Gesù aveva i capelli rossi e gli occhi chiari?
Recentemente abbiamo dedicato alcuni lavori scientifici[1],[2],[3] al Velo di Manoppello che, circa 30 anni fa, ha catturato l’attenzione degli studiosi di arte e storia cristiana, da quando H. Pfeiffer ha ipotizzato che possa trattarsi del Velo della Veronica. Tutti i cristiani sanno chi sia la Veronica, legata ad una delle stazioni della Via Crucis. Oggi gran parte degli studiosi affermano che si tratti di una pia leggenda medioevale. Il Volto Santo visibile, fronte-retro, sul Velo custodito a Manoppello (PE),[4] è mostrato in Figura 1. Notizie storiche certe della presenza del Velo a Manoppello risalgono al XVI secolo, inizio XVII.
Figura .1. Volto Santo di Manoppello nel reliquario che lo contiene: (a) anteriore e (b) posteriore.[5]
Il Volto Santo è raffigurato su di una piccola tela rettangolare di tessuto molto sottile, semitrasparente e, per questo motivo, chiamato Velo, su cui è raffigurata l’immagine di un viso maschile con i capelli lunghi e la barba divisa. Le guance sono marcatamente diseguali poiché una delle due è particolarmente gonfia, come mostrato nella Figura 1. Il mento non è in asse con il resto del volto e gli occhi non sono alla stessa distanza dall’asse bocca-naso. Tutte queste caratteristiche conferiscono un’evidente asimmetricità al volto.
Ricordiamo, a tal proposito, che il cervello umano fa dipendere la percezione di bellezza di un volto umano dalla sua simmetria. In effetti, nel Volto Santo di Manoppello l’asse che congiunge le pupille degli occhi non è parallelo a quello che attraversa la bocca. Analoga situazione si ha per il mento, non mostrato in figura, che corre parallelo alla bocca e, di conseguenza, non è parallelo all’asse passante per gli occhi. Nei nostri studi [1,2] abbiamo dimostrato che la causa della asimmetria è da addebitarsi in gran parte al cedimento strutturale dei sottili fili che compongono il Velo e che hanno deformato l’immagine su di esso visibile.
Un’altra peculiarità dell’immagine è che essa cambia di aspetto, a seconda se la sorgente di luce e l’osservatore si trovano dallo stesso lato o da lati opposti, come schematizzato in Figura 2. Quando l’osservatore e la sorgente di luce si trovano dalla stessa parte l’immagine che emerge è quella rappresentata in Figura 1. Il volto è come se fosse bifronte poiché è visibile da ambo i lati. Mostra, però, anche alcune importanti differenze come, ad esempio, la bocca aperta o chiusa, a seconda delle condizioni di illuminazione rispetto all’osservatore. Infatti, quando l’osservatore e la sorgente di luce non si trovano dallo stesso lato, il volto visibile sul Velo non presenta più la bocca aperta e cambia colore, come schematizzato in Figura 2. È necessaria, però, una luce laterale poiché la retro-illuminazione a luce diretta renderebbe il volto non visibile, mostrando soltanto l’esile struttura del Velo, così sottile da ricordare le larghe maglie di una zanzariera. Si ha un’idea di questo effetto guardando il riquadro bordato di rosso in Figura 2, che corrisponde alla zona della tempia, appena sopra l’occhio.
Figura 2: Immagine del Volto Santo visibile sul Velo di Manoppello in funzione delle condizioni di illuminazione (figura originale pubblicata sulla copertina del Vol. 1 (2), December 2018, della rivista Heritage: sito web https://www.mdpi.com/2571-9408/1/2).
Quindi, in condizioni di retro-illuminazione diretta il Velo di Manoppello è trasparente e non è visibile alcuna immagine. Questo effetto è ancor più visibile in Figura 3, in una foto scattata da Paul Badde. È veramente sorprendente constatare quanto sottile sia il Velo. Infatti, dove la retro-illuminazione non è bloccata dalla presenza di una mano non è quasi visibile alcuna immagine!
Figura 3: Volto Santo di Manoppello visto retro-illuminato, con la luce parzialmente schermata da una mano (Cortesia di Paul Badde. La foto è riportata sul sito web https://illuminadomine.com/manoppello-image/).
