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Eucarestia e storia di una nazione

XXV Congresso Eucaristico Nazionale. Relazione di Andrea Riccardi. 3 settembre 2011

8b1280mov-karlspreis-andrea-riccardi001.jpgQuale religione per la nazione unita
Si celebra il XXV congresso nazionale eucaristico nei 150 anni dell’Unità: Eucaristia e storia di una nazione. Ma che relazione tra loro? L’Eucarestia è realtà intima della Chiesa. L’Italia dei 150 anni è invece una vicenda storico-politica. Metterle insieme non é una forzatura? Soprattutto perché lo Stato italiano nasce all’insegna della laicità, contrapposto al papato, con una politica di laicizzazione della società, attuata da leggi che riducono drasticamente la presenza della Chiesa. Non fu il rito cattolico a battezzare lo Stato, anche se lo Statuto del Regno dichiarava il cattolicesimo religione ufficiale. Re “per grazia di Dio e volontà della nazione”, il sovrano non era consacrato liturgicamente dall’incoronazione.

Da due secoli si poneva tra i ceti colti la domanda se il cattolicesimo fosse un ostacolo per lo sviluppo di un’Italia unita e moderna. Già sentenziava Machiavelli: “Abbiamo adunque, con la Chiesa e con i preti noi italiani questo primo obbligo di esser divantati sanza religione e cattivi”. Egli imputava alla Chiesa di impedire l’unità e di sviluppare la passività di fronte alla storia. La quale avrebbe determinato carenze d’identità nazionale, di spirito imprenditoriale (come nei paesi protestanti, prima di Max Weber) . Un esempio era l’oziosità della vita conventuale.

Ci voleva una religione buona per l’Italia. Ma quale? È domanda che attraversa l’Ottocento. Per Giacomo Durando, nel 1846, nazione e cattolicesimo sono inconciliabili. Per i liberali toscani -Capponi, Lambruschini, Guicciardini (divenuto protestante) - occorre riformare in profondità il cattolicesimo. Del resto il movimento evangelico si presentò come un cristianesimo alternativo, amico della libertà e ostile alla Chiesa di Roma. Dopo Porta Pia, arrivò a Roma al seguito del regio esercito un carrettino pieno di Bibbie protestanti, come inizio dell’evangelizzazione d’una città considerata paganeggiante .

Si voleva una nuova religione, magari su innesto cristiano, separando però Cristo dalla Chiesa. Lo pensava Mazzini: “noi, società sotto l’impero del Cattolicesimo, non possiamo saltar d’un balzo al di là del Cristianesimo, e predicare il Deismo puro, ch’è la mia religione”. Garibaldi, condottiero e pedagogo nazionale, era affascinato dal Nouveau Christianisme di Saint Simon. Nel 1867, al congresso di Ginevra per la pace, presentò una mozione per istaurare la “religione di Dio”, amica di verità e ragione contro la tirannide dei papi. Ci voleva un’educazione civile –lo dicono in tanti- che facesse del dovere verso l’Italia una religione. È il messaggio di Cuore di De Amicis (1886). Bisogna creare un senso religioso della nazione o una religione e una religiosità della nazione.

Non lo fu il protestantesimo. Fallirono i tentativi di una Chiesa nazionale sul modello dei vecchi cattolici staccatisi da Roma dopo il Vaticano I. Qualche forma di ritualità si ritrova in ambiente laico-repubblicano attorno alla figura di Garibaldi. Ma soprattutto i riti e le obbedienze massoniche divengono il riferimento di una borghesia liberale e anticlericale. Più tardi il socialismo promuove una religione dell’emancipazione, non della nazione: “noi socialisti –predicava Prampolini in Emilia- siamo più cristiani di voi…”. Il movimento comunista (nel secondo dopoguerra) comunica un senso religioso della liberazione. E’ quello che Henri de Lubac chiama il “dramma dell’umanesimo ateo” : una religiosità politica.

