti.[11]

 

b) Rafforzare. La pastorale metterà in campo quanto possiede per “rendere idonei i fratelli a compiere il ministero” (Ef 4,12). Questo comporta una serie di azioni pastorali di guarigione, di solidarietà e di compromissione. Come diceva sant’Ambrogio:

«Il sesto giorno è giunto a compimento; l’opera tutta del mondo si è conclusa. L’umanità è stata creata, l’umanità che governa ogni essere vivente, l’umanità che riassume in sé l’intero universo, l’umanità che è la gioia di ogni creatura del mondo. Certamente è giunto il momento di dare il nostro contributo di silenzio, perché ora Dio riposa dal suo lavoro di creazione del mondo. Egli ha trovato riposo nei luoghi più profondi dell’umanità, poiché egli ha creato l’uomo col potere della ragione, ha creato l’uomo per imitare se stesso, perché si sforzi di conseguire la virtù, per godere della grazia del paradiso. Dio trova conforto qui, come testimonia egli stesso quanto dice: “in chi troverò riposo, se non nell’umile e nell’uomo di pace e in chi teme la mia parola?”. Ringrazio il Signore nostro Dio per aver compiuto un’opera tale da poter trovare riposo in essa. Ha fatto i cieli, ma non ho letto che dopo abbia riposato. Ha fatto la terra, ma non ho letto che dopo abbia riposato. Ha fatto il sole, la luna e le stelle, ma non leggo che abbia trovato riposo in essi.  Questo è ciò che leggo: egli creò l’uomo, e poi trovò riposo in colui i cui peccati avrebbe potuto perdonare».

 

c) Abilitare dice che la pastorale dovrà orientare verso esperienze davvero formative. Perché ci sia un vero coivolgimento e una reale e profonda partecipazione, perché il clima festoso sostenuto dai canti e dai gesti sia autentico e non artificiale, è necessario arrivare alla celebrazione preparati e motivati. Molto difficilmente si potrà recuperare la centralità della domenica nella vita della parrocchia, se non si avranno dei momenti strutturali in cui giovani, adulti e anziani si ritrovino insieme non solo per prepararsi alla celebrazione eucaristica domenicale, ma anche per essere da essa «provocati», così che tutta la vita e l’agire pastorale della comunità siano da essa interpellati, illuminati e sostenuti. Può un incontro settimanale della comunità, costituire l’antidoto alla frammentazione pastorale?

 

d) Evangelizzare significa preoccuparsi di rendere viva la prosposta. E questo fa della domenica un giorno di gioia e di speranza. Il carattere di festa non è accessorio ma essenziale alla liturgia domenicale, memoriale di gioia e di speranza, perché al centro c’è sempre il Cristo Risorto.

La gioia e la speranza trasformano la domenica in giorno della missione. La celebrazione eucaristica domenicale non può esaurirsi dentro le nostre chiese, ma esige di trasformarsi in impegno di testimonianza a servizio della carità. A volte sarà il dono di una parola, di una visita, di un sorriso a far sperimentare a chi è solo che anche per lui è domenica.

I credenti in situazione sono chiamati ad esprimere nel profondo contesto di vita la proposta che hanno vissuto[12].

Il mondo del nuovo capitalismo, con i suoi giochi e i suoi svaghi, sembra essere una pallida imitazione del giorno di riposo cristiano. La Sapienza danzava davanti a Dio quando creò il mondo. Dio ci ha fatti per giocare con lui: homo ludens. Quanto avremmo bisogno di ricominciare a giocare e far giocare i nostri bambini e i nostri ragazzi di domenica! Alla gioia del gioco si è sostituita per i nostri ragazzi la realtà virtuale della playstation! Come cristiani dovremmo mostrarci giocosi, ludici, se vogliamo conquistare la fiducia del nuovo uomo post-globalizzato. Occorre mostrargli che il giorno della festa del cristiano è un’attività molto più ricreante di qualsiasi gioco al computer.

 

+ Francesco Cacucci

Arcivescovo di Bari-Bitonto

 



[1] Cfr. l. meddi, Educazione, pastorale e catechesi/3. Catechesi e persona in prospettiva educativa, in «Catechesi», 2011-2012, 81, 3. 3-13.

[2] Z. Bauman, Intervista sulla identità, Laterza, Roma-Bari, 2003; Id., Vita liquida, Laterza Roma- Bari 2006; U. Galimberti, L’ospite inquietante. Il Nichilismo e i giovani,  Feltrinelli, Milano 2007; Id., I miti del nostro tempo,  Feltrinelli, Milano 2009.

[3] “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”, (Deus caritas est, 1). Cfr. anche D. W. Wuel, Relatio ante disceptationem del Relatore Generale, S. E. R. Card. Donald William Wuel, Arcivescovo di Washington (USA), Vatican. Va, 2012, 8 ottobre, nn. 1. 4.

[4] Cfr. M. Semeraro, Introdurre e accompagnare all’incontro con Cristo nella comunità ecclesiale: Soggetti e metodi dell’educazione alla fede. Intervento alla 63ª Assemblea Generale della Conferenza Episcolale Italiana. Roma, 23-27 maggio 2011, n. 3-4.7; cfr. anche A. Scola, Contesto di ogni educazione alla e della fede, in «Chi è la Chiesa? Una chiave antropologica e sacramentale per l’ecclesiologia», Brescia 2005, p. 256.

[5] Liturgia luogo privilegiato della parola di Dio; cfr. Benedetto XVI, Verbum Domini, Esortazione apostolica postsinodale, 2010, 30 settembre, Parte Seconda, nn. 52-57.

[6] Cfr. F. Cacucci, Globalizzazione e Tradizione. Riflessioni a carattere pastorale e culturale, in S. Distaso (a cura di), La California possibile, Palomar, Bari 2001, pp. 229-237.

[7] Cfr. L. Meddi, Ridire la fede in Parrocchia. Percorsi di evangelizzazione e di formazione, EDB, Bologna 2010.

[8] Cfr. M. Magrassi, L’urgenza dell’ora: evangelizzare tutti, in Magistero episcopale, La Scala, Noci 1988, p. 151.

[9] Cfr. F. Cacucci, La mistagogia. Una scelta pastorale, EDB, Bologna 2006.

[10] Cfr. V. Angiuli, Educazione come mistagogia. Un orientamento pedagogico nella prospettiva del Concilio Vaticano II, Centro Liturgico Vincenziano, Roma 2010, pp. 117-122.

[11] Cfr. T. Radcliffe, Riposando nel Signore, in L’anima della Domenica, EDB Bologna 2005, pp. 65-82.

[12] Cfr. AA.VV. Il tempo della festa. Dieci voci per riscoprire la domenica, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2005.