Il Papa ai vescovi: «Siate pastori vigilanti»
Papa Francesco ha incontrato stasera nella Basilica Vaticana i vescovi italiani riuniti per il rito della "professione di fede" che rappresenta il momento culminante della loro 65esima Assemblea Generale.
La sua meditazione si è concentrata sulla figura del Pastore: essere tali «vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza. Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata: mettiamo da parte, quindi, ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine». Ha quindi sottolineato come «fra questi, un posto particolare riserviamolo ai nostri sacerdoti: soprattutto per loro, il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino aperte in ogni circostanza».
In precedenza il cardinale Bagnasco aveva pronunciato un indirizzo di saluto sottolineando come ad animare l'impegno dei vescovi sia «la sollecitudine di aiutare tutti, credenti e non credenti, a ritrovare fiducia nella vita, consapevoli che proprio dal Vangelo discende la proposta di una vita buona, di una vita riuscita».
Il Papa aveva risposto a braccio a questo saluto: «Avete tanti compiti: il dialogo con le istituzioni politiche è un compito vostro. E non è facile». «Avete - ha aggiunto - anche il lavoro di fare forti le conferenze regionali in regioni tanto diverse, non è facile nemmeno questo. E poi forse ridurre un pò le diocesi: sono tante è un po' pesante, ma c'è una commissione per questo».
© Avvenire, 23 maggio 2013
Il saluto del Cardinal Bagnasco al Papa
«Oltre la crisi educando alla vita buona»
Padre Santo,
sono molteplici le ragioni che in questo momento rallegrano il nostro cuore, il cuore di ciascuno di noi.
C’è, unanime, la gioia del primo incontro, un incontro atteso e, almeno in parte, anticipato anche da quanto in questi primi mesi di Pontificato i media ci hanno trasmesso della Sua persona, delle Sue parole, dei Suoi gesti.
C’è il desiderio – rafforzato da questo convenire in preghiera attorno al Successore di Pietro – di riconoscerci nella fede nel Signore Gesù e partecipi del mistero luminoso della Chiesa, nella quale abbiamo consacrato con gioia la vita. Nel groviglio di situazioni e di occupazioni, che a volte diventano anche preoccupazioni; posti in una società complessa, in cui convivono mondi e linguaggi diversi, non sempre coerenti tra loro, viviamo l’unità della comunione ecclesiale come una grazia e una missione.
È questa appartenenza, infatti, a consentirci l’annuncio del Vangelo e la testimonianza fiduciosa della carità, innanzitutto attraverso il dono di noi stessi. Tale cammino ci vede impegnati, come pastori delle Chiese che vivono in Italia, nell’accoglienza dell’amore di Dio e nella promozione della dignità di ogni essere umano: ne è segno l’attenzione operosa e quotidiana con cui le nostre parrocchie aprono le porte a quanti sono provati dal perdurare della crisi economica. Quest’orizzonte confermiamo, Santità, con la solenne professione di fede di questa sera, che simbolicamente conclude la visita ad Limina Apostolorum delle nostre 226 Diocesi, e che è posta come momento apicale dell’annuale Assemblea Generale della nostra Conferenza Episcopale.
Nel decennio in corso abbiamo assunto la dimensione educativa come compito prioritario del nostro essere Chiesa “discepola, madre e maestra” (CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, n. 20). Anche in questo ambito, Santità, la presenza e il ruolo che la Chiesa svolge in Italia sono un contributo di prima grandezza, ancora più evidente in una stagione difficile e delicata come l’attuale. La crisi pubblica, che travaglia le nostre famiglie, tocca in realtà le radici stesse dell’uomo e investe la figura e il progetto del suo destino. L’opera educativa, con l’offerta di una mappa valoriale incarnata da testimoni autorevoli, rappresenta così un tassello decisivo del bene comune dell’intero Paese.
Muove da qui il tema di fondo di questa nostra 65ª Assemblea, dedicata all’attenzione per la cura e la formazione degli educatori all’interno della comunità cristiana. Ci anima la sollecitudine di aiutare tutti, credenti e non credenti, a ritrovare fiducia nella vita, consapevoli che proprio dal Vangelo discende la proposta di una vita buona, di una vita riuscita.
Voglia benedire, Padre Santo, questo nostro impegno, al quale sono poste le forze più vive delle nostre comunità parrocchiali e diocesane.
Anche a nome loro, accogliamo il dono del Suo insegnamento con piena apertura di mente e di cuore, nella disponibilità ad assumerlo fino in fondo, perché porti frutto nelle nostre Chiese.
Con questa convinta adesione, grati Le assicuriamo il sostegno della nostra preghiera, del nostro affetto e del nostro servizio ministeriale.
cardinale Angelo Bagnasco
© Avvenire, 23 maggio 2013
Il Papa ai Vescovi italiani
«Essere Pastori vuol dire camminare in mezzo e dietro al gregge»
Cari Fratelli nell'episcopato,
è significativo - e ne sono particolarmente contento - che il nostro primo incontro avvenga proprio qui, sul luogo che custodisce non solo la tomba di Pietro, ma la memoria viva della sua testimonianza di fede, del suo servizio alla verità, del suo donarsi fino al martirio per il Vangelo e per la Chiesa.
Questa sera l'altare della Confessione diventa così il nostro lago di Tiberiade, sulle cui rive riascoltiamo lo stupendo dialogo tra Gesù e Pietro, con l’interrogativo indirizzato all’Apostolo, ma che deve risuonare anche nel nostro cuore.
«Mi ami tu?»; «Mi sei amico?» (cfr Gv 21,15ss).
La domanda è rivolta a un uomo che, nonostante solenni dichiarazioni, si era lasciato prendere dalla paura e aveva rinnegato.
«Mi ami tu?»; «Mi sei amico?».