Religione del popolo 
Negli anni tra il 1861 e il fascismo, più saggio apparve ai governanti riconoscere il cattolicesimo come religione degli italiani, ma ridurne lo spazio sociale, comprimendolo nel culto, quasi fosse una cappellania della società. Il cattolicesimo segnava tradizionalmente l’orizzonte quotidiano degli italiani, che accorrevano i massa ai riti della Chiesa. Era un grande fattore di italianità. Manzoni lo aveva detto nel Marzo 1821 (pubblicato nel 1848): la gente italiana é “una d’arme, di lingua, d’altare,/di memorie, di sangue e di cor”. Non c’era unità di sangue né d’arme. L’Italia non era “una” linguisticamente. All’Unità, 600.000 parlavano italiano su 25 milioni. Ne seguì l’unificazione linguistica con il gran ruolo dell’istruzione elementare obbligatoria. Parrocchia, scuola e carabinieri sono tre presenze sul territorio. Dopo il 1861 tanti sentivano di appartenere a un ambiente locale, non all’Italia: una heimat tra le cento città e i diecimila campanili. Il cattolicesimo (l’altare per Manzoni) invece univa tutti.

La Chiesa sentiva la nazione italiana ben prima dell’Unità politica. Nel corridoio delle carte geografiche, in Vaticano, alla fine del ‘500, si raffigura l’Italia moderna come una nazione . Nella loggia di Pio IV l’Italia è esaltata come regina del  cristianesimo. Italia sacra di Ferdinando Ughelli, nel XVII secolo, delinea uno spazio nazionale di santità, censendo i santi della penisola. Tra XIX e XX secolo, nonostante la politica anticlericale, il cattolicesimo è consapevole di rappresentare il popolo e la società nazionale, insomma il paese reale ben diverso da quello legale della classe dirigente. Il popolo cattolico é divenuto più devoto al papa, sensibile ai drammi di Pio IX, esule a Gaeta e chiuso in Vaticano. Finisce il giurisdizionalismo degli Stati preunitari e i vescovi divengono tutti filoromani. Si dimentica troppo nelle ricostruzioni storiche come  il cattolicesimo si ristrutturi nell’Ottocento attorno al papa con l’Opera dei Congressi, il movimento cattolico, nuove congregazioni religiose da Nord a Sud. I tentativi di conciliazione tra l’Unità e la Chiesa –si pensi a Gioberti e Rosmini- sono travolti: i cattolici sono estranei alla politica dello Stato unitario, al paese legale.

L’Unità non fu la fine del mondo, ma tale sembrò a molti cattolici: il crollo del potere temporale, antico di un millennio, la chiusura di monasteri e chiese, la secolarizzazione del vivere collettivo. Nel 1862, negli ex Stati pontifici, nell’umbra Montefalco, avviene il miracolo della Madonna della Stella che appare a un bambino : è l’Auxilium christianorum, che colpisce don Bosco che le dedica la sua grande chiesa a Torino. Scrive sull’apparizione l’arcivescovo di Spoleto, Arnaldi (arrestato per opposizione al governo): “conforto in mezzo alle amarezze dei tristi tempi in cui viviamo” . Sul finire degli anni Settanta, nella valle di Pompei, tra rovine e miseria, Bartolo Longo edifica il santuario della Madonna del Rosario: reale e simbolica nuova città  in hac lacrimarum valle. “Gli altri figli hanno spogliato il papa, tu devi vestirlo” – gli dice Ludovico da Casoria . Lontano dall’attivismo del movimento cattolico settentrionale, Longo lavora a far risorgere il senso della presenza di Dio. Gli dice il ministro Ruggiero Bonghi: “mentre tutti in Italia tacevano voi avete avuto il coraggio di parlare di miracoli, di soprannaturale e di fede. Questo è stato il vostro grande segreto. Perciò il mondo vi ha seguito”. 

