Il Tweet del Gesuita
 La comunicazione aiuta la Chiesa a capire sé stessa. E la  Chiesa aiuta  ad avere uno sguardo spirituale sulla Rete". Sarebbe  sbagliato pensare  all' universo della fede cattolica con l'  immagine stereotipata di un  mondo granitico che sa d' incenso e  di parole arcane pronunciate in una  lingua morta. La Chiesa, in  realtà, si sta riformando da dentro. Uno  degli esponenti  di questo cambiamento è un gesuita di 45 anni, da poco   nominato direttore della prestigiosa rivista La Civiltà  Cattolica,  patito di CyberTeologia (a cui ha dedicato un blog) e  duttile  sperimentatore di sistemi informatici diversi. Ma Antonio  Spadaro,  messinese, è anche uomo capace di unire la  tecnica all' intelletto. Al  punto che, di recente, il Papa lo ha  nominato consultore di due  Pontifici consigli: Cultura e  Comunicazioni sociali. Aveva già fondato  "BombaCarta", uno  dei primi laboratori di scrittura creativa in Rete, e  insegna al  Centro interdisciplinare di Comunicazione sociale alla   Gregoriana. Il suo ultimo libro si intitola Web 2.0 (Paoline). Lo   incontriamo nell' ambiente ovattato di Villa Malta, a Roma, sede  di  Civiltà Cattolica, nel suo ufficio dove tutto è  bianco: le pareti, gli  scaffali interi dedicati a Kerouac,  Tondelli e Flannery O' Connor, il  grande tavolo di lavoro sul  quale domina un iMac. «Una delle domande  che mi pongo -  dice subito - è non solo come Internet può aiutare  la  Chiesa. Ma come la fede può aiutare a comprendere  meglio il significato  profondo della Rete, il suo ruolo nella  storia dell' umanità». Padre  Spadaro, quello che gli  osservatori notano, quasi con sorpresa, è  quanto la Chiesa  stia investendo nel web. Come è avvenuta questa  svolta?  «Non c' è stata una svolta, ma un cammino  ininterrotto. Il  fatto è che la Rete sembra una cosa  recente e moderna. No, Internet è  una realtà antica  per le domande che in forma tecnologica esprime, che  sono poi  quelle che ognuno di noi fa a sé stesso: chi sono io, cos'  è  il mondo, chi sono gli altri, la domanda su Dio... La  Chiesa ha sempre  guardato ai bisogni dell' uomo, e dietro alla  tecnologia c' è pur  sempre l' uomo. E ha sempre percepito  questa linea, anticipando le idee  dei social network».  Come? «Prendo a esempio quanto ha detto di  recente  Benedetto XVI: "La comunicazione non è propaganda, ma  luogo di  relazione". E la Chiesa stessa si fonda su due messaggi:  sulla  comunicazione del messaggio e sulle relazioni di comunione.  La Rete e  la Chiesa sono due realtà da sempre destinate a  incontrarsi. Sempre di  più la Rete sta diventando un luogo  di vita ordinaria, e la Chiesa c' è  dentro: con  intelligenza, e al tempo stesso, senza alienarsi quell'  ambiente,  mettendone in luce anche i rischi». E lei, così  aperto alle  frontiere della tecnologia più moderna, dirige  da pochi mesi La Civiltà  Cattolica, la più antica  rivista italiana, attiva da oltre 160 anni.  Non c' è  contraddizione? «No. In realtà la nostra rivista  nasce  proprio da intuizioni innovative: è stata immaginata  come una  pubblicazione scritta da soli gesuiti, ma non è  una rivista accademica:  è scritta in lingua italiana e non  in latino, come lo erano le riviste  ecclesiastiche dell' epoca.  Quindi ha fatto l' opzione per una forma  di comunicazione non  ingessata e militante». Resta il fatto che c' è un   cyberteologo alla guida di una rivista pubblicata con l'  imprimatur  della Segreteria di Stato vaticana. «La mia  domandaè che cosa  significhi fare cultura e comunicazione  oggi, al tempo della Rete. E'  il concetto stesso di rivista che  sta cambiando. E' chiaro che La  Civiltà Cattolica è  e resterà di carta. Ma bisogna comprendere che la  rivista  è innanzitutto il suo messaggio, non il suo supporto, che  sia  di carta o digitale. Dunque sì, immagino una rivista  cartacea ma anche  con una versione per iPad, ad esempio. E'  già attivo da molti anni un  sito, ma da adesso anche un  account twitter e una pagina Facebook:  tutti canali di diffusione  e condivisione di un messaggio. Anche su  questi strumenti si  fonda oggi la credibilità del giornalismo». Lei  è  attivo sui blog? «Sì, ne curo alcuni.  Attualmente tengo aggiornato  soprattutto cyberteologia.it.  