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Il Papa: la risposta sociale alla pandemia è una politica del bene comune

E' necessario un "amore sociale" senza egoismi né interessi di parte, specie nel caos dei vaccini, per uscire dalla crisi del coronavirus. E' il pensiero del Papa all'udienza generale tenuta nel Cortile di San Damaso, in Vaticano. Un virus che non conosce "distinzioni culturali e politiche", ha detto, "deve essere affrontato con un amore senza barriere"

Il coronavirus ha mostrato l’intreccio profondo che esiste fra il bene comune e il bene di ciascuno, che “la salute, oltre che individuale, è anche un bene pubblico” per cui una società sana “si prende cura della salute di tutti”.  E’ quanto emerge con forza dalla catechesi di Papa Francesco all’udienza generale di stamani che, dallo scorso mercoledì, si tieni alla presenza dei fedeli, con il dovuto distanziamento per la pandemia, nella cornice del Cortile di San Damaso del Palazzo Apostolico. Si percepisce la gioia dei fedeli e anche del Papa che a lungo prima dell’inizio si sofferma, a distanza, a parlare con i presenti. E dopo la benedizione chiede a tutti di non ammucchiarsi “per evitare i contagi”.

Un compito di tutti: il bene comune

Il Papa prosegue, dunque, le catechesi su come guarire il tessuto personale e sociale ferito ancor più profondamente dalla pandemia, con frequenti richiami al prezioso tesoro della Dottrina sociale della Chiesa. Se nella precedente catechesi si era concentrato sulla solidarietà e, precedentemente, sulle ingiustizie e i danni anche al creato causate da un’economia malata, stamani il focus è sull’amore come strada per il bene comune perché come ha reso evidente la pandemia, "il vero bene per ciascuno è un bene comune non solo individuale".

Per costruire una società sana, inclusiva, giusta e pacifica, dobbiamo farlo sopra la roccia del bene comune.  E questo è compito di tutti, non solo di qualche specialista.

Non appropriarsi dei vaccini e non alimentare divisioni

Purtroppo, sottolinea, si assiste all’emergere di interessi di parte, ad esempio, “c’è chi vorrebbe appropriarsi di possibili soluzioni, come nel caso dei vaccini e poi venderli agli altri”, oppure “alcuni approfittano della situazione per fomentare divisioni” in cerca di vantaggi economici o politici, altri ancora semplicemente imboccano la strada dell’indifferenza, “i devoti di Ponzio Pilato”, afferma a braccio. In questo orizzonte, invece, “la risposta cristiana alla pandemia e alle conseguenti crisi socio-economiche si basa sull’amore”. Prima di tutto si tratta dell’amore di Dio, da accogliere per poter rispondere in maniera simile, un amore da avere non solo verso chi mi ama, come la famiglia, gli amici, ma anche per coloro che non si conoscono, che sono stranieri, e perfino per i nemici. “Il punto più alto della santità" è "amare i nemici” anche se non è facile, evidenzia.  E' “un’arte” che si può imparare e migliorare.

Anche in questa catechesi Papa Francesco si riallaccia al Catechismo e al cammino dei suoi predecessori. Ancora centrale è il richiamo alla Sollicitudo rei socialis di San Giovanni Paolo II, fondamentale riferimento di questo ciclo di catechesi. Il Papa ricorda che una delle “più alte espressioni di amore è proprio quella sociale e politica”, decisiva per affrontare ogni tipo di crisi. L’amore infatti feconda anche le relazioni sociali, permettendoci di costruire una “civiltà dell’amore”, come amava dire San Paolo VI  e, sulla sua scia, San Giovanni Paolo II. Altrimenti prevale la cultura dello scarto, dell’egoismo. Quindi, per fare comprendere il cuore di questo discorso, fa riferimento a  due genitori incontrati stamani all'entrata, che hanno un figlio disabile a cui dedicano tutta la loro vita: 

Questo è amore. E i nemici, gli avversari politici, anche al nostro parere, sembrano essere disabili politici, sociali, ma sembrano. Solo Dio sa se lo sono o no. Ma noi dobbiamo amarli, dobbiamo dialogare, dobbiamo costruire questa civiltà dell’amore, questa civiltà politica, sociale, dell’unità di tutta l’umanità. Al contrario, le guerre, le divisioni, le invidie, anche le guerre in famiglia: perché l’amore inclusivo è sociale, è familiare, è politico... l’amore pervade tutto.