La Chiesa non rivendica solo la terra perduta dei papi. Ben di più parla di soprannaturale e fede. Al II congresso eucaristico di Torino (1894), città del Risorgimento, si dice: “Queste feste della fede in cui non si parla affatto di dominio temporale, hanno fatto gridare non poco i liberali… I liberali, in massima parte, si oppongono ai cattolici, non per un palmo di terra che è Roma, ma assai più per la dottrina…” . È stata scritta la storia del movimento cattolico ottocentesco. Resta, in larga parte, da scrivere quella del sentimento religioso in un tempo che sembra la fine del mondo: storia di santuari e devozioni, ma anche della domenica e dell’imponente rete delle parrocchie di un’Italia in buona parte rurale. La liturgia è il cuore del vivere del popolo, nonostante i riti civili come le parate. Il popolo vi sente una presenza altra nella storia: un destino diverso dalla politica. Romano Guardini, nel 1929, anno della Conciliazione, visita il Duomo di Monreale durante la Settimana Santa e nota:
“La condotta del popolo era allo stesso tempo disinvolta e devota, e quando uno parlava al vicino, non disturbava. In questo modo la sacra cerimonia continuò il suo corso; si dislocava un po’ in tutta la chiesa… La cosa più bella era il popolo. Le donne con i loro fazzoletti, gli uomini con le loro coperte sulle spalle… Quasi nessuno che leggeva, quasi nessuno chino a pregare da solo. Tutti guardavano. Ci sono modi diversi di partecipazione orante. L’uno si realizza ascoltando, parlando, gesticolando; l’altro invece si svolge guardando. Quello è buono, e noi del Nord non ne conosciamo altro. Ma abbiamo perso qualcosa che lì c’era: la capacità di vivere-nello-sguardo, di stare nella ‘visione’, di accogliere il sacro…”.

Per Guardini il popolo percepisce una presenza nello sguardo. Cataldo Naro osservava che questo atteggiamento esprime ”ammirazione”: “non si può amare la Chiesa senza ammirarla” –scriveva. L’ammirazione é adorazione di una presenza. Ma sono solo donne velate o uomini con le coperte sulle spalle a vivere questo atteggiamento? Resti del passato? Per una parte della classe colta il cattolicesimo, con i suoi riti, era residuo del passato.

L’Eucarestia tra la gente
Tra Ottocento e Novecento, la storia del sentimento religioso registra un’ammirazione-adorazione tra il popolo. Lo si vede a Napoli nel 1891, decaduta capitale del Sud, al I congresso eucaristico nazionale: manifestazione pubblica a cui –sembra- parteciparono quasi 100.000 persone. L’Eucarestia, da fatto intimo celebrato nelle chiese, aggrega in piazza il popolo cattolico. Non c’è muro tra chiesa e piazza come vorrebbe la mentalità liberale con ricadute sul gusto intimista cattolico. L’Eucarestia, sacramento intimo, ha una dinamica che spinge fuori dai templi. C’è un legame tra Eucarestia e dimensione sociale della Chiesa. De Lubac parla di aspetti sociali del dogma . I congressi eucaristici, dalla nascita in Francia nel 1881, manifestano l’idea di estendere il “regno sociale” di Cristo nel mondo, celebrando l’umanità e la presenza eucaristica di Cristo.

A trent’anni dall’Unità, a Napoli la Chiesa non punta alla restaurazione, seppure non accetta il ruolo offertole dal regime liberale: essere cappellania della società. Afferma, con la più grande manifestazione di massa fino ad allora, che il futuro dell’Italia sta nella riscoperta della presenza di Dio. Nel 1897, al V congresso eucaristico di Venezia, “La Civiltà Cattolica” respinge l’accusa dei giornali liberali per cui si tratta di un evento politico nascosto nelle chiese: “Dopo aver tolto ai cattolici le vie, dopo aver indemaniato i beni delle loro chiese… vorrebbero pure togliere loro la libertà di parlare nelle chiese…” . I cattolici parlano di Dio, ma questo parlare raccoglie un popolo con uno spessore sociale. Nel 1912 diceva Toniolo al congresso eucaristico di Vienna:

“Tutte le riforme e tutti i progressi sociali, in questo momento di laicismo sistematico, si vogliono fare senza e contro il sovrannaturale. Noi ammettiamo e proponiamo che il sovrannaturale ne è il principio, il mezzo… il fine; e precisamente il sovrannaturale incarnato, reale, vivente, operante nell’Eucarestia; e sopra questa pertanto noi incardiniamo la riforma interiore delle anime, come la restaurazione della società.”