La domanda è rivolta a ciascuno di noi: se evitiamo di rispondere in maniera troppo affrettata e superficiale, essa ci spinge a guardarci dentro, a rientrare in noi stessi.
«Mi ami tu?»; «Mi sei amico?».
Colui che scruta i cuori (cfr Rm 8,27) si fa mendicante d'amore e ci interroga sull'unica questione veramente essenziale, premessa e condizione per pascere le sue pecore, i suoi agnelli, la sua Chiesa. Ogni ministero si fonda su questa intimità con il Signore; vivere di Lui è la misura del nostro servizio ecclesiale, che si esprime nella disponibilità all'obbedienza, all'abbassamento e alla donazione totale (cfr Fil 2,6-11).
Del resto, la conseguenza dell'amare il Signore è dare tutto - proprio tutto, fino alla stessa vita - per Lui: questo è ciò che deve distinguere il nostro ministero pastorale; è la cartina di tornasole che dice con quale profondità abbiamo abbracciato il dono ricevuto rispondendo alla chiamata di Gesù e quanto ci siamo legati alle persone e alle comunità che ci sono state affidate. Non siamo espressione di una struttura o di una necessità organizzativa: anche con il servizio della nostra autorità siamo chiamati a essere segno della presenza e dell'azione del Signore risorto, a edificare, quindi, la comunità nella carità fraterna.
Non che questo sia scontato: anche l'amore più grande, infatti, quando non è continuamente alimentato, si affievolisce e si spegne. Non per nulla l'Apostolo Paolo ammonisce: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio» (At 20,28).
La mancata vigilanza - lo sappiamo - rende tiepido il Pastore; lo fa distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario, un chierico di stato preoccupato più di sé, dell'organizzazione e delle strutture, che del vero bene del Popolo di Dio. Si corre il rischio, allora, come l’Apostolo Pietro, di rinnegare il Signore, anche se formalmente ci si presenta e si parla in suo nome; si offusca la santità della Madre Chiesa gerarchica, rendendola meno feconda.
Chi siamo, Fratelli, davanti a Dio? Quali sono le nostre prove? Che cosa ci sta dicendo Dio attraverso di esse? Su che cosa ci stiamo appoggiando per superarle?
Come per Pietro, la domanda insistente e accorata di Gesù può lasciarci addolorati e maggiormente consapevoli della debolezza della nostra libertà, insidiata com'è da mille condizionamenti interni ed esterni, che spesso suscitano smarrimento, frustrazione, persino incredulità.
Non sono certamente questi i sentimenti e gli atteggiamenti che il Signore intende suscitare; piuttosto, di essi approfitta il Nemico, il Diavolo, per isolare nell'amarezza, nella lamentela e nello scoraggiamento.
Gesù, buon Pastore, non umilia né abbandona al rimorso: in Lui parla la tenerezza del Padre, che consola e rilancia; fa passare dalla disgregazione della vergogna al tessuto della fiducia; ridona coraggio, riaffida responsabilità, consegna alla missione.
Pietro, che purificato al fuoco del perdono può dire umilmente «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17), nella sua prima Lettera ci esorta a pascere «il gregge di Dio [...], sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri [...], non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a noi affidate, ma facendoci modelli del gregge» (1Pt 5,2-3).
Sì, essere Pastori significa credere ogni giorno nella grazia e nella forza che ci viene dal Signore, nonostante la nostra debolezza, e assumere fino in fondo la responsabilità di camminare innanzi al gregge, sciolti da pesi che intralciano la sana celerità apostolica, e senza tentennamenti nella guida, per rendere riconoscibile la nostra voce sia da quanti hanno abbracciato la fede, sia da coloro che ancora «non sono di questo ovile» (Gv 10,16): siamo chiamati a far nostro il sogno di Dio, la cui casa non conosce esclusione di persone o di popoli, come annunciava profeticamente Isaia (cfr Is 2,2-5).
Per questo, essere Pastori vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a rialzare, a rassicurare e a infondere speranza. Dalla condivisione con gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata: mettiamo da parte, quindi, ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha affidato alla nostra sollecitudine. Fra questi, un posto particolare riserviamolo ai nostri sacerdoti: soprattutto per loro, il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino aperte in ogni circostanza.
Cari fratelli, la professione di fede che ora rinnoviamo insieme non è un atto formale, ma è rinnovare la nostra risposta al “Seguimi” con cui si conclude il Vangelo di Giovanni (21,19): porta a dispiegare la propria vita secondo il progetto di Dio, impegnando tutto di sé per il Signore Gesù. Da qui sgorga quel discernimento che conosce e si fa carico dei pensieri, delle attese e delle necessità degli uomini del nostro tempo.
Con questo spirito, mentre ringrazio di cuore ciascuno di voi per il vostro servizio, vi pongo sotto il manto di Maria, Nostra Signora.
Madre del silenzio, che custodisce il mistero di Dio, liberaci dall'idolatria del presente, a cui si condanna chi dimentica.Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria: torneremo alla freschezza delle origini, per una Chiesa orante e penitente.
Madre della bellezza, che fiorisce dalla fedeltà al lavoro quotidiano, destaci dal torpore della pigrizia, della meschinità e del disfattismo. Rivesti i Pastori di quella compassione che unifica e integra: scopriremo la gioia di una Chiesa serva, umile e fraterna.
Madre della tenerezza, che avvolge di pazienza e di misericordia, aiutaci a bruciare tristezze, impazienze e rigidità di chi non conosce appartenenza.
Intercedi presso tuo Figlio perché siano agili le nostre mani, i nostri piedi e i nostri cuori: edificheremo la Chiesa con la verità nella carità.
E saremo il Popolo di Dio, pellegrinante verso il Regno. Amen.
Papa Francesco
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