È interessante correlare alle particolari caratteristiche del Volto Santo di Manoppello, appena riassunte, quanto affermato da una mistica, salita agli onori degli altari. Si tratta della beata Giuliana di Norwich (XIV secolo). La mistica visse l’ultimo ventennio della sua vita come monaca, reclusa, e scrisse un manoscritto contenente sedici rivelazioni private. In una di esse si parla anche del Velo della Veronica. La beata Giuliana scrive:
il santo Velo della Veronica, che è a Roma, sul quale Egli impresse il suo volto beato quando nella sua tremenda passione Egli stava andando volontariamente incontro alla morte … Davanti a questa immagine molti si meravigliano e si chiedono come sia stato possibile che esso sia l’impronta del suo volto beato, che è il più bello del cielo … Come può dunque questa immagine essere così sfigurata e lontana dalla bellezza? In verità oso dire, e tutti dovremmo credere, che non ci fu mai un uomo più bello di lui, fino al momento in cui il bel colore della sua carnagione fu mutato dalla fatica e dalla sofferenza, dalla passione e dalla morte … il volto impresso sul Velo della Veronica, che si trova a Roma, muta di colore e di aspetto, apparendo talvolta vivido e consolante, talaltra più afflitto e come morto, secondo che tutti possono vedere.[6]
Questo passo è importante perché, pur trattando il suo libro di rivelazioni private, in queste righe Giuliana ricorda quanto ha visto a Roma nel XIV secolo, o quanto a riguardo i suoi contemporanei le hanno raccontato poiché, secondo alcuni storici, di persona la Beata a Roma non ci sarebbe mai stata. Prima che il Velo della Veronica scomparisse da Roma, il che è avvenuto nel XVI secolo, inizio XVII, la descrizione del Volto Santo che la beata Giuliana fa, è esattamente quella che chiunque oggi farebbe di fronte al Velo di Manoppello: muta di colore e di aspetto; il volto è o sfigurato dal dolore, o mesto e accennante ad un lieve sorriso, a seconda della visuale con cui lo si guarda; apre e chiude persino la bocca!
Alla luce di questa testimonianza, siamo andati alla ricerca anche di qualche altro elemento per sostenere l’ipotesi, suggerita da H. Pfeiffer circa 30 anni fa, che il Velo di Manoppello coincida con quello della Veronica, scomparso da Roma nel XVI secolo.
Il Volto Santo di Manoppello, quando è visto illuminato da una luce laterale, dal lato opposto rispetto all’osservatore, mostra dei colori caldi, sul giallo-oro e la bocca chiusa, come si può notare in Figura 2. Colori e aspetto simile ha il Volto Santo visibile nel particolare del Velo della Veronica riportato sul Liber Regulae Hospitalis Sancti Spiritus (Regola dell’Ordine Ospedaliero di S. Spirito) del 1350 ca., come mostrato in Figura 4. Nell’illustrazione del Liber Pontificalis è raffigurato papa Innocenzo III con il Velo della Veronica nella mano destra, con al di sotto il saio degli ospitalieri con la classica doppia croce, simbolo dell’ospedale di S. Spirito, mentre con l’altra mano il papa concede la Regola a Guido da Montepellier, che aveva chiamato a guidare la confraternita appena costituita. La raffigurazione che troviamo sul Liber Pontificalis trecentesco fa riferimento al 1208 quando, con la bolla Ad commemorandas nuptias salutares, Innocenzo III stabilì che nella seconda domenica dopo l’Epifania l’effigie di Gesù Cristo (Veronica), conservata in San Pietro, venisse portata in solenne processione dalla cattedrale alla chiesa dell’Ospedale di S. Spirito in Sassia, per essere esposta ai fedeli, che ricevevano dalla partecipazione alla processione e all’ostensione della Veronica un’indulgenza. Da quel momento in poi, il Velo della Veronica acquistò un’importanza sempre maggiore, richiamando folle di fedeli nelle ostensioni. Ma nel XVI secolo, o inizio XVII, secondo alcuni autori, scomparve misteriosamente da Roma.