Questo è anche il tempo dell’anticlericalismo borghese e socialista. Nel 1914, durante la Settimana rossa, scoccata ad Ancona e diffusasi in Romagna con moti socialisti, repubblicani e anarchici, cui partecipano Nenni (direttore del giornale “Lucifero”) e Mussolini, ci sono profanazioni di chiese e dell’Eucarestia. Una di esse si svolge a Villanova di Faenza: scatenata protagonista è Giacomina Tavolazzi. La quale, però viene considerata soggetto di un miracolo eucaristico: convertitasi dopo il sacrilegio, nel 1937, vede suo figlio diventare prete . Del resto l’Eucarestia –nella devozione come nel rifiuto- ha segnato la cultura e il sentimento degli italiani. Dalla centralità del tabernacolo alle processioni, all’adorazione, al senso del sacro, al mistero della presenza. L’Italia preunitaria è stata terra di miracoli eucaristici (una ventina), in genere risposte a dubbi o profanazioni: tutti negli ex Stati Pontifici e nell’Italia centrale, eccetto tre al Nord e due al Sud. Ma, tra il XIX e il XX secolo, la scienza sfida la fede nell’Eucarestia, come totale irragionevolezza. Invece un ex parroco veneto, Pio X, con la prassi della comunione frequente e l’abbassamento dell’età dei bambini per la prima comunione, vuole colmare il distacco tra fedeli e Eucaristia, innovando una pratica che aveva sottolineato la distanza dal mistero . La comunione dei bambini trova spazio nei congressi eucaristici di quegli anni, ricordata come un evento toccante.

La grande guerra segna una svolta nei sentimenti religiosi. Lì si consuma l’Italia liberale che ha già dovuto rivolgersi ai cattolici con il Patto Gentiloni, per sostenere l’urto socialista e che nel 1919 assisterà alla nascita del partito cattolico. Vengono istituiti i cappellani militari . Ci sono Messe al campo e vicine alla trincea. Patria e religione, dopo mezzo secolo di divorzio, si conciliano. Ufficiali assistono alla Messa. Nonostante l’Italia laica e socialista, la Chiesa sente di rappresentare un popolo nella cui vita c’è una presenza di fede. L’Italia della prima guerra mondiale ha bisogno dei cattolici: “lì in guerra –mi disse con orgoglio Ludovico Montini fratello del papa- si è visto come noi cattolici eravamo italiani”.

 Un regime cattolico?
L’Italia uscita dalla guerra non è più la stessa. La breve e significativa avventura del Partito Popolare cessa con il fascismo, mentre la religione liberale della nazione è in crisi. Il fascismo sarà un regime cattolico? Molti cattolici lo sperano. Segni contradditori, concessioni, conflitti, accompagnano il ventennio, finché, con il 1938, il fascismo manifesta il volto totalitario e i cattolici si disaffezionano da un regime guerrafondaio. La Conciliazione nel 1929 é solennizzata con un congresso eucaristico a Roma, durante cui il papa, dal Vaticano, “libero e liberatore, e muoverà i suoi primi passi reggendo Colui che regge il mondo”. Nel 1930, al X congresso a Loreto, non ci sono gerarchi. Qui il conte Dalla Torre propone una rivendicazione del carattere cattolico del paese: italiano vuol dire cattolico (“in Italia questa parola ‘cittadini’ altro non dice… se non ‘fedeli’, se non ‘cattolici’… La missione dei Congressi eucaristici… è tutta volta a riaffermare la virtù santificatrice dell’Eucarestia non solo nelle anime, non solo negli individui, ma nella società…”) . Il conflitto del ’31 attorno all’associazionismo cattolico mostra come il regime contrasti lo spessore sociale che promana dalla Chiesa e dalla sua liturgia.

