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«Fare la catechista mi costa magone e inimicizie»

«Una volta la prima educazione avveniva in casa, soprattutto con la mamma che insegnava ai figli le preghiere e l’amore a Gesù. Oggi non si trova nessuno che dia una mano, i catechisti, me compresa, non sono preparati, vengono reclutati di corsa e il parroco è disorganizzato. Le famiglie pretendono un servizio e si arrabbiano pure. Sono solo preoccupata»

Gentile direttore, le scrivo per uno sfogo pre-catechistico. Sono mamma di tre figli, di cui le due più grandi frequentano la scuola elementare e il piccolo la materna. Qualche anno fa, essendo a casa, diedi la mia disponibilità al parroco a dare una mano dove c’era bisogno. Lui mi mise a fare la catechista, attività che prima di allora non avevo mai fatto. La nostra parrocchia è molto grossa e l’anno che ho iniziato c’erano più di 90 bambini (solo di seconda elementare) da gestire. Con mille difficoltà, insieme alle altre catechiste siamo riusciti a portarli alla Cresima, e ora qualcuno segue il percorso del dopo Cresima. L’anno scorso, con l’inizio del catechismo delle seconde elementari, sono stata scelta per fare la referente del gruppo. Ho quindi la responsabilità della gestione di 75 bambini e dei loro catechisti. La mia formazione è di tipo scientifico, non ho mai insegnato. Negli anni passati ho un po’ imparato, usando i sussidi proposti dagli altri gruppi e soprattutto grazie all’esperienza di altri catechisti. L’anno scorso è stato pesante: purtroppo il gruppo catechisti è molto diverso da quello precedente, e mi ritrovo da sola a gestire la parte “nozionistica” e organizzativa. Inoltre ho ricominciato a lavorare, un lavoro che doveva essere part-time e in poco tempo mi ha riempito le giornate. Nella nostra parrocchia c’è l’abitudine di coinvolgere gli adolescenti di 15 anni a fare i catechisti, affiancando gli adulti. L’idea è buona, ma sono molto giovani e quindi vanno seguiti per certi versi anche più dei bambini.

In questi anni ho riflettuto molto sul significato del catechismo, sull’essere cristiani, sul credere e sulla fede da trasmettere. In famiglia siamo credenti convinti, per scelta e non per abitudine. Questo ha portato a spiegare la fede ai nostri bambini fin da molto piccoli. Mia figlia maggiore, molto sensibile ai temi religiosi, è stata una vera spugna. Il risultato relativo al catechismo però è stato disastroso: la frequenza per lei era inutile e demotivante, siamo arrivati a brutte discussioni per cercare di farle capire che il catechismo non è solo nozione ma anche stare con gli altri, ma niente. A nulla è valso chiedere aiuto al parroco, suggerendo un avanzamento di anno o un percorso personalizzato. Il catechismo è rigidamente concepito come la scuola, per cui bisogna andare anno per anno, con i propri coetanei e guai a sgarrare.

I catechisti in generale, sia adulti che giovani, me compresa, non sono preparati; il parroco (per un limite suo di carattere) è molto disorganizzato e il reclutamento dei catechisti è fatto di corsa, con l’acqua alla gola, prendendo chi trova all’ultimo. Il risultato è che si propongono adulti che spesso vogliono un tornaconto, ragazzi demotivati e spinti dalla voglia di tentare ma non convinti. L’anno scorso, essendo la responsabile, ho tentato di arginare questa cosa: spiegare a un adulto che fare il catechismo è un aiuto gratuito, che si dovrebbe dare senza condizioni, è stato immensamente difficile. Mi è costato magoni e inimicizie. I ragazzi in questo sono più liberi, ma d’altro canto la loro giovane età li porta a essere irresponsabili, e se non hanno la famiglia che li spinge, il loro impegno è del tutto incostante per cui non si riesce a fare affidamento su di loro.

Stiamo per iniziare il nuovo anno e sono molto preoccupata: alcuni ragazzi ci hanno abbandonato, i bambini sono sempre 75, non si trova nessuno che dia una mano gratuitamente, sapendo che sarà comunque faticoso. Le famiglie dei bambini pretendono un servizio e si arrabbiano pure se non glielo si offre. Ricordo che in un discorso il Papa ha invitato i catechisti a essere creativi: ero reduce da un catechismo ipercreativo e questo non è servito a niente! Si era provato di tutto per coinvolgere le famiglie, ma il calo di frequenza alla Messa è stato costante. Con il mio gruppo di bambini se su 75 ne arrivano a Messa 10 sono già contenta; la media è di 4 o 5. Il resto? A casa a dormire, a fare shopping o in montagna o a fare le mille altre cose più importanti. Che senso ha fare un catechismo del genere? Che senso ha essere creativi? Alle famiglie interessa solo il bollino di presenza, e la Comunione alla fine. Non vogliono essere coinvolte e sono pure infastidite se si chiede qualcosa una volta di troppo.