Figura 4. Pannello di sinistra: particolare del Volto Santo visibile sul Velo della Veronica raffigurato sul Liber Regulae Hospitalis Sancti Spiritus del 1350 ca., ribaltato verticalmente. A destra: ingrandimento del volto. Si noti la sua asimmetria, evidenziata dalle linee tratteggiate, e il particolare della guancia gonfia e del profilo del mento non parallelo con l’asse passante per gli occhi (figura originale pubblicata in L. De Caro, E. Matricciani, G. Fanti, Yellowing of ancient linen and its effects on the colours of the Holy Face of Manoppello, Heritage 3 (2020), pp. 1-18: https://www.mdpi.com/2571-9408/3/1/1).
La Figura 4 nel pannello di destra mostra un ingrandimento del volto visibile su questo libro trecentesco. Il Volto Santo è senza baffi sul labbro superiore, con la barba rada sulle guance e bipartita, il ciuffo di capelli al centro della fronte, tutti dettagli iconografici comuni con quanto visibile sul Velo di Manoppello, sebbene non siano stati riportati i segni evidenti della Passione. Si noti, in particolare, l’asimmetria del Volto Santo in Figura 4, evidenziata dalle linee tratteggiate passanti per gli occhi e per il mento, il particolare della guancia destra più gonfia della sinistra e del profilo del mento non parallelo all’asse con gli occhi. I colori, poi, richiamano da vicino le tonalità molto calde visibili sul Velo di Manoppello quando è retro-illuminato lateralmente e l’osservatore lo osserva frontalmente, quando cioè l’immagine del Volto Santo viene trasmessa dal Velo. Sorprendenti sono anche la guancia gonfia, il mento storto e non parallelo all’asse passante per gli occhi, che richiamano così tanto da vicino quanto è visibile sul Velo di Manoppello (Figura 1). È molto improbabile che possa trattarsi di semplice coincidenza. Alla luce di questi indizi iconografici, risalenti al 1350 ca., l’ipotesi che il Velo della Veronica e il Velo di Manoppello siano lo stesso oggetto diventa sempre più verosimile.
Come ulteriore verifica abbiamo sovrapposto in Figura 5 l’immagine del Volto Santo di Manoppello, visibile con luce laterale in trasmissione, con quella del Velo della Veronica, visibile sul Liber Regulae Hospitalis Sancti Spiritus. Il risultato è nuovamente sorprendente: le somiglianze tra il volto visibile nel pannello di sinistra (volto del Velo della Veronica) e quello di destra (Volto Santo di Manoppello sovrapposto a quello della Veronica, con una trasparenza del 50%) non sono soltanto qualitative ma anche quantitative, visto che i due volti sono tra loro significativamente congruenti nei vari dettagli anatomici. Le somiglianze rilevate permettono di sostenere la conclusione che il Velo di Manoppello e il Velo della Veronica possano essere lo stesso oggetto.
Figura 5. Pannello di sinistra: particolare del Volto Santo visibile sul velo della Veronica, ribaltato sinistra-destra, raffigurato sul Liber Regulae Hospitalis Sancti Spiritus del XIV secolo. A destra: il Volto Santo di Manoppello visibile in trasmissione (quello che mostra la bocca chiusa) sovrapposto a quello visibile sul Velo della Veronica rappresentato sul Liber Regulae Hospitalis Sancti Spiritus (visibile a sinistra). Si noti la significativa congruenza dei due volti (figura originale pubblicata in L. De Caro, E. Matricciani, G. Fanti, Yellowing of ancient linen and its effects on the colours of the Holy Face of Manoppello, Heritage 3 (2020), pp. 1-18: https://www.mdpi.com/2571-9408/3/1/1).
Alla luce di quanto sin qui discusso, è possibile affermare che, tranne un vuoto temporale privo di informazioni, che è più o meno sovrapponibile al periodo di costruzione della Basilica di San Pietro (1506-1626), dal 1200 ad oggi potremmo ricostruire la storia del Velo della Veronica, visto che esso potrebbe coincidere proprio con quello oggi conservato a Manoppello. Ma possiamo in qualche modo determinare il periodo storico a cui risale il Velo di Manoppello?
È medioevale o più antico?