In Italia la liturgia cattolica non diventa culto nazionale, come nella Spagna di Franco che devotamente nel 1953 con il cero in mano segue con i ministri la processione eucaristica del congresso di Barcellona, applauditi da “La Civiltà Cattolica”. Non è culto nazionale, ma di popolo sì, come si vede dai congressi eucaristici. Il congresso eucaristico di Tripoli (nel 1937) è  il più littorio tra i congressi: “al corteo eucaristico assistette anche una folla numerosa di indigeni non cattolici, i quali fecero rispettosamente ala al passaggio del Santissimo Sacramento”. Il presidente Bourghiba ricordava l’impatto negativo di un evento analogo sulla popolazione musulmana in Tunisia.

L’alterità della liturgia cattolica al culto littorio (che non era solo operetta, ma capace di coinvolgimento) si vede in grandi vescovi, come il card. Schuster, ingenuo in politica con il regime, ma profondo nel senso liturgico e nel rapporto con l’ebraismo e i Padri. Schuster, liturgo in Duomo e nelle parrocchie sperdute, vuole che la liturgia formi il popolo: “La liturgia! – scrive - Che magnifico testo catechistico per il popolo, il quale più che di definizioni astratte ha bisogno di intendere le verità della fede concretizzate ed espresse drammaticamente dai riti ecclesiastici…” . Insomma il vissuto liturgico: “guardare” per Guardini e non solo capire. Questo si viveva anche in una povera Chiesa del Sud, come Tricarico, in cui mons. Delle Nocche “vide la sua povera e mistica sposa com’era: solitari e poveri paesi di montagna, di questa povera terra lucana, la disadorna cattedrale… il cadente e vuoto palazzo vescovile”. Qui si vede il cuore della sua spiritualità nella fondazione delle Discepole di Gesù Eucaristico: la conoscenza di Gesù nell’Eucarestia guida alla carità .

Il fascismo ha un’articolata liturgia, di cui Mussolini è protagonista e sacerdote, con inedita capacità di suscitare passioni nazionaliste. La liturgia cattolica, nonostante la maggior parte dei cattolici non sia contro il regime, diventa l’alternativa vissuta –la festa di Cristo re- a una pratica totalizzante del potere attraverso riti, formazione dei giovani, culto della guerra. Anche sulla Domenica c’è un conflitto, specie sui giovani: fascista o parrocchiale?
 
L’altare e il dolore di un popolo
Nel momento del crollo, la guerra devasta il paese: le chiese sono rifugio nell’angoscia. Fosse la basilica lateranense durante i bombardamenti di Roma. Uno spazio di speranza nell’angoscia. Così era l’Eucarestia celebrata nella zona dei preti nel lager di Dachau. Testimonia un internato italiano don Angeli: “..quasi 800 persone. Uno si metteva al collo, sopra l’abito logoro del detenuto, una strisciolina colorata che doveva rappresentare la stola, disponeva sul tavolo un bicchiere, un’ostia…” . L’Eucarestia e la Chiesa sono un approdo nei mesi più sconvolgenti che gli italiani vivono negli ultimi due secoli. Talvolta Eucaristia, sacerdozio, martirio sono connessi con l’evidenza che Giovanni Paolo II ci ha fatto riscoprire. E’ il caso di don Concezio Chiaretti a Leonessa, avvertito durante la Messa (che riesce a terminare) della rappresaglia nazista e poi fucilato , di don Santo Perin di Ravenna, lacerato da un’esplosione mentre compiva un’opera di umanità dopo aver celebrato l’Eucarestia e di tanti altri . L’episodio più emblematico è a Monte Sole, la strage di Marzabotto: 1830 persone, anziani, giovani, donne, maestre e cinque preti. Si deve a Luciano Gherardi un’opera monumentale e toccante, Le querce di Montesole

È il valore di una storia intelligente che ricorda il passato che forgia il senso di un destino comune e apre al futuro. Ci troviamo oggi in una condizione in cui mancano prospettiva e speranza del futuro, anche perché manca il senso della nostra storia. Infatti, dopo tanto storicismo degli anni Settanta, la storia ha ceduto il passo a un senso circolare del tempo attorno a sé e al soggettivo.

