Il cortile dei gentili
Di fronte alla situazione di così esteso disinteresse religioso Papa Benedetto XVI ha sollecitato la Chiesa cattolica con due iniziative complementari.
La prima è stata la creazione del Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione. Il Consiglio, ancora in fase di strutturazione è diretto da Mons. Rino Fisichella che il 12 ottobre 2010 ha presentato le linee fondamentali della sua attività fissate nel Motu proprio «ubicumque et semper», documento costitutivo firmato dal Papa il 21 settembre 2010.
La seconda iniziativa è il «Cortile dei Gentili» o come suona il titolo del sito internet: «atrium Gentium», che il Papa ha affidato al Pontificio Consiglio della Cultura presieduto dal Cardinale Gianfranco Ravasi. Il «Cortile dei Gentili» ha aperto i cancelli in questi giorni con iniziative di notevole rilevanza: Università di Bologna 12 febbraio e Parigi, in varie sedi 24 e 25 marzo.
I suggerimenti del Papa e i programmi degli organi di Curia suppongono tre convinzioni. La prima è l'incapacità della Chiesa ad agganciare tutti gli strati della società attraverso i riti e le strutture tradizionali. La seconda è che la chiesa può offrire parole significative per orientare la vita solo se apprende l'uso di nuovi linguaggi. La terza è che anche la Chiesa ha bisogno di ascoltare i profeti.
Benedetto XVI è ritornato più volte su questi temi. Nel discorso alla Curia del dicembre 2009, che potrebbe essere considerato la Magna Carta del progetto, riferendosi alle visite nella Repubblica Ceca e a Parigi compiute in quell'anno il Papa ha dichiarato: «Considero importante soprattutto il fatto che anche le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore a noi come credenti». La questione di Dio infatti «rimane presente pure per loro, anche se non possono credere al carattere concreto della sua attenzione per noi... Come primo passo dell'evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l'uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde». Ricordando poi la Parola del profeta Isaia (56,7) citata da Gesù (Mc. 11,17) «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti» il Papa ha commentato: «Egli pensava al cosiddetto cortile dei gentili, che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio libero per i gentili che lì volevano pregare l'unico Dio, anche se non potevano prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l'interno del tempio». Concluse suggerendo una proposta apostolica come impegno concreto del dovere missionario: «Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di «cortile dei gentili» dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l'accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto». Questa è anche la ragione per la quale Benedetto XVI, ovunque va, ha cura di intessere un dialogo con gli uomini di scienza, di filosofia, di arte e di cultura.
D'altra parte sono numerosi anche atei o in genere agnostici che considerano dannoso l'oblio delle tradizioni religiose e necessario il dialogo con i credenti. La psicoanalista, letterata Julia Kristeva ad esempio, sostiene il dovere per tutti di fare tesoro di ogni tradizione e di saperla «transvalutare», «vale a dire ripensarla e attraversarla, cercando di trarne tutto ciò che può essere positivo per noi contemporanei. Ciò vale per tutta la tradizione, le tre religioni monoteistiche, ma anche la cultura classica, il taoismo o il confucianesimo» (Intervista in Repubblica, 21 giugno 2010). La scrittrice continua «Per me il bisogno di credere è il fondamento del sapere. E una necessità antropologica che la storia delle religioni ha capitalizzato attraverso le varianti cristiana, islamica, ebraica, taoista. Noi atei dobbiamo riscoprire le radici di tale bisogno, favorendo in questo modo il dialogo tra credenti e non credenti, un dialogo alla pari dove ciascuno possa spiegare e difendere le proprie posizioni» (ib.). La nota scrittrice ha sviluppato queste convinzioni nel libro «Il bisogno di credere» (Donzelli, Roma 2006).