Per tentare di rispondere a questa domanda, è necessario partire dalla composizione dei fili del Velo. Una perizia tecnica visiva di C. Vigo ha portato ad ipotizzare che potesse trattarsi di bisso marino, una fibra che tiene ancorati sul fondo marino alcuni grandi molluschi del Mediterraneo. Analisi di laboratorio, effettuate da G. Fanti con il microscopio a luce polarizzata, però, hanno dimostrato che, in realtà, si tratta di lino, probabilmente inamidato [1,2].
La presenza di amido sui fili di lino del Velo trova una conferma indiretta da un altro dato importante riportato nella relazione seicentesca conservata a Manoppello. Riportiamo il passo di interesse:
la quale [immagine] era nel mezzo di un velo quadrato e tutto trasparente, per la rarità della tessitura grande circa quattro palmi, da ogni lato, e trovò che il velo, per essere stato malamente tenuto e conservato […] era tutto stracciato, lacerato, e da tignole e tarli mangiato, e totalmente corrotto, che era ridotto quasi tutto in polvere; e quei pochi stracciarelli rimasti pendenti, non aspettando di essere toccati, da se stessi cadevano in terra, fuorché la SS. Immagine, la quale sebbene era alquanto denigrata, e molto aggrinzata, era nondimeno nel resto tutta bella, intatta, e senza corruzione alcuna. […] P. Clemente, pigliate le forbici, tagliò via tutti quelli stracciarelli d’intorno, e purificando molto bene la SS. Immagine dalle polveri, tignuole e altre immondizie, la ridusse alla fine come adesso appunto si trova.[7]
Questo passo è molto importante non soltanto perché afferma che in origine il Velo di Manoppello era di forma quadrata e di dimensioni maggiori – circa un metro quadrato - rispetto a quelle attuali - 24x17,5 centimetri quadrati -, ma annota che c’erano tanti insetti che avevano mangiato il tessuto, fortunatamente non nella parte dov’è visibile il Volto Santo. Anche questo particolare narrativo permette di escludere che possa trattarsi di bisso marino perché le sue fibre, intrise di sale marino, noto conservante, sarebbero state indigeste per gli insetti. Al contrario, invece, essi sono molto ghiotti di amido, perché più digeribile dagli enzimi rispetto alla cellulosa. Inoltre, le fotografie al microscopio ottico, effettuate da G. Fanti, hanno evidenziato la presenza di acari tra i fili del Velo di Manoppello [5], che non ci sarebbero stati se si fosse trattato di fili intrisi di sale, come il bisso marino.
Il lino e l’amido, però, con il tempo ingialliscono. È possibile avere delle indicazioni di quanto antico possa essere il Velo di Manoppello valutando il grado di ingiallimento dei fili che lo compongono?
La Figura 6 mostra alcune fotografie del Velo di Manoppello scattate con un microscopio ottico da G. Fanti, in una regione dell’occhio destro. La Figura 6a mostra la regione degli occhi del Volto Santo restaurato digitalmente, ottenuto dai nostri precedenti studi [1,2]. La Figura 6b mostra una fotografia al microscopio ottico corrispondente al riquadro rosso della Figura 6a, nella regione della sclera vicino all’iride. I piccoli corpuscoli visibili nella Figura 6b sono particelle di polvere, o uova di insetti o acari, di dimensioni fino a 10 micrometri, aderenti al reliquiario di vetro contenente il Velo, molto probabilmente a causa di forze di natura elettrostatica. Le frecce rosse in Figura 6b ne indicano alcune. Queste particelle, infatti, sono presenti anche negli interspazi tra i fili del Velo, il che implica la loro aderenza alla superficie di vetro della teca. Per questo motivo si può escludere che si tratti di pigmenti.
Per il commento tecnico della figura si rimanda allo studio su cui essa è stata pubblicata. A noi ci preme qui sottolineare come sul bordo dei fili, nella zona dell’iride, ci siano delle strutture micrometriche di colore blu (Figure 6f e 6g). Quanto osservato nelle microscopie è compatibile con la presenza di regioni di dimensioni di circa 10 micrometri, di colore blu sui bordi laterali dei fili nella zona dell’iride del Volto Santo di Manoppello. Ciò non è visibile nella parte centrale dei fili. Infatti, il colore degli occhi è castano.