Casaglia, una località a Montesole, - scrive Giuseppe Dossetti - “ha la comunità raccolta ancora in chiesa dopo le preghiere e il rito eucaristico, strappata dalla chiesa e condotta, in una reale via crucis, al cimitero: e in più la figura di don Ubaldo che vuota la pisside comunicando i fedeli –era andato per questo- ed è ucciso sulla predella dell’altare” . Quella pisside, traforata dai colpi di fucile e ritrovata nelle rovine dell’altare, viene riconsegnata dal card. Biffi, arcivescovo di Bologna, nel 1985, alla Piccola Famiglia dell’Annunziata che custodisce quei luoghi, con queste parole: “questa gente che è morta aggrappata ai suoi tabernacoli; questa gente, fatta oggi spiritualmente presente in mezzo a noi, oggi finalmente si ritrova a casa, tra i santi segni che erano i suoi…”. La vicenda di Montesole è caratterizzata anche dall’incendio delle chiese: “L’intero villaggio fu dato alle fiamme, ma la chiesa non voleva ardere… Fu fatto un tentativo di bruciare le panche di legno, senza successo. Il comandante del plotone mitraglieri Wolf diede ordine di distruggere l’altare…” –ricorda un soldato tedesco . Abbiamo visto nelle guerre balcaniche l’odio alle fonti della vita: la distruzione dei luoghi di culto si accompagna alla violenza sulle donne. L’esperienza della guerra –ha detto il card. Biffi- è per tanti italiani quella di gente aggrappata agli altari .

La repubblica cattolica
Dalla guerra inizia una stagione in cui il cattolicesimo diventa protagonista della democrazia italiana. E’ tempo di ricostruzione, ma anche della nascita dell’Italia come potenza economica, malgrado irrisolti squilibri. L’Italia repubblicana cambia la geografia umana del paese: crescono le città e aumenta il benessere. La rete millenaria di chiese di montagna o rurali riduce i propri fedeli o si svuota. La Chiesa invece moltiplica gli altari, costruendo nuove parrocchie nelle periferie urbane. L’Eucarestia – è la sfida dell’urbanesimo - deve restare accessibile ai fedeli e tra le loro case. 

È  tempo di affermazione del movimento comunista, capace di mobilitare energie e sentimenti di tanti: il più forte partito comunista occidentale, basato sul consenso e non sulla coercizione. Sfida temibile per una Chiesa perseguitata nell’Est europeo, ma anche distacco dalla Chiesa da parte di non pochi italiani che vivono la fede comunista –lo notava già Berdiajev- come religione di redenzione. Eppure, dopo l’89 e il crollo del comunismo,  non si é elaborata una lettura profonda di una grande avventura e tragedia, ma si é fatta solo una gestione politico-congiunturale di quella storia.