Lì faccio convergere le idee, spesso  ancora grezze, che  vengono ora dalla mia collaborazione come consultore  del  Pontificio Consiglio della Cultura e di quello delle   Comunicazioni. Curo anche un vero e proprio quotidiano collegato  col  blog». Un quotidiano? «Sì, nel senso che  ho attivato uno strumento che  permette di pubblicare contenuti e  suggerimenti degli studiosi che si  interessano di come la fede  vive anche nell' ambiente digitale e con i  quali sono in  relazione via Twitter. Alla fine viene impaginato  quotidianamente  un quotidiano on line. E' un modo pratico per rimanere   aggiornati». Nel suo libro Web 2.0, si chiede se "c'  è Dio nella  blogosfera?". C' è oppure no?  «Sono gesuita e la spiritualità del mio  Ordine mi fa  dire che Dio è attivo nel mondo. Anzi "lavora", come dice   il nostro fondatore, sant' Ignazio di Loyola. Noi gesuiti  cerchiamo  Dio in tutte le cose, sviluppando il fiuto della sua  presenza persino  laddove sembra non essere presente. Si tratta di  vedere le tracce che  lascia». In questo la Chiesa è  al passo con i tempi? «Trovo nella  Chiesa un crogiolo di  elaborazione culturale e un livello di maturità  sempre in  crescita. C' è però bisogno di stare desti. Ha  ragione il  cardinale Ravasi: "Si può parlare di  tutto"». Confessi: lei studia da  "piccolo Ravasi".  «Lei dimentica che noi gesuiti facciamo un voto di  non  cercare alcuna prelatura o dignità ecclesiastica».  Intendo da  teologo aperto al mondo della comunicazione.  «Certamente. L' identità  della rivista che dirigo si  fonda sugli argomenti più diversi e, oltre  alla storia,  alla politica e all' economia, c' è da sempre grande   attenzione per l' arte, la musica, la letteratura, il cinema, lo  sport,  i linguaggi degli uomini, incluso quello digitale. Io sono  cresciuto a  questa scuola. Sono dunque naturalmente molto  interessato a quel che  si muove nel contemporaneoea contaminare  gli interessi. In fondo, l'  uomo è uno, e non può  vivere in recinti separati e chiusi. E questa è  appunto  una chiave per capire l' uomo, il mondo e la  realtà».
La comunicazione aiuta la Chiesa a capire sé stessa. E la  Chiesa aiuta  ad avere uno sguardo spirituale sulla Rete". Sarebbe  sbagliato pensare  all' universo della fede cattolica con l'  immagine stereotipata di un  mondo granitico che sa d' incenso e  di parole arcane pronunciate in una  lingua morta. La Chiesa, in  realtà, si sta riformando da dentro. Uno  degli esponenti  di questo cambiamento è un gesuita di 45 anni, da poco   nominato direttore della prestigiosa rivista La Civiltà  Cattolica,  patito di CyberTeologia (a cui ha dedicato un blog) e  duttile  sperimentatore di sistemi informatici diversi. Ma Antonio  Spadaro,  messinese, è anche uomo capace di unire la  tecnica all' intelletto. Al  punto che, di recente, il Papa lo ha  nominato consultore di due  Pontifici consigli: Cultura e  Comunicazioni sociali. Aveva già fondato  "BombaCarta", uno  dei primi laboratori di scrittura creativa in Rete, e  insegna al  Centro interdisciplinare di Comunicazione sociale alla   Gregoriana. Il suo ultimo libro si intitola Web 2.0 (Paoline). Lo   incontriamo nell' ambiente ovattato di Villa Malta, a Roma, sede  di  Civiltà Cattolica, nel suo ufficio dove tutto è  bianco: le pareti, gli  scaffali interi dedicati a Kerouac,  Tondelli e Flannery O' Connor, il  grande tavolo di lavoro sul  quale domina un iMac. «Una delle domande  che mi pongo -  dice subito - è non solo come Internet può aiutare  la  Chiesa. Ma come la fede può aiutare a comprendere  meglio il significato  profondo della Rete, il suo ruolo nella  storia dell' umanità». Padre  Spadaro, quello che gli  osservatori notano, quasi con sorpresa, è  quanto la Chiesa  stia investendo nel web. Come è avvenuta questa  svolta?  «Non c' è stata una svolta, ma un cammino  ininterrotto. Il  fatto è che la Rete sembra una cosa  recente e moderna. No, Internet è  una realtà antica  per le domande che in forma tecnologica esprime, che  sono poi  quelle che ognuno di noi fa a sé stesso: chi sono io, cos'  è  il mondo, chi sono gli altri, la domanda su Dio... La  Chiesa ha sempre  guardato ai bisogni dell' uomo, e dietro alla  tecnologia c' è pur  sempre l' uomo. E ha sempre percepito  questa linea, anticipando le idee  dei social network».  