Un’analisi accurata dell’immagine visibile sul Velo di Manoppello da noi restaurata digitalmente, inoltre, mostra come i contorni dell’iride degli occhi siano in realtà due e quello più esterno dell’occhio sinistro, di forma circolare più regolare rispetto al contorno più interno, è di un colore tendente al blu [1,2,5].
In base a quanto visibile dalle immagini microscopiche e da un’analisi accurata dell’iride è ipotizzabile, quindi, che il colore originale degli occhi del Volto Santo di Manoppello fosse blu, e che essi siano stati ricoperti da un colore marrone. L’originale, cioè, sarebbe stato ritoccato da qualche artista, un po’ come è successo per la Tilma di Guadalupe, considerata immagine acheropita, cioè non fatta da mani d’uomo, della Vergine Maria. L’operazione dell’artista, però, non sarebbe riuscita perfettamente, lasciando sui bordi laterali dei fili, difficili da raggiungere per le loro dimensioni sub-millimetriche, il colore originale.
Figura 6. (a) Regione degli occhi del Volto Santo di Manoppello restaurato digitalmente. (b) Fotografia ottenuta con il microscopio ottico, corrispondente al riquadro rosso in (a) (regione tra la sclera e l’iride). (c) Fotografia ottenuta con il microscopio ottico del Velo visto in trasmissione, corrispondente al riquadro bianco in (a) (regione dell’iride). (d) Fotografia ottenuta con il microscopio ottico del Velo visto in riflessione corrispondente al riquadro bianco in (a) (regione dell’iride). (e) Schema della rifrazione della luce dal bordo di una fibra cilindrica. (f) Ingrandimento del riquadro rosso superiore in (c). (g) Ingrandimento del riquadro rosso inferiore in (c) (parte della figura originale pubblicata in L. De Caro, E. Matricciani, G. Fanti, Yellowing of ancient linen and its effects on the colours of the Holy Face of Manoppello, Heritage 3 (2020), pp. 1-18: https://www.mdpi.com/2571-9408/3/1/1).
Perché ci sarebbe stato questo cambiamento del colore degli occhi? E quando sarebbe avvenuto?
La cellulosa che costituisce gran parte della struttura delle fibre di lino, con il passare del tempo, sotto l’effetto dell’azione degli agenti naturali, come l’azione ossidante dell’ossigeno contenuto nell’aria, l’umidità e la luce, si degrada. Uno degli effetti di questo invecchiamento naturale è l’ingiallimento del lino.
La Figura 7 mostra, nel primo pannello rettangolare in alto, l’immagine originale oggi visibile sul Velo quando lo si osserva in trasmissione (particolare degli occhi), illuminando il Velo con luce particolarmente radente. Subito dopo, al punto 2 (secondo pannello), è mostrata l’immagine che si ottiene attraverso il restauro digitale, con il colore degli occhi castani. Al punto 3 è mostrata la stessa immagine con il colore degli occhi azzurri, in base all’ipotesi che stiamo discutendo, prendendo come riferimento il colore emerso nell’analisi microscopica (Figure 6f e 6g). Se l’immagine originale visibile sul Velo di Manoppello era quella mostrata al punto 3 (terzo pannello di Figura 21.3), dopo che il lino ha raggiunto il massimo grado di ingiallimento, causato dal trascorrere del tempo, e il conseguente assorbimento preferenziale della componente blu della luce bianca, l’immagine che si sarebbe vista è quella mostrata al punto 4 della Figura 7. Ricordiamo, infatti, che se al blu aggiungiamo il giallo si ottiene il verde.
Figura 7. Schema esplicativo dell’effetto dell’ingiallimento sul colore degli occhi e della conseguente necessità di ritoccarli (figura originale pubblicata in L. De Caro, E. Matricciani, G. Fanti, Yellowing of ancient linen and its effects on the colours of the Holy Face of Manoppello, Heritage 3 (2020), pp. 1-18: https://www.mdpi.com/2571-9408/3/1/1).
Dalle simulazioni emerge un colore dell’iride non naturale, fatto che potrebbe aver spinto a ritoccare il Volto Santo, ricolorando di castano gli occhi, ed ottenere quanto visibile al punto 5 della Figura 7.