L’Italia cambia e diventa società dei consumi: mutano le consuetudini di vita e il rapporto con la Chiesa. Al XIII congresso eucaristico nel 1951, ad Assisi, il card. legato Schuster nota tra le masse “una sete di benessere, un significato edonistico della vita, raffreddando perciò il senso morale ed in conseguenza quello della vera religione”. Aggiunge: “non ci facciamo, di grazia, illusione sulle turbe che convengono ancora alle nostre solennità e vengono in chiesa. Pensiamo piuttosto a tutti quelli che non vengono…” . Pio XII, nel 1952, a Roma lancia la missione per un mondo migliore. La Chiesa è sfidata a una permanente evangelizzazione in un mondo contemporaneo in cui si trova in una condizione agonica, di lotta. Lo mettono in rilievo – anche in Italia - i pontificato di Paolo VI e di Giovanni Paolo II. Già dagli anni Cinquanta, dall’altare, si vede un mondo di lontani. La sociologia religiosa, a partire dal modello francese, misura il numero di praticanti e nota un processo di disaffezione. Nel 1958, il successore di Schuster a Milano, mons. Montini (il cui ruolo storico nella costruzione politica dell’Italia repubblicana non va dimenticato), lancia un allarme: “E’ ancora diffuso da noi il detto che l’Italia è un paese cattolico… Eppure dobbiamo riconoscere che grandissima parte dei nostri fedeli sono infedeli” . Parole preoccupate… Gli italiani sono cambiati. Bisogna raggiungerli, ma si fanno raggiungere e che cosa cercano?

La realtà politica e sociale degli anni democristiani merita una più giusta ricostruzione da parte della storiografia al di là della damnatio memoriae, capace di mettere in rilievo come un paese sconfitto, in breve, sia divenuto protagonista dell’Europa unita e di scenari internazionali e quanto sia migliorata la vita degli italiani che trovano, in massa, la libertà politica ma anche quella dal bisogno. Tuttavia quegli anni paradossalmente non hanno costruito una cultura e un ethos, capaci di animare un’opinione pubblica ormai allargata alle masse. Giovanni Paolo II ha più volte ricordato che la forza di una nazione è la cultura. La maggior parte della cultura repubblicana non è stata cattolica, ma piuttosto di sinistra. Eppure il cattolicesimo politico confida nel consenso del paese reale, che sente vicino, e nella famiglia italiana (verso cui non promuove però una politica).

 Contemporaneità 
Il cambiamento rapido scuote cultura e valori. Gli anni dopo il ’68 sono complessi, caratterizzati da un processo di soggettivizzazione dei comportamenti. Ne seguono la contestazione nella scuola e nella Chiesa, le trasformazioni della famiglia, la crisi politica, giungendo –sul finire degli anni Ottanta- alla fine dei partiti che hanno creato la Repubblica. Ricordo nel 1978 l’uccisione di Aldo Moro e il senso di fine (reale, perché quello –con altri fattori- fu l’inizio della fine). La classe politica e tanti si raccolsero in Laterano per il funerale di Moro celebrato dal card. Poletti alla presenza dell’anziano Paolo VI, che concluse con una drammatica preghiera . Era un’Italia di nuovo afferrata all’altare. Ricordo che Gerardo Chiaromonte, comunista liberale di scuola napoletana, non credente, presente in Laterano, mi disse: “questa Messa riempie un incredibile vuoto e silenzio che abbiamo dentro”.

La liturgia cattolica non è rito nazionale, ma raduna un popolo incerto. Paolo VI, che realizza la riforma liturgica, sente molto la forza della liturgia e dell’Eucarestia. Primo papa partecipa a tre congressi eucaristici. A Udine nel 1972, dopo che il patriarca Luciani parlò della potenza unitiva dell’Eucarestia, il papa insiste sull’unità della Chiesa . In quegli anni di rivoluzione culturale e di terrorismo, com’era vissuta la Chiesa? Piccola comunità che celebra l’Eucarestia o grande Chiesa? Ma anche che c’entrava il papato con il cristianesimo italiano?- era una domanda ricorrente. Una contestazione dura per un papa tanto italiano come Paolo VI. Sono anni di contestazione e secolarizzazione, ma anche di germinazione di cose nuove.

