Arcivescovo

S.E. Giuseppe

Satriano

IN AGENDA

Ero straniero e mi avete accolto

Il 20 giugno di sessant’anni fa veniva istituito lo status di “rifugiato” per le vittime di guerre, persecuzioni, disastri Da allora cinquanta milioni di persone hanno trovato asilo Alla vigilia della Giornata mondiale, dai prigionieri dei campi nazisti ai “clandestini” di Lampedusa, le foto dell’archivio Acnur sono il ritratto di un’umanità in fuga

giornata_mondiale_del_rifugiato_2011.jpgQqquando toccò a lui compilare il documento di ingresso negli Stati Uniti, Albert Einstein rispose alla domanda: Razza, scrivendo: Umana. L’aneddoto famoso è ancora e ancora citato perché la terra non smette di essere attraversata da creature di razza umana cacciate dalle guerre, dai pregiudizi, dalla cattiveria e la stupidità dei loro simili e dalle catastrofi capricciose della natura. Diventa sempre più difficile, del resto, separare i disastri di mano umana da quelli naturali, e il numero crescente di profughi per effetto del cambiamento climatico è una misura da opporre a chi non vuole riconoscerlo.

All’indomani della Prima Guerra, la Società delle Nazioni nominò il norvegese Fridtjøf Nansen, scienziato, esploratore e diplomatico, Alto commissario per l’assistenza ai milioni di profughi dalla Russia diventata sovietica e agli armeni scampati al genocidio turco. Nansen ideò, e fece riconoscere da un numero crescente di Stati, uno speciale passaporto che prese il suo nome, Passaporto Nansen, e ridiede un’identità a centinaia di migliaia di apolidi, compreso quel Vladimir Nabokov che lo ribattezzò con un’amara ironia «Passaporto Nonsense». All’indomani della Seconda Guerra altri milioni di profughi attraversavano l’Europa e il resto del mondo. Lo status dei rifugiati fu definito dalla Convenzione di Ginevra del 1951. Da allora, esattamente sessant’anni fa, le Nazioni Unite hanno un’organizzazione che si occupa dei rifugiati e poi degli sfollati di guerre persecuzioni e disastri naturali, l’Unhcr (o Acnur, Alto commissariato per i rifugiati). Ai rifugiati è dedicata una giornata mondiale, il 20 giugno di ogni anno. L’Unhcr valuta di aver assistito, da allora, oltre cinquanta milioni di persone, e di assisterne oggi poco meno di trenta milioni.

I nomi coi quali vengono designate, dai più nobili ai più oltraggiosi, segnano una specie di scala Mercalli della sofferenza: esuli, profughi, rifugiati, apolidi, asilanti, displaced persons — spostati, gente senza luogo — sfollati e infine, il neologismo più sbrigativo, clandestini. Passeggeri non autorizzati e non paganti a bordo di una nave riservata e infastidita.

Il soccorso ai rifugiati si scontra ora con un amaro paradosso. Si lamentava che troppo spesso i migranti “economici” (formula scadente, perché è di un’altra vita che vanno in cerca) usurpassero il titolo di rifugiati.

Ma oggi è l’avversione incattivita contro i migranti a coinvolgere sempre più chi ha diritto alla protezione internazionale. È di ieri — esca da vigilia di Pontida — l’annuncio che il tempo di detenzione nei Cie di persone che non hanno commesso alcun reato e sono arrivate irregolarmente nei nostri confini sarà prolungato dai sei mesi attuali, durata già feroce, a un anno e mezzo.

È una corrente, quella dei profughi, che non si interrompe mai. Oggi è l’altra faccia della primavera araba — dalla Libia alla Tunisia e all’Egitto, dalla Siria alla Turchia e all’Iran, dallo Yemen ai paesi d’origine, decine di migliaia. Milioni, dall’Afghanistan in Pakistan e in Iran, o nel cuore dell’Africa. Campi provvisori che diventano eterni, per i Saharawi del Sahara occidentale, nella Giordania e nel Libano dei palestinesi, nel Bangladesh (dieci milioni di profughi bengali riversati in India nel solo 1971). Oppure storie individuali, dissidenti politici, discriminati per la loro scelta sessuale, perseguitati per la loro fede. Persone in fuga, private delle loro radici — lingua, casa, famiglia, amici — fino a dover confessare  a se stessi: Io non so chi sono io, Io non sono nessuno. Guardate i loro ritratti, e provate a leggere l’odissea senza gloria di cui sono la risacca.

Nello sguardo di una bambina di Srebrenica, di una donna etiope fuggita in Sudan che solleva un telo per nostalgia di una casa, di Moise Chagall, da Vitebsk, «detto Marc Chagaloff, artista pittore» — profugo in Francia, in Spagna, in Portogallo, negli Stati Uniti... E poi nello sguardo di persone incrociate nelle nostre strade, che si riempiono di stranieri poveri o banditi, e non li vogliono.

Il giorno del rifugiato si celebra a Roma, alla presenza di Giorgio Napolitano e dell’Alto commissario Antonio Guterres, mentre continua la lunga notte del Canale di Sicilia e del Mediterraneo intero. Fortress Europe calcola a sedicimila i morti nella traversata dal 1988 a oggi.

Uno su dieci di quanti si imbarcano alla volta delle coste italiane è destinato a perdere la vita. La notte dei respingimenti, indifferenti al fatto che una parte ingente dei pellegrini del mare cerca asilo e ha diritto a riceverlo, e almeno deve poterlo chiedere prima d’essere cacciato in un fondo d’acqua o di sabbia.

Si sono così respinti in Libia rifugiati del Darfur, etiopi, eritrei, somali. Molti di loro sono minori. È illegale, oltre che ignobile, respingere persone verso luoghi in cui la loro vita è messa a rischio. Sono illegali e infami i respingimenti all’ingrosso, che non passino per l’esame della condizione personale di ciascuno. Adesso, il ministero italiano dichiara che, venuta meno la collaborazione con Gheddafi, si può ricorrere alle nostre navi da guerra per chiudere il passo alle carrette del mare.

Eppure l’anno scorso l’Italia ha accolto meno di settemila richieste di asilo, contro le quarantamila di Germania e Francia, le trentamila della Svezia, le ventimila del Belgio. Quanto alle cifre assolute, i rifugiati erano circa cinquantamila in Italia, seicentomila in Germania, trecentomila nel Regno Unito.

Adriano Sofri

© La Domenica di Repubblica, 19 giugno 2011

Prossimi eventi