Dopo quanto tempo il Velo si sarebbe ingiallito al punto tale da rendere il colore degli occhi non più accettabile per un Volto Santo e, quindi, da indurre al loro ritocco cromatico?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo far riferimento ad un altro nostro studio, pubblicato di recente, in cui abbiamo usato i raggi X per quantificare l’invecchiamento naturale del lino e per mettere a punto una nuova tecnica di datazione dei reperti archeologici tessili.[8] Il nostro studio ha dimostrato la possibilità di datare correttamente i campioni tessili, anche antichi di duemila anni e più, attraverso l’uso dei raggi X. L’invecchiamento naturale avviene per opera dei componenti ossidanti dell’aria, e dipende soltanto dalla temperatura ambiente e dall’umidità relativa. Nei punti di rottura, delle catene polimeriche che costituiscono la cellulosa, principale componente delle fibre vegetali, il lino si ingiallisce a causa dell’ossidazione in aria. Più aumentano i punti di rottura più il colore delle fibre di lino tenderà verso il giallo-oro, sino a raggiungere un massimo di ingiallimento in corrispondenza del numero massimo di rotture delle catene polimeriche della cellulosa.
È possibile calcolare quanto tempo è necessario per raggiunge il massimo livello possibile di rotture nelle catene polimeriche della cellulosa attraverso alcune formule. Anche l’amido è soggetto ad analoghi processi di invecchiamento, ma con tempi differenti dalla cellulosa del lino. Il calcolo teorico [8] per la struttura dei fili del Velo di Manoppello ha dimostrato che, in un periodo di tempo di circa 10±3 secoli l’ingiallimento dei fili di lino inamidati dovrebbe avere causato un’alterazione del colore blu degli occhi, rendendoli verdastri, come mostrato in Figura 7. Se il Velo di Manoppello coincide con quello della Veronica, poiché all’inizio del XIII era mostrato nelle ostensioni, è possibile che il ritocco del colore degli occhi possa essere avvenuto proprio in concomitanza con il suo uso in pubblico. Infatti, già nella seconda metà del XIII secolo il Volto Santo della Veronica era rappresentato con gli occhi castani. Dunque, il ritocco del colore degli occhi è antecedente a quel periodo storico. Poiché, i fili di lino inamidato hanno impiegato un tempo di circa 10±3 secoli per raggiungere il livello massimo di ingiallimento e, quindi, per richiedere il ritocco del colore dell’iride, allora vuol dire che il Velo di Manoppello è molto antico, poiché se sottraiamo 10 secoli al 1208, momento in cui iniziano a Roma le processioni con la Veronica, si arriva all’epoca romana. Il castano sarebbe stato scelto in base all’iconografia tradizionale dell’epoca in cui sarebbe stato fatto il ritocco. Il tutto implica che il Velo di Manoppello potrebbe avere anche duemila anni. La Figura 8 mostra come doveva apparire il Volto Santo di Manoppello in origine, quando il lino inamidato non era ingiallito e il colore dell’iride non era stato ritoccato.
Figura 8: Volto Santo di Manoppello restaurato digitalmente.[9]
Ma se il Velo di Manoppello ha circa duemila anni di storia, allora il Volto Santo su di esso visibile sarebbe la più antica rappresentazione del Volto di Cristo, coeva con la sua predicazione in Terra Santa?
Per giunta, il suo spettro di potenza è simile a quello delle fotografie dei volti umani e non dei ritratti, come da noi dimostrato in uno dei recenti studi [2]. Si tratterebbe, quindi, di un’immagine acheropita del Volto di Cristo, una sorta di fotografia del suo volto?
Il racconto della Veronica, cioè, non sarebbe soltanto una pia leggenda, ma un fatto realmente accaduto, un vero e proprio miracolo?
E Gesù, allora, aveva gli occhi chiari e i capelli rossi?
A questo punto, ci si potrebbe, innanzi tutto, chiedere se gli occhi chiari, i capelli e la barba rossicci sono caratteristiche somatiche riscontrate tra gli Ebrei di duemila anni fa.