Sono convinta che il catechismo com’è strutturato sia obsoleto: dai sussidi che si trovano in libreria (possibile che il catechismo Cei sia lo stesso identico che avevo io più di 30 anni fa?) ai catechisti, che in molte parrocchie sono signore pensionate, lontanissime dalla cultura dei bambini di oggi, alla gestione pratica e alla strutturazione degli incontri. La fede è sempre più una questione di scelta e scelta maturata; credo che la Chiesa dovrebbe fare a sua volta una scelta coraggiosa: si parla tanto di tornare alla fede delle origini, degli apostoli e dei primi cristiani. E allora, perché non facciamo come loro? Sacramenti solo agli adulti, dopo anni di percorso di formazione serio. Oppure sacramenti dati alla maniera ortodossa: tutti insieme e subito ai neonati e poi forme alternative di formazione. Così evitiamo l’inutile sforzo di creare “classi” di catechismo, ricerca di catechisti più o meno volenterosi ed evitiamo di vedere le scene di prime Comunioni caotiche in cui l’unica cosa importante è vincere il banco in prima fila per vedere meglio il proprio figlio. Io spero di non trascurare troppo la mia famiglia e di riuscire a coordinare il mio gruppo. Sento comunque la responsabilità di questo servizio e non mi tiro indietro, anche se il morale non è alto e la voglia di mollare è tanta.

FLAVIA

 

 

Carissima, pubblico la tua lettera per intero, benché sia molto lunga, perché mi sembra utile come richiamo alla riflessione. Non solo per i parroci o i responsabili della Chiesa italiana, ma per ciascuno di noi che ci definiamo cristiani, discepoli del Signore Gesù. Come non desiderare che la fede che professiamo, che il nostro amore per Cristo non coinvolga le nuove generazioni? Per questo serve prima di tutto la testimonianza di una vita secondo il Vangelo, ma sono necessari anche dei momenti di istruzione più specifica, per far comprendere la ricchezza del messaggio cristiano. Il catechismo nasce proprio da questa necessità di un insegnamento più approfondito della nostra fede. La parola stessa, infatti, deriva dal greco e significa “istruzione orale”.

Al di là dell’ideale, tuttavia, ci sono i problemi concreti da affrontare. Tu stessa, cara Flavia, ne enumeri diversi, mettendo in rilievo alcuni problemi di fondo. Prima di tutto l’impreparazione dei catechisti stessi o addirittura la loro incapacità di comprendere il valore e il significato del loro compito. Poi c’è il problema di avere testi adeguati e aggiornati. Prima ancora c’è il venir meno del sostegno delle famiglie. Una volta la prima catechesi avveniva in casa, soprattutto con la mamma che insegnava ai figli le preghiere, l’amore a Gesù, gli insegnamenti fondamentali del Vangelo come l’amore a Dio e al prossimo.

Che cosa fare, in concreto? Io non ho una soluzione. So che esistono molti documenti ecclesiali in merito, a partire dal documento base Il rinnovamento della catechesi, al più recente testo intitolato Incontriamo Gesù. Orientamenti per l’annuncio e la catechesi in Italia. In fondo, anche numerosi documenti del Magistero pontificio e della Conferenza episcopale italiana sono di fatto “catechistici”. Pensiamo all’Evangelii nuntiandi di Paolo VI, alla Catechesi tradendae di Giovanni Paolo II, alla Deus caritas est di Benedetto XVI e alla Evangelii gaudium di Francesco. O ancora agli orientamenti pastorali della Cei, come Educare alla vita buona del Vangelo. Insomma, i documenti non mancano. Serve qualcosa di più e di diverso. Forse legare il catechismo solo ai sacramenti è diventato fuorviante, l’ha trasformato in un semplice obbligo da assolvere, un “bollino” da ottenere, come lo chiami tu, per conseguire alla fine il “premio” della prima Comunione, dove magari conta più la bella cerimonia e la festa al ristorante che il significato di questo incontro con Gesù.

Concludo, cara Flavia, invitando te e tutti i catechisti a non mollare. Perché comunque, nonostante le fatiche e l’apparente fallimento, stai seminando la Parola nel cuore dei ragazzi. Un seme che prima o poi porterà il suo frutto, magari in modo inaspettato. Magari solo perché tornerà alla mente il ricordo di una persona come te che credeva in quello che diceva e per la quale Cristo era veramente il centro della vita.

don Antonio Rizzolo

© www.famigliacristiana.it, giovedì 4 ottobre 2018