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I vescovi pugliesi: «Un’eredità di speranza e apertura al mondo»

Abbiamo chiesto ad alcuni vescovi pugliesi quale sia l’eredità del Concilio Vaticano II

Abbiamo chiesto ad alcuni vescovi pugliesi quale sia l’eredità del Concilio Vaticano II. Ecco le loro risposte.

Mons. Satriano (Bari-Bitonto). «Anche oggi, come 60 anni fa, la Chiesa si rallegra riconoscendo, con gratitudine, come lo Spirito Santo abbia reso quell’esperienza, e quanto da essa è nato, una bussola per il suo cammino nel mondo al servizio del Vangelo. Il «Nord» indicato all’intera famiglia cristiana e umana ci pare sia e resti il bisogno di unità: grido che anche oggi sale dalla storia, drammaticamente segnata da guerre e divisioni. D’altra parte è questa la particolare vocazione della nostra Chiesa locale; ricordiamo che papa Francesco, in occasione dell’incontro delle Conferenze Episcopali dei Paesi del Mediterraneo, il 23 febbraio 2020, ha designato Bari come «capitale dell’unità».

Mons. Seccia (Lecce). «Il Concilio è stato un tempo di grazia in cui la Chiesa tutta e i padri conciliari in particolare hanno inteso ascoltare la voce dello Spirito Santo, hanno abbandonato ogni schema precostituito e hanno cercato di guardare le realtà del mondo contemporaneo alla luce del Vangelo. I padri hanno saggiamente espresso il desiderio che la Chiesa sia, più che irremovibile giudice, una vera compagna di strada dell’umanità. Il Concilio, i suoi documenti, le sue riforme hanno dato uno slancio e una vitalità nuova alla Chiesa intera ed è pertanto compito di ogni pastore attuarne le indicazioni, ancora oggi valide, perché veramente profetiche».

Mons. Santoro (Taranto). «Con il Concilio la Chiesa non si identifica più solo nella gerarchia, nel clero, nei religiosi e religiose, ma in un popolo presente tra tutti i popoli della terra: il Popolo di Dio. Questo segna da un lato la fine di un blocco della cosiddetta “Società cristiana” che si impone in un insieme monolitico di vita sociale, di cultura e di politica, d’altro lato nella riproposizione coraggiosa del fatto che Dio è diventato uomo, è un Avvenimento, e continua presente nella storia come annuncio di vita piena. Un annuncio di speranza di fronte ai drammi lasciati aperti dall’individualismo e da una certa globalizzazione del pensiero unico. Vedo a Taranto cosa ha significato in termini di perdite di vite umane e di contaminazione ambientale il vanto di produrre il miglior acciaio d’Europa, ignorando le persone e il rapporto umano con la Città».

Mons. Angiuli (Ugento-S. Maria di Leuca). «È l’evento ecclesiale più importante della fine del Novecento e la cui ricezione costituisce il compito specifico del XXI secolo. Una rinnovata “Pentecoste” che chiude il “secolo breve” con tutto il suo carico di contraddizioni e apre un nuovo cammino per sprigionare la sua carica profetica nel terzo millennio. Prioritario rimane lo stile dell’ascolto e del discernimento comunitario, indicazione chiaramente emersa già al terzo Convegno ecclesiale italiano celebrato a Palermo (novembre 1995). Quattro sono i temi da riprendere e sviluppare: la teologia dei segni dei tempi; una rinnovata riflessione sulla vocazione e la missione dei laici; la valorizzazione di una prassi di pace che sappia coniugare giustizia, sviluppo e custodia del creato; la centralità della liturgia».

Mons. Caliandro (Brindisi-Ostuni). «Parlare del Concilio è parlare di qualcosa di giovane, di nuovo che è avvenuto nella Chiesa cattolica. Veramente lo Spirito santo ha fatto sì che l’annuncio del Vangelo potesse essere riscoperto nella sua freschezza. Studiavo a Roma nel 1967 ed il Concilio era finito da poco e mi sono incontrato con Romano Guardini. È attraverso quest’uomo che io vedo che cosa è stato il Concilio, preparato da persone che lo Spirito santo ha suscitato nella Chiesa, da Guardini a de Lubac a Congar. Il Concilio rappresenta tutto lo sforzo della Chiesa per ricalarsi nella comprensione e nella ragionevolezza del suo tempo».

Mons. Moscone (Manfredonia-Vieste-S.G.Rotondo). «Il Concilio si era presentato come la Primavera della Chiesa e l’abbiamo pensato e considerato così. È una Primavera che però stenta a fiorire. Abbiamo bisogno tutti di entrarci dentro e di assumere le sfide che erano previste sessant’anni fa e che erano sfide mondiali e di cattolicità completa. Sfide che vanno di sicuro riproposte. La voce della Chiesa, come comunione e universalità, è la voce della speranza che è nel cuore di ogni uomo che deve ancora essere evidenziata e sbocciare in momenti come questi in cui sembrano venir meno le motivazioni della speranza che passa attraverso la Pace».

Mons. Ciollaro (Cerignola-A. Satriano). «Pensando al Concilio Vaticano II avverto un sentimento di gioia e di gratitudine: di gioia perché è evidente che è stato un dono che Dio ha fatto alla Chiesa del nostro tempo, di gratitudine per tutta la gamma di frutti che dal Concilio son derivati. Frutti che riscontro certamente nella diocesi che mi è stata affidata, ma anche nell’esperienza di vicario generale a Brindisi e nell’esperienza di parroco per tanti anni. Nel cammino quotidiano della vita pastorale, il Concilio con le sue indicazioni, davvero è stato, è e potrà essere una luce per il cammino della Chiesa».

Michele Partipilo

© www.lagazzettadelmezzogiorno.it, martedì 11 ottobre 2022

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