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I futurologi hanno toppato, è la Bibbia che parla al domani

Festival Biblico: Conferenze, letture, meditazioni, ma anche concerti, mostre e spettacoli in cinque province venete per capire ciò che la Sacra Scrittura ha da dire sul futuro. A tutti, credenti e non

Cosa ha da dire oggi la Bibbia sul nostro futuro? Ha senso interrogarci sul futuro quando quest’ultimo sembra scomparso dall’orizzonte, ormai occupato da un presente “eternizzato” dal cono di luce dei media, che trasforma tutto in un “tg” permanente? E ancora: che ne è delle utopie, delle speranze in un avvenire migliore, degli aneliti per un mondo più giusto? La crisi che ci attanaglia sembra aver tarpato le ali a qualsiasi sogno; i futurologi hanno toppato ogni previsione e il domani genera incertezza, fa paura.

Quasi in controtendenza, il Festival Biblico (che comincia giovedì 3 e termina domenica 27 maggio) ci richiama, invece, a guardare attentamente e senza paura al futuro. Come sempre a partire dalle Scritture, che sono messaggio profetico, narrazione di un avvento, di qualcosa che sta per essere, una promessa.

«Non si può parlare di futuro senza parlare del tempo. E, passatemi il gioco di parole, stiamo vivendo in un tempo di crisi del tempo. In un contesto in cui il tempo sembra mancare, a causa della sua accelerazione, per la difficoltà di reggere i ritmi del quotidiano», esordisce Luciano Manicardi, priore della Comunità monastica di Bose, che inaugurerà il Festival, il 3 maggio a Vicenza, dialogando con la giornalista e scrittrice Concita De Gregorio sul tema L’attesa dice il futuro.

luciano-manicardi-portrait_2403089.jpgLUCIANO MANICARDI, PRIORE DI BOSE E LA TIRANNIA DEL PRESENTE

Il monaco ci invita a riflettere sul fatto che «la società dei consumi, che produce oggetti senza futuro, destinati a essere presto sostituiti da nuovi oggetti, così consuma anche il tempo. E il “nuovo” non è il futuro, ma un suo simulacro». Citando, poi, l’antropologo francese Marc Augé e il suo Che fine ha fatto il futuro?, evidenzia che tale crisi ha atrofizzato la capacità di progettare il domani, di dare speranza. «Anche la politica è impelagata nel presente», continua Manicardi, «e si è ritirata dall’immaginare dei possibili, abdicando alla sua missione: quella di tentare l’impossibile per arrivare al possibile, continuando a crederci anche quando ogni speranza è caduta. È la spes contra spem cara alla Bibbia e al messaggio evangelico. È il paradosso, anzi l’ossimoro cristiano: sperare l’insperabile, credere nella morte della morte».

È qui che il “Libro dei libri” manifesta ancora una volta la capacità di offrire parole di vita, in grado di scuotere l’uomo di oggi. L’attualissima lezione della Bibbia, spiega ancora il nuovo priore di Bose, è che è proprio nei momenti più bui del popolo d’Israele, durante l’esilio per esempio, che sono sorti i profeti con messaggi di straordinaria speranza nel futuro.

«Proprio nel baratro della crisi, si sono elevate le voci profetiche più potenti e ardite di Isaia, che prefigurano un mondo di giustizia e pace, senza armi, né morte», prosegue Luciano Manicardi. «Immagini che hanno suscitato nel tempo movimenti di liberazione che hanno mosso la storia. Riprendiamo a immaginare il futuro. Non è forse vero che se non ci fosse stato qualcuno che fin dall’antichità non avesse immaginato il viaggio verso la luna, il piede dell’uomo non avrebbe mai toccato il suolo lunare? Forse l’imperversare del presente va colto proprio come sfida dell’immaginazione che può dare forma a un futuro, e perciò a delle speranze con creatività. “Chiedo a tutti di essere creativi”, scrive papa Francesco nell’enciclica Evangelii gaudium». Con una precisazione: «Non siamo solo noi a costruire il futuro, ma, dice la Bibbia, c’è qualcosa che ci viene incontro. Non a caso l’Apocalisse si chiude con un “Io verrò presto”. Ci dobbiamo allora preparare a qualcosa che sta per avvenire: futuro, per noi cristiani è anche attesa, incontro. «È tensione interiore che ha bisogno di tempo, attività spirituale, otium, lentezza», conclude padre Manicardi. «E Paul Celan, come solo i grandi poeti riescono a dire, scrive: è tempo che sia tempo».

concita-de-gregorio_2403102.jpgCONCITA DE GREGORIO: «MA C’È CHI RUBA LA SPERANZA»

Sul fallimento della politica e il furto del futuro perpetrato ai danni delle nuove generazioni punta, invece, la riflessione di Concita De Gregorio, che parte dalla sua esperienza professionale e da una ricerca che inizia da lontano. «Quasi otto anni fa ho deciso di darmi del tempo per dedicarmi totalmente all’ascolto, perché ho constatato il venire meno nel nostro Paese di valori come, appunto, l’ascolto di chi ti sta di fronte, del senso di comunità e della cura dell’altro», spiega la giornalista.

Dalle migliaia di interviste realizzate prima a donne italiane e poi ai cittadini incontrati girando la Penisola, durante la realizzazione del programma Fuori Roma, la giornalista ha rilevato amaramente «come la speranza di un futuro per i nostri figli sia stata cancellata. E come ciò abbia causato un guasto enorme: la generazione perduta all’impegno, vive oggi senza riferimenti di comunità, se si esclude forse l’ultimo presidio costituito dalla Chiesa, né luoghi dove ripensare alla politica».

Per la giornalista questo orizzonte senza futuro ha finito per dar vita solo a nuove militanze, figlie della rabbia, che nelle nostre desolate periferie sono rappresentate da gruppi e politiche ribelliste, «come il leghismo al Nord e il grillismo al Sud», osserva ancora. «Tutto questo a causa di una classe politica che non ha fatto il proprio dovere. Fare politica come cura della polis significa piantare un seme all’ombra del cui albero non riposerai».

Oggi le scelte politiche vengono determinate dai sondaggi e dalla logica del consenso. Sono così finite le utopie che muovevano le generazioni del secolo scorso? «Non lo so», risponde De Gregorio. «Di certo l’utopia, oggi, è quell’istinto naturale che il mondo attorno ai giovani fa in modo di soffocare. Devo, tuttavia, riconoscere ai nostri figli una nuova empatia, una sensibilità, che definirei di tipo poetico, nei confronti del mondo e dell’umanità, che pone attenzione alle problematiche dell’ambiente come a quelle dell’emarginazione sociale, della disabilità, o della pace minacciata nel mondo e che li porta spesso a un serio impegno nel campo del volontariato».

Da laica, la giornalista riconosce, infine, come le parole della Bibbia abbiano sedimentato fin dall’infanzia valori e opzioni culturali: «Pur non potendomi certo definire una cristiana militante, se insegno ai miei figli, per esempio, l’importanza della sobrietà, o della condivisione, lo faccio proprio perché la mia formazione è cristiana. Così se li spingo a continuare a camminare anche se tutt’intorno è buio, lo faccio proprio perché le parole della Bibbia hanno lavorato dentro di me, senza che lo sapessi. Trovo che tante pagine dell’Antico Testamento siano potenti, piene d’energia e più volte mi sono ritrovata a rileggerne alcune». Nella sua borsa per andare a Vicenza ci sarà posto anche per una Bibbia.

Alberto Laggia

© www.famigliacristiana.it, venerdì 4 maggio 2018

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