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I vescovi del Mediterraneo a Bari, Pizzaballa: sarà importante ascoltarci e imparare gli uni dagli altri

Nell’intervista all’amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme i temi da affrontare nell’incontro promosso dalla Cei

Dal 19 al 23 febbraio Bari ospiterà l’incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Conferenza episcopale italiana, su iniziativa del presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti. Parteciperanno poco più di cinquanta vescovi in rappresentanza delle Conferenze episcopali dei 19 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Non sarà un evento di circostanza, non sarà un convegno accademico, né un vertice politico, né un summit di economia: sarà un incontro di riflessione e spiritualità tra pastori che, sotto la guida dello Spirito, vogliono lavorare insieme, con metodo sinodale, per il bene dei popoli. Fra gli altri, sarà presente l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa: frate minore francescano, 54 anni, già Custode di Terra Santa, dal 2016 è amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme cui fanno capo i cattolici di rito latino residenti in Israele, Palestina, Giordania e Cipro. In questo territorio i cristiani costituiscono l’1% della popolazione: i cattolici sono la metà: 170mila in Giordania, 130mila in Israele, 45mila in Palestina.

In questa conversazione con Vatican Insider, l’arcivescovo Pizzaballa riflette sull’incontro di Bari dedicato al Mediterraneo.

Anzitutto, come valuta questa iniziativa promossa dalla Cei?

«Tutte le iniziative che possono aiutare le Chiese a comprendere e attraversare il passaggio storico che si sta vivendo nel Mediterraneo sono benvenute. Sino ad oggi si sono svolti solo incontri tra vescovi del nord Africa, del Medio Oriente o del sud Europa ma noi pastori della regione mediterranea non ci siamo mai riuniti tutti insieme: l’iniziativa promossa dalla Cei è perciò lodevole. Avremo modo di conoscerci, di confrontare le nostre esperienze, e questo cammino ci aiuterà a guadagnare prospettive condivise. Certo non produrremo documenti capaci di risolvere i gravi problemi che affliggono la regione mediterranea ma confido che riusciremo a delineare criteri di valutazione e individuare linee guida da offrire poi alle nostre comunità». 

Quali esperienze in particolare vuole condividere con i suoi confratelli vescovi?

«Racconterò la nostra esperienza di Chiesa che, nonostante l’esiguo numero di fedeli e il contesto difficile nel quale vive, non è ripiegata su se stessa ma è aperta alle relazioni con tutti, e lavora alacremente attraverso le sue numerose strutture scolastiche, sanitarie, assistenziali; una Chiesa capace di resilienza, che affronta i problemi con un atteggiamento non violento ma, allo stesso tempo, non rinunciatario».

Nell’invito recapitato alle diverse Conferenze episcopali dal Comitato scientifico organizzatore dell’incontro, è stato chiesto ai vescovi di indicare quali problemi e questioni intra-ecclesiali ed extra-ecclesiali reputano più importanti e urgenti. Lei quali temi ha indicato?

«In Terra Santa la questione extra-ecclesiale più rilevante è senza dubbio quella politica: in Israele si sono svolte tre elezioni in un anno, nella zona palestinese, invece, non ricordo nemmeno quando si sono tenute le ultime elezioni: sono due situazioni profondamente differenti che tuttavia mostrano la medesima fragilità politica, che – occorre sottolinearlo – caratterizza in vario modo tutto il Medio Oriente. L’indebolimento della politica ha pesanti ripercussioni sull’economia e sulla vita sociale: viviamo un tempo di cambiamenti che gravano sulla popolazione. Guardando al futuro le prospettive appaiono poco chiare e molto fragili».

Quali sono i passi decisivi per abitare evangelicamente questi cambiamenti?

«In questo contesto delicato e complicato, l’importante, per noi cattolici, è promuovere con sempre maggior impegno l’unità, il dialogo ecumenico che deve portare ad azioni comuni: il rapporto con le altre Chiese è decisivo. Inoltre reputo fondamentale rafforzare tra i fedeli il senso di comunità e maturare prospettive specificamente cristiane: non possiamo limitarci ad analizzare e criticare la situazione, è necessario comprendere quale sia la nostra vocazione in questa terra e agire di conseguenza». 

Vi sono iniziative particolari da segnalare in ordine a questi obiettivi?

«Le iniziative avviate sono moltissime, probabilmente troppe. Bisognerebbe ridurle, coordinare meglio quelle più promettenti conferendo loro maggiore profondità».  

Quale ritiene sia la questione intra-ecclesiale più rilevante e urgente da affrontare nell’incontro di Bari?

«A mio giudizio è indispensabile lavorare con e per le giovani generazioni sostenendo la loro fede. Alcuni giorni fa ho incontrato un nutrito gruppo di universitari cristiani che vivono in Israele: dalle loro parole si comprendeva bene che a unirli era il rapporto con Gesù, non l’analisi delle questioni politiche, economiche e sociali del Paese. È la fede ciò da cui occorre sempre ripartire».

Durante l’incontro di Bari pensa di proporre ai suoi confratelli vescovi qualche iniziativa comune?

«Non credo lo farò, non è importante. Lo scopo del nostro incontro, a mio giudizio, non dovrebbe essere primariamente lo studio di nuove iniziative, che tra l’altro porterebbero le nostre comunità a vivere passando da un evento all’altro con il rischio che vada smarrita la dimensione quotidiana e domestica della fede. Lo scopo principale di questo incontro, per me, dovrebbe essere ascoltarci e imparare gli uni dagli altri. Noi vescovi viviamo in contesti molti differenti ma abbiamo tutti la responsabilità di scuole, ospedali, università, strutture caritative e assistenziali. Conoscere le esperienze pastorali, le soluzioni e le strategie di intervento adottate dalle Chiese nei diversi Paesi sarà di grande utilità».

Sono questi, dunque, i frutti che lei auspica possa portare questo incontro.

«Dopo trent’anni vissuti in Medio Oriente non mi aspetto grandi risultati: non saremo certo noi vescovi a risolvere i problemi del Mediterraneo. Mi auguro però che riusciremo a comprendere meglio come aiutare e sostenere le nostre comunità, quali orientamenti offrire loro, come abitare evangelicamente nei diversi contesti sociali. Ascoltando i miei confratelli spero di avere qualche intuizione felice che possa giovare al gregge che mi è stato affidato».

Cristina Uguccioni

© www.lastampa.it, martedì 28 gennaio 2020

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