Come? «Prendo a esempio quanto ha detto di  recente  Benedetto XVI: "La comunicazione non è propaganda, ma  luogo di  relazione". E la Chiesa stessa si fonda su due messaggi:  sulla  comunicazione del messaggio e sulle relazioni di comunione.  La Rete e  la Chiesa sono due realtà da sempre destinate a  incontrarsi. Sempre di  più la Rete sta diventando un luogo  di vita ordinaria, e la Chiesa c' è  dentro: con  intelligenza, e al tempo stesso, senza alienarsi quell'  ambiente,  mettendone in luce anche i rischi». E lei, così  aperto alle  frontiere della tecnologia più moderna, dirige  da pochi mesi La Civiltà  Cattolica, la più antica  rivista italiana, attiva da oltre 160 anni.  Non c' è  contraddizione? «No. In realtà la nostra rivista  nasce  proprio da intuizioni innovative: è stata immaginata  come una  pubblicazione scritta da soli gesuiti, ma non è  una rivista accademica:  è scritta in lingua italiana e non  in latino, come lo erano le riviste  ecclesiastiche dell' epoca.  Quindi ha fatto l' opzione per una forma  di comunicazione non  ingessata e militante». Resta il fatto che c' è un   cyberteologo alla guida di una rivista pubblicata con l'  imprimatur  della Segreteria di Stato vaticana. «La mia  domandaè che cosa  significhi fare cultura e comunicazione  oggi, al tempo della Rete. E'  il concetto stesso di rivista che  sta cambiando. E' chiaro che La  Civiltà Cattolica è  e resterà di carta. Ma bisogna comprendere che la  rivista  è innanzitutto il suo messaggio, non il suo supporto, che  sia  di carta o digitale. Dunque sì, immagino una rivista  cartacea ma anche  con una versione per iPad, ad esempio. E'  già attivo da molti anni un  sito, ma da adesso anche un  account twitter e una pagina Facebook:  tutti canali di diffusione  e condivisione di un messaggio. Anche su  questi strumenti si  fonda oggi la credibilità del giornalismo». Lei  è  attivo sui blog? «Sì, ne curo alcuni.  Attualmente tengo aggiornato  soprattutto cyberteologia.it.  Lì faccio convergere le idee, spesso  ancora grezze, che  vengono ora dalla mia collaborazione come consultore  del  Pontificio Consiglio della Cultura e di quello delle   Comunicazioni. Curo anche un vero e proprio quotidiano collegato  col  blog». Un quotidiano? «Sì, nel senso che  ho attivato uno strumento che  permette di pubblicare contenuti e  suggerimenti degli studiosi che si  interessano di come la fede  vive anche nell' ambiente digitale e con i  quali sono in  relazione via Twitter. Alla fine viene impaginato  quotidianamente  un quotidiano on line. E' un modo pratico per rimanere   aggiornati». Nel suo libro Web 2.0, si chiede se "c'  è Dio nella  blogosfera?". C' è oppure no?  «Sono gesuita e la spiritualità del mio  Ordine mi fa  dire che Dio è attivo nel mondo. Anzi "lavora", come dice   il nostro fondatore, sant' Ignazio di Loyola. Noi gesuiti  cerchiamo  Dio in tutte le cose, sviluppando il fiuto della sua  presenza persino  laddove sembra non essere presente. Si tratta di  vedere le tracce che  lascia». In questo la Chiesa è  al passo con i tempi? «Trovo nella  Chiesa un crogiolo di  elaborazione culturale e un livello di maturità  sempre in  crescita. C' è però bisogno di stare desti. Ha  ragione il  cardinale Ravasi: "Si può parlare di  tutto"». Confessi: lei studia da  "piccolo Ravasi".  «Lei dimentica che noi gesuiti facciamo un voto di  non  cercare alcuna prelatura o dignità ecclesiastica».  Intendo da  teologo aperto al mondo della comunicazione.  «Certamente. L' identità  della rivista che dirigo si  fonda sugli argomenti più diversi e, oltre  alla storia,  alla politica e all' economia, c' è da sempre grande   attenzione per l' arte, la musica, la letteratura, il cinema, lo  sport,  i linguaggi degli uomini, incluso quello digitale. Io sono  cresciuto a  questa scuola. Sono dunque naturalmente molto  interessato a quel che  si muove nel contemporaneoea contaminare  gli interessi. In fondo, l'  uomo è uno, e non può  vivere in recinti separati e chiusi. E questa è  appunto  una chiave per capire l' uomo, il mondo e la  realtà».
Marco Ansaldo
© La Repubblica, 6 febbraio 2012
 
            