la Piazza del dialogo e il nuovo linguaggio
La simbologia del Cortile dei gentili ha il pregio di richiamare l'universalità del problema Dio, ma anche di superare l'esclusione che il tempio ebraico imponeva. Quei pochi gradini che nel tempio di Gerusalemme separavano il cortile delle «genti», dall'area riservata agli ebrei, ai sacerdoti, ai sacrifici e all'Aula santa ora vengono discesi dai credenti per incontrare e dialogare con tutti. Il muretto viene distrutto dalla volontà di incontro. Il 17 gennaio scorso il Cardinale Ravasi in una lectio magistralis alla Facoltà di Architettura (Porte aperte tra il tempio e la piazza) ha utilizzato l'immagine della piazza richiamandosi «alla planimetria di certe città a radiali connesse al «sole» ideale rappresentato dalla cattedrale posta nel cardine centrale urbano». Egli ha poi ripreso le parole del laico russo ortodosso, vissuto a Parigi, Pavel Evdokimov (1901-1970), il quale «dichiarava che tra la piazza e il tempio non ci deve essere la porta sbarrata, ma una soglia aperta per cui le volute dell'incenso, i canti, le preghiere dei fedeli e il baluginare delle lampade si riflettano anche nella piazza dove risuonano il riso e la lacrima, e persino la bestemmia e il grido di disperazione dell'infelice. Infatti, il vento dello Spirito di Dio deve correre tra l'aula sacra e la piazza ove si svolge l'attività umana. Si ritrova, così, l'anima autentica e profonda dell'Incarnazione che intreccia in sé spazio e infinito, storia ed eterno, contingente e assoluto» (Osservatore Romano, 17-18 gennaio).
Oltre i gradini e il muretto
Ma ce un dato ulteriore da tenere presente: la Chiesa avverte che deve scendere ora quei gradini e oltrepassare il muretto di divisione e andare incontro alle «genti» per diventare essa stessa capace di annunciare il Vangelo. Essa sa di non essere ancora capace di farlo in modo completo e fecondo. Sa che l'inefficacia della sua azione dipende anche dalla distanza del linguaggio utilizzato, linguaggio formulato in orizzonti culturali molto diversi, è diventato oggi incomprensibile. Per molto tempo si è pensato che le formule della dottrina cristiana fossero efficaci perché vere in se stesse e che dovessero essere ripetute senza cambiamenti perché immutabili. Lo stesso Cardinale Ravasi in una intervista a Repubblica (8 dicembre 2010) ha espresso con chiarezza la sua convinzione in merito: «Nella cattolicità ha prevalso lungamente una posizione, diciamo così, «sostanzialista». Il messaggio da comunicare era permanente, sia nel contenuto che nella formalizzazione. Con i conseguenti rischi di fondamentalismo e dogmatismo. Per contro, in Occidente si è via via imposta un'idea secondo cui tutto è interpretazione: non esiste un fondamento, una verità... Da qui discende il filone del soggettivismo, del situazionismo, del relativismo. Ecco, io penso che tra questi estremi, il compito della teologia, e più generale della tradizione, sia quello di sceverare l'oggettività del vero e quindi del fondamento trascendente, rispetto a una sua formulazione storica che non va scambiata per dogma, ma di volta in volta ritradotta, ripensata».
Anche Ivano Dionigi, Rettore dell'Università di Bologna, sede del primo appuntamento del Cortile dei gentili, in prospettiva laica, ha giustificato l'iniziativa difendendone «inattualità» e «urgenza» proprio per la necessità di nuovi linguaggi: «oggi siamo chiamati a revisionare i nostri codici e ad elaborare un nuovo canone; dopo che... l'intellettuale europeo ha visto svanire il sogno di una 'sintesi tra il Saggio greco, il Profeta ebreo e il Legislatore romano' (Foucault). Il canone culturale, politico ed economico che Roma, Gerusalemme e Atene hanno consegnato a noi occidentali, non è più riconoscibile né più riconosciuto… È tempo di una nuova koinè linguistica, culturale, morale per la quale gli uomini di pensiero sono i primi ad essere chiamati in causa» (L'attualità di un incontro, in Jesus, febbraio 2011, p. 94). A questo nuovo linguaggio, ormai planetario, debbono contribuire tutte le esperienze significative dell'umanità, anche quelle religiose. Per la stessa ragione il dialogo dovrà coinvolgere oltre ai teologi e ai filosofi anche gli scienziati, gli artisti, i politici e in genere tutti coloro che riflettono.
L'umanità oggi si trova ad una svolta epocale, tutti la riconoscono. Il traguardo del cammino è ora un nuovo umanesimo. Mentre nei passaggi precedenti dell'evoluzione, i fattori fisici, chimici e biologici in azione seguivano leggi ben determinate e costanti che gli scienziati hanno poi potuto individuare, ora il salto avviene in ambiti spirituali, dove qualcosa di nuovo sta sorgendo, ma non sappiamo che forma assumerà. Noi credenti sappiamo che il salto è possibile perché l'azione divina che lo alimenta contiene già ciò che dovrà fiorire. Siamo però consapevoli che solo unendosi tutti i popoli possono fare nascere il nuovo: attendendolo nella fede, desiderandolo nella speranza e accogliendolo nella comunione, cioè diventando tutti insieme ambito della sua emergenza.
Carlo Molari
© Rocca n°5, 1 marzo 2011