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Giovani. Galantino: educare significa prendersi cura della fragilità dell'altro

Al convegno nazionale di pastorale giovanile il segretario della Cei: «Dobbiamo curarci della fragilità, la nostra prima di tutto, solo così potremo stare davanti a quella degli altri da educatori»

«Oggi accettare il compito educativo significa anche incontrare una fragilità che appare sempre più pervasiva, dilagante e angosciosa. Non vogliamo certo essere pessimisti e pensare l’educazione solo in termini drammatici; ma non vogliamo nemmeno essere ingenui e chiudere gli occhi sulle fatiche di crescere. Trasformare la fragilità dei giovani in “luogo teologico” di annuncio della salvezza è forse la sfida più grande che abbiamo».
Non usa giri di parole il segretario generale dei vescovi italiani, monsignor Nunzio Galantino, rivolgendosi ai 700 giovani delegati di 165 diocesi italiane, riuniti nella bellissima e moderna chiesa del Sacro Cuore di Bologna, per la Messa d’apertura del XV Convegno nazionale di pastorale giovanile in corso fino a giovedì 23 febbraio. Il tema dell’incontro, “La cura e l’attesa. Il buon educatore e la comunità cristiana” ruota proprio attorno alla fragilità che tocca sia i giovani che i loro educatori.

«Temo chi è tutto d’un pezzo – ha detto Galantino –. La vera sfida è prendersi cura della fragilità, la nostra prima di tutto, solo così potremo stare davanti a quella degli altri da veri educatori».
«In passato l’educatore aveva un inconfondibile profilo “massiccio”, oggi invece anche lui ha bisogno di essere educato – è intervenuto lo psichiatra Vittorino Andreoli che ha aperto i lavori -. Sembra un paradosso, educare gli educatori, ma il fatto è che il mondo dell’adolescenza è in continuo cambiamento e che questa “professione” si basa sulla relazione con i ragazzi da cui possiamo imparare. Infatti se ho un problema con il computer per risolverlo so che devo rivolgermi a mio nipote adolescente».

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Una ricetta indispensabile per creare un “buon educatore” però non esiste e va cercata insieme, spiega ancora Andreoli. Indispensabile passare dalla riscoperta del «senso del limite», perché per Andreoli «l’adulto, che sia insegnante, genitore, medico, è in crisi. E, se l’educatore vuole superarla, «soprattutto non deve avere l’idea di essere lasciato solo nel suo compito». Questa fragilità – riprende - ha bisogno dell’altro e «non va confusa con la debolezza».

In mezzo a tante difficoltà occorre «prenderci cura, come pastori, gli uni degli altri», ha raccomandato Andrea Turazzi, vescovo di San Marino-Montefeltro, guidando la preghiera d’apertura del convegno (presente in sala anche Maurizio Gervasoni, vescovo di Vigevano, ndr.), può essere un modo «per camminare insieme verso il Sinodo dei giovani del 2018».
I lavori di questi giorni intanto sono stati affidati al bolognese don Riccardo Tonelli, salesiano mancato nel 2013, tra gli ispiratori della rivista “Note di pastorale giovanile”.

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Daniela Pozzoli

© Avvenire, lunedì 20 febbraio 2017

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