Il Primo Libro di Samuele, nel descrivere il re Davide, afferma che «era fulvo [color biondo-rame, rosso], con begli occhi e gentile di aspetto» (1 Sam 16,12). Dunque, nell’etnia ebraica questi caratteri somatici sono possibili. E gli “occhi belli” potrebbero, implicitamente, anche far riferimento ad un colore fuori dal comune per la loro bellezza. Per altro, in Gv 7, 42 il Cristo è indicato discendere dalla stirpe di Davide. La Vulgata latina dello stesso versetto parla del “seme di Davide”: «nonne scriptura dicit quia ex semine David et Bethleem castello ubi erat David venit Christus». San Girolamo, infatti, propone una traduzione più vicina all’originale greco che non parla di genos, cioè di “stirpe”, “discendenza” in senso lato, ma di spermatos, cioè di discendenza diretta da Davide, come se il Cristo fosse suo figlio diretto. Anche Paolo, proprio in apertura della Lettera ai Romani, scrive: «Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne …». Si parla, quindi, sempre del seme di Davide, e non di stirpe di Davide, come se ci fosse una discendenza diretta, geneticamente parlando, dal primo re.
Per la fede cristiana Gesù è stato concepito per opera dello Spirito Santo (cfr. Lc 1; Mt 1). Evidentemente, nello scegliere i 23 cromosomi maschili da associare ai 23 di Maria, lo Spirito Santo avrebbe scelto proprio quelli del re David. Forse per questo motivo Gesù aveva i capelli rossi, come quelli del re David. Questa spiegazione rimane possibile, ovviamente, soltanto nell’ambito della fede cristiana. In ogni caso, se il re David era rosso di capelli e se, presumibilmente, aveva anche dei begli occhi chiari, questi caratteri somatici anche ai tempi di Gesù erano presenti nell’etnia ebraica.
Un dato scientifico significativo, che ben si correla a quanto stiamo qui discutendo, è stato evidenziato da G. Lucotte, analizzando alcuni campioni prelevati dalla Sindone di Torino con un piccolo nastro adesivo posto a contatto con la superficie del lenzuolo.[10] In tal modo particelle microscopiche presenti sul lenzuolo rimangono intrappolate sulla superficie del nastro adesivo e possono essere studiate in laboratorio. In collaborazione con T. Thomasset, il genetista francese ha studiato con un microscopio elettronico a scansione un piccolo frammento di pelo o capello umano, di dimensioni pari a 14´9 micrometri quadrati, in prossimità di una macchia ematica localizzata nella zona del volto dell’Uomo della Sindone, tra le due sopracciglia, vicino al rivolo a forma di “tre rovesciato”. Il frammento è stato prelevato dal lenzuolo con la tecnica suddetta. L’analisi con il microscopio elettronico ha mostrato la presenza di melanosomi sulla superficie del frammento tipici del colore biondo-rosso dei peli della barba o dei capelli. Questo dato emerso dall’analisi microscopica può essere considerato un’importante conferma al fatto che l’Uomo della Sindone, cioè Gesù di Nazareth, avesse i capelli e la barba di color rosso, proprio come visibile nel Volto Santo di Manoppello restaurato digitalmente, in base alle indagini scientifiche su di esso effettuate.
A proposito di corrispondenze tra il Volto Santo di Manoppello e quello dell’Uomo della Sindone, ricordiamo che in uno studio dedicato abbiamo dimostrato la perfetta congruenza dei due volti, dopo aver corretto, però, quello visibile sul Velo dalle deformazioni dovute al cedimento strutturale dei sottili fili di lino che lo costituiscono. La Figura 9 mostra ciò che si ottiene combinando i due volti.
Figura 9: fusione dell’immagine del Volto Santo di Manoppello, restaurata digitalmente, con il volto dell’Uomo della Sindone ottenuto dall’elaborazione digitale delle fotografie con luce visibile e ultravioletti (figura originale pubblicata in L. De Caro, E. Matricciani, G. Fanti, A comparison between the Face of the Veil of Manoppello and the Face of the Shroud of Turin, Heritage 2 (2019), pp. 339-355: https://www.mdpi.com/2571-9408/2/1/23).
Un paio di considerazioni, prima di chiudere.