Il pontificato di Giovanni Paolo II risponde alla crisi degli anni Settanta. La sua idea centrale era che il cristianesimo dovesse essere protagonista della vita del paese, che la Chiesa italiana avesse un profilo unitario, che la fede di popolo dovesse innervare un tessuto sociale lacerato. Con la sua originalità, il papa fa riscoprire la carismaticità del suo ministero e come questo ministero sia connesso alla storia e al futuro della nazione. Si sono sfaldati tanti soggetti nel tessuto sociale del paese, dove lo Stato ha meno forza che altrove. Il cristianesimo resta una grande risorsa italiana. Visto nel quotidiano delle difficili gestioni pastorali, può sembrare affermazione retorica, ma lo si verifica nei momenti duri. Giovanni Paolo II impegna la Chiesa per rafforzare l’identità nazionale: lo fa con la grande preghiera per l’Italia nel 1994. Egli ha forte il senso della nazione, anzi una teologia delle nazioni: crede che la nazione italiana abbia una funzione storica nella Chiesa universale, in Europa e nel mondo .

Per papa Wojtyla –penso alle sue parole durante l’Eucarestia sulla tomba di Pietro per aprire la grande preghiera per l’Italia- “pane e vino, i grandi simboli eucaristici… sono per noi oggi l’espressione di quanto l’Italia con il suo popolo cristiano, dalle Alpi alla Sicilia, ha rappresentato attraverso i secoli per la Chiesa e per il mondo” . Per lui in Italia si è verificato un innesto fecondo del genio del cristianesimo: “E’ questa ormai, con tutto il suo carattere universale, la cultura propria dell’Italia; una cultura di cui vive l’Italia, ma di cui vivono, in un certo senso, le nazioni d’Europa e del mondo” .
Giovanni Paolo II ha traghettato il cattolicesimo italiano dal Novecento al nuovo millennio. Dagli anni Novanta è cominciata una stagione di transizione, non ancora conclusa, caratterizzata da incertezza politica, difficoltà di rinnovamento della cultura e dell’ethos. Le parole messianiche della politica ormai tacciono. Non siamo in anni di dolore come quel ‘78, ma certo di grave incertezza. Di fronte alla crisi economica che non finirà e a poteri globali senza volto, ci chiediamo anzi –lo diceva Bauman- quale sia la vera forza della politica. Manca la visione del futuro. Scriveva Wojtyla poeta:
“io credo tuttavia che l’uomo soffra soprattutto per mancanza di ‘visione’.
Se soffre per mancanza di visione –deve allora aprirsi la strada fra i segni…” 

La sfida odierna è quella di una visione. Dopo tanta e faticosa storia, per far maturare una visione non si può restare abbagliati dai fuochi d’artificio della cronaca, ma ci si deve aprire la strada tra i segni. Segni che portano in profondità, ma anche indicatori del futuro. Segni da leggere nel nostro tempo, ma pure fonti di un ethos rinnovato. Ho parlato di Eucaristia e  nazione: non si vuole confessionalizzare la nazione, ma bisogna dire che, nella Chiesa che celebra il mistero, ci sono fonti di rara profondità. Nella logica della liturgia, la profondità si collega a uno spessore sociale.

Liberatici da una storiografia riduzionista, incapace di indagare sulle correnti profonde della storia, oggi siamo convinti che questa non è solo guerre o governi o economia. C’è una dimensione spirituale della storia. Sarebbe tragico ignorarla oggi dopo che si è tanti valori si sono consumati. Questa dimensione spirituale della storia spiega come, nonostante i limiti, il mondo del cattolicesimo italiano sia una risorsa per il futuro. E’ tanto mescolato alla storia e alla quotidianità del paese, ma la sua vitalità sta in altre fonti. Scriveva un grande cristiano e poeta, padre David Turoldo:

“Qui c’è il cuore della Chiesa, il baricentro del mondo, della storia; qui è il passaggio all’eterno. Ed è solo silenzio. Un nulla di ostia, dentro. Meno ancora che nell’arca dove ci stava la verga di Mosè e il libro della legge. Un’ostia che non dice niente e non sa di niente. E tuttavia è un punto che se fosse un solo luogo della terra, tutta la terra… graviterebbe verso quel luogo, attratta da questa misteriosa forza di attrazione” .

Andrea Riccardi
© Avvenire, 3 settembre 2011
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