L’amore vero è inclusivo, include anche il rapporto con la natura, e espansivo. Tante volte fa più bene una carezza di perdono che non tanti argomenti per difendersi, nota.

Un virus che non conosce barriere, frontiere o distinzioni culturali e politiche deve essere affrontato con un amore senza barriere, frontiere o distinzioni. Questo amore può generare strutture sociali che ci incoraggiano a condividere piuttosto che a competere, che ci permettono di includere i più vulnerabili e non di scartarli, e che ci aiutano ad esprimere il meglio della nostra natura umana e non il peggio. Il vero amore non conosce la cultura dello scarto, non sa cosa sia. Infatti, quando amiamo e generiamo creatività, quando generiamo fiducia e solidarietà, è lì che  emergono iniziative concrete per il bene comune. E questo vale sia a livello delle piccole e grandi comunità, sia a livello internazionale.

Il Papa esorta quindi a “accrescere il nostro amore sociale, contribuendo tutti, a partire dalla nostra piccolezza. Il bene comune richiede la partecipazione di tutti”.

Se ognuno ci mette del suo, e se nessuno viene lasciato fuori, potremo rigenerare relazioni buone a livello comunitario, nazionale, internazionale e anche in armonia con l’ambiente. Così nei nostri gesti, anche quelli più umili, si renderà visibile qualcosa dell’immagine di Dio che portiamo in noi, perché Dio è Trinità d’Amore. Con il suo aiuto, possiamo guarire il mondo lavorando tutti insieme per il bene comune. Dio è amore, Dio è amore. Questa è la più bella definizione di Dio che è nella Bibbia, ce la dà l’apostolo Giovanni che tanto amava Gesù: Dio è amore. Con il suo aiuto, possiamo guarire il mondo lavorando sì, tutti insieme per il bene comune, non solo per il mio bene, per il bene comune di tutti. 

A evidenziare questa responsabilità individuale è stato senz’altro san Tommaso d’Aquino, che ricordava come la promozione del bene comune fosse “un dovere di giustizia” che ricade su ogni cittadino. Per i cristiani è anche una missione e sant’Ignazio di Loyola esortava a orientare gli sforzi quotidiani verso il bene comune come un modo per “diffondere la gloria di Dio”.

Se, invece, le soluzioni alla pandemia portano “l’impronta dell’egoismo”, “forse possiamo uscire dal coronavirus”, nota, ma “certamente non dalla crisi umana e sociale” che il virus ha accentuato. Lo sguardo del Papa si posa, quindi, anche sulla politica che, nota, “spesso non gode di buona fama, e – dice – sappiamo il perché”. Questo non vuol dire - evidenzia - che "i politici tutti siano cattivi". Francesco esorta comunque a non rassegnarsi a questa visione negativa ma a reagire mostrando che “è doverosa una buona politica” che metta al centro bene comune e persona umana.

I cristiani, in modo particolare i fedeli laici, sono chiamati a dare buona testimonianza di questo e possono farlo grazie alla virtù della carità, coltivandone l’intrinseca dimensione sociale. È dunque tempo di accrescere il nostro amore sociale, contribuendo tutti, a partire dalla nostra piccolezza. Il bene comune richiede la partecipazione di tutti.

Debora Donnini - Città del Vaticano

© www.vaticannews.va, mercoledì 9 settembre 2020

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