La nuova tecnica di datazione dei lini antichi con i raggi X, è alternativa a quella del carbonio 14, e potrebbe essere usata per datare la Sindone di Torino, il Sudario di Oviedo, e lo stesso Velo di Manoppello, prelevando piccoli campioni di filo, anche lunghi un paio di millimetri. Infatti, la presenza di possibili contaminazioni di epoche successive, che rendono non sempre affidabile il metodo della datazione al carbonio 14 quando è applicato a reperti archeologici tessili, non ha nessuna influenza sulla datazione effettuata con i raggi X.
E, infine, forse non è un caso che la beata Alexandrina Maria Da Costa che, dal 1938 al 1942, visse per ben 182 le sofferenze della Passione di Cristo - superando, per tre ore e mezza, lo stato di paralisi da cui era affetta, scendendo dal letto e ripercorrendo a gesti l’intera Via Crucis -, riferendosi al Velo della Veronica, abbia scritto nel suo diario: “quel ritratto senza uguale sarà contemplato sino alla fine del mondo”.[11] Aggiungerei: sarà anche studiato sino alla fine del mondo, come la Sindone di Torino, poiché per quante prove scientifiche si potranno avere circa la loro autenticità, come reliquie, rimarrà sempre aperto quel margine di incertezza che permetterà ad ogni uomo di essere libero di credere in Dio. Le scoperte scientifiche, cioè, possono diventare strumento affinché l’uomo si apra alla fede in Dio, ma non sostituiscono questo dono di Dio che l’uomo è chiamato, nella sua libertà, ad accettare nella sua vita. Le reliquie cristologiche sono antiche testimonianze della Passione, morte e Risurrezione di Cristo. Con la scienza le si interroga ed esse testimoniano, talvolta cosa è avvenuto (Passione e morte), altre volte cosa potrebbe essere avvenuto (Risurrezione). E come accadde ai primi testimoni del Risorto, che si sentirono anche dire «Ti sentiremo su questo un’altra volta» (cf. Atti 17, 32), il credere nella Risurrezione di Cristo rimarrà sempre una questione di fede che nessuna evidenza scientifica potrai mai dimostrare.
[1] L. De Caro, E. Matricciani, G. Fanti, Imaging analysis and digital restoration of the Holy Face of Manoppello – Part I, Heritage 1 (2018), pp. 289-305: https://www.mdpi.com/2571-9408/1/2/19
[2] L. De Caro, E. Matricciani, G. Fanti, Imaging analysis and digital restoration of the Holy Face of Manoppello – Part II, Heritage 1 (2018), pp. 349-364: https://www.mdpi.com/2571-9408/1/2/24
[3] L. De Caro, E. Matricciani, G. Fanti, A comparison between the Face of the Veil of Manoppello and the Face of the Shroud of Turin, Heritage 2 (2019), pp. 339-355: https://www.mdpi.com/2571-9408/2/1/23
[5] figura originale pubblicata in L. De Caro, E. Matricciani, G. Fanti, Yellowing of ancient linen and its effects on the colours of the Holy Face of Manoppello, Heritage 3 (2020), pp. 1-18: https://www.mdpi.com/2571-9408/3/1/1
[6] Giuliana di Norwich, Libro delle rivelazioni, Ancora, Milano (2003), pp. 126-127.
[7] Donato da Bomba, Relatione Historica d’una miracolosa imagine del volto di Christo, a cura di Emanuele Colombo e Michele Colombo, Marietti Editore (2016).
[8] L. De Caro, C. Giannini, R. Lassandro, F. Scattarella, T. Sibillano, E. Matricciani, G. Fanti, X-Ray Dating of Ancient Linen Fabrics, Heritage 2 (2019), pp. 2763-2783: https://www.mdpi.com/2571-9408/2/4/171
[9] L. De Caro, I Cieli Raccontano, vol. IV, Centro Editoriale Valtortiano, Isola del Liri (Fr), 2019.
[10] G. Lucotte and T. Thomasset, Scanning Electron Microscopic Characterization and Elemental Analysis of One Hair Located on the Face of the Turin Shroud, Archaeological Discovery 5 (2017), pp. 1-21.
[11] Alexandrina Maria Da Costa, Cristo Gesù in Alexandrina, Autobiografia, Tipografie Domenicane (1973), p. 210.