Il buon signor Dio e la pioggia creativa
Da un piccolo contenitore versò con cura poca acqua nelle vaschette accanto ai colori; scelse un pennello da un mazzetto di varie misure, lo inumidì, lo passò più volte sul quadrettino dell’azzurro, fra l’indaco e il blu, e tenendone sospesa sulla carta la punta gonfia d’acqua colorata alzò di nuovo gli occhi dal disegno al cielo per controllare che l’intensità del colore corrispondesse. Distrattamente notò che ora nell’azzurro c’era qualche nuvola in più e che anzi, laggiù dall’orizzonte, ne stava salendo una molto grande ma scosse il capo e si concentrò sull’album, cominciando a trascinare leggermente il pennello sul foglio che via via colorava di quella delicata sfumatura di celeste. Lasciò qua e là delle piccole zone senza colore per le nuvole, che subito dopo con un pennello più piccolo con cui aveva appena sfiorato i quadretti del rosa e del grigio segnò con un’ombra leggera. Sempre velocemente, lavando e ripassando ogni volta i pennelli nell’acqua delle vaschette, continuò a riportare sulla carta i colori del paesaggio: brillanti o morbidi, limpidi o soffusi, caldi o sfumati.
Lavorava concentrato in quanto stava facendo nascere sul foglio: scopriva riflessi, aggiungeva ombre e accennava particolari, lasciando indietro ciò da cui aveva preso l’ispirazione: se ne allontanava riproponendo tutto come un ricordo quasi dimenticato, una lontana memoria piena d’infinita nostalgia. Continuò fin quando non decise che l’opera era compiuta e allora sostò ad ammirarla compiaciuto, apprezzandone tutta la bellezza.
Tornò a volgere lo sguardo al panorama per coglierne le tracce nascoste nella Sua nuova creazione, ma vide che adesso la luce era diversa e si rese conto che nel frattempo le nuvole s’erano addensate, scurite ed estese, tanto che ormai occupavano il cielo nascondendo quasi il sole: si stava preparando un gran temporale. Un attimo dopo, infatti, dall’orizzonte lampeggiò lucente la saetta di un fulmine mentre il tuono rimbombava nella valle e cadde una prima grossa goccia di pioggia che andò proprio a finire sull’album da disegno e rotolò lenta attraverso tutto l’acquerello con una striscia sottile in cui si scioglievano i colori. Subito ne seguirono altre sempre più fitte, a scrosci, mentre tutt’intorno nella campagna i prati, i campi, gli alberi, l’erba, lo stagno, la strada bianca e ogni cosa sembravano scomparire cancellati dall’acquazzone improvviso. E sotto quella cascata d’acqua i colori sulla carta stingevano e colavano e sbiadivano e venivano lavati via, finché restò sul foglio bianco soltanto la prima sottile traccia di matita che la pioggia non riusciva a far scomparire.
Intanto il Buon Caro Vecchio Signor Dio se ne stava seduto sul seggiolino mentre l’acqua diluviava furiosa su di Lui e sull’album e sul Suo disegno e su ogni cosa, e un gran sorriso mostrava quanto si stesse divertendo.
Ma ormai l’acquazzone s’era in gran parte sfogato e già lasciava capire che di lì a poco sarebbe tutto finito: la pioggia diventava meno fitta, i tuoni e i lampi diminuivano e si allontanavano, gli scrosci accennavano a rallentare per ridursi fra breve a un’abbondante pioggerella e poi ancora a un rado gocciolio. Poco dopo, difatti, quella furia era passata e le nuvole erano tornate piccole e inoffensive lasciando di nuovo il cielo al sereno e al sole che aveva deciso di riaffacciarsi: subito ogni cosa brillò lucida e nuova mentre una brezza leggera si preparava ad asciugare la terra.
Una larga pozzanghera indugiava ancora ai piedi del Buon Caro Vecchio Signor Dio che si era chinato a osservarla: le tinte dell’acquerello dilavato dalla pioggia erano tutte lì, tante allegre macchie di ogni colore che indugiavano sulla superficie dell’acqua azzurrata dal riflesso del cielo navigando lente, senza mischiarsi, come portata ognuna da una corrente segreta.
Allora il Buon Caro Vecchio Signor Dio intinse il Suo pennello più grosso in quell’acqua colorata e con un gesto forte e deciso lo alzò di scatto in un grande arco verso il cielo, spruzzandolo di infinite goccioline, così che lassù, sopra il mondo ancora bagnato di pioggia, s’inarcò altissimo, esile e perfetto, il primo arcobaleno. Egli restò a guardare quel gran nastro luminoso che legava l’uno all’altro gli estremi dell’orizzonte e vide che era molto bello. Come faceva spesso si passò compiaciuto la mano sulla fluente barba bianca mentre mormorava fra Sé e Sé: «Voglio proprio farci qualcosa di molto buono con tutto questo, prima o poi!».
Sorridendo raccolse il seggiolino pieghevole, riprese sottobraccio l’album e la scatola degli acquerelli e si avviò fischiettando per la discesa, diretto a casa.