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Il discorso. Il Papa: il confessore è uomo dell'ascolto, non padrone delle coscienze

Ricevendo i partecipanti al corso promosso dalla Penitenzieria apostolica, Francesco ha ricordato come il confessore sia strumento e non fonte della misericordia. Il dovere di essere testimoni

Il confessore dev’essere uomo dell’ascolto. Ascolto umano del penitente e ascolto divino dello Spirito Santo. Lo ha detto il Papa ricevendo i partecipanti al XIX Corso sul foro interno organizzato dalla Penitenziera apostolica.

Strumenti, non fonte della misericordia

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Rivolgendosi in particolare ai giovani sacerdoti Francesco, richiamando san Tommaso d’Aquino, li ha sollecitati a riscoprire «la dimensione strumentale» del loro ministero. Cioè il «sacerdote confessore non è la fonte della misericordia» ma strumento, per quanto indispensabile. Una sottolineatura contro il rischio di sentirsi “padroni delle coscienze”, «soprattutto nel rapporto con i giovani, la cui personalità è ancora in formazione e, perciò, molto più facilmente influenzabile». Nella misura in cui scompare il sacerdote ed appare più chiaramente Cristo sommo ed eterno Sacerdote – ha continuato il Papa –, si realizza la nostra vocazione di “servi inutili”».
Quindi l’invito a sapere ascoltare, perché «dare risposte, senza essersi preoccupati di ascoltare le domande dei giovani e, laddove necessario, senza aver cercato di suscitare domande autentiche, sarebbe un atteggiamento sbagliato» .Non bisogna mai dimenticare infatti che «ascoltando davvero il fratello nel colloquio sacramentale, noi ascoltiamo Gesù stesso, povero ed umile; ascoltando lo Spirito Santo ci poniamo in attenta obbedienza, diventiamo uditori della Parola e dunque offriamo il più grande servizio ai nostri giovani penitenti: li mettiamo in contatto con Gesù stesso».

I giovani hanno bisogno di testimoni

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Riassumendo, quando il confessore riunisce in sé la capacità dell’ascolto e la consapevolezza della dimensione strumentale del suo ministero, «il colloquio sacramentale può aprirsi davvero a quel cammino prudente e orante che è il discernimento vocazionale». Perché «ogni giovane dovrebbe poter udire la voce di Dio sia nella propria coscienza, sia attraverso l’ascolto della Parola. E in questo cammino è importante che sia sostenuto dall’accompagnamento sapiente del confessore, che talvolta può anche diventare – su richiesta dei giovani stessi e mai autoproponendosi – padre spirituale». Corrispondono alla realtà – ha inoltre aggiunto il Pontefice «le categorie con le quali si definisce il confessore: “medico e giudice”, “pastore e padre”, “maestro ed educatore”. Ma specialmente per i più giovani, il confessore è chiamato ad essere soprattutto un testimone. Testimone nel senso di “martire”, chiamato a com-patire per i peccati dei fratelli, come il Signore Gesù; e poi testimone della misericordia, di quel cuore del Vangelo che è l’abbraccio del Padre al figlio prodigo che torna a casa. Il confessore-testimone rende più efficace l’esperienza della misericordia, spalancando ai fedeli un orizzonte nuovo e grande, che solo Dio può dare all’uomo».

Riccardo Maccioni

© Avvenire, venerdì 9 marzo 2018

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