Internet: parlare tutti per non dire (quasi) niente
Dare voce a tutti. Da 15 anni sembra essere questa la missione primaria di internet. Da quando, nel 1998, la moda dei blog ha preso piede (anche se per alcuni la nascita è del luglio 1997, quando venne rilasciato il programma per realizzarli) chiunque ha potuto scrivere i propri pensieri e le proprie opinioni, rendendoli potenzialmente visibili a tutto il mondo. Sia aprendo un proprio diario sul web, sia commentando quelli altrui.
In qualche modo il successo dei blog (contrazione di web log, cioè "diario web") ha rappresentato sia la moda dell’editoria fai da te sia la prima, grande esplosione della libera circolazione delle idee in Rete. Dati aggiornati sul fenomeno non ce ne sono, ma secondo un rapporto Nielsen, agli inizi del 2011 nel mondo esistevano 156 milioni di blog, il 3% dei quali in italiano. Facendo due rapidi conti, stiamo parlando per il nostro Paese di 4.680.000 testate. Una (quasi) ogni dieci italiani. Una cifra che fa sobbalzare. Ma che tiene il conto di decine di blog sperimentali creati da uno stesso utente, durati anche solo poche ore e poi abbandonati. La situazione reale sarebbe molto più contenuta. E si aggirerebbe attorno al mezzo milione di blog italiani, 50 milioni nel mondo.
Una cifra che resta enorme. Tanto più che dal 2004 il mondo di internet è diventato tutto web 2.0. È stato, cioè, "conquistato" dall’interazione con gli utenti. La nascita di social network come Facebook e Twitter (ma non solo) da una parte ha messo un po’ in crisi i blog (faticosi da scrivere e, in molti casi, faticosi da leggere) e dall’altra ha portato anche i più pigri a esprimere le proprie idee in Rete. Per farlo basta poco: una frase, una foto, un video, una faccina, un «mi piace».
Ormai, tutti parlano e discutono di tutto. A ogni ora del giorno e della notte. Con messaggi di 140 caratteri (ma la media è molto più breve) o solo con una parola. Per molti, però, quella parola è un insulto o una banalità.
A quasi 10 anni dall’avvento del "web di tutti" e a quasi 15 dalla nascita dei blog, una parte del mondo di internet comincia a temere di essere finito in una sorta di vicolo cieco. Il problema – sintetizzando un po’ brutalmente – è il seguente. Il pubblico si è abituato a commentare qualunque cosa e (giustamente) vuole dire la propria, direttamente o indirettamente su tutto; la media dei commenti che esprime, però, non fa crescere le discussioni, anzi le banalizza o, peggio, le fa precipitare in risse verbali. E questo è indubbiamente un problema. Per tutti.
Non si tratta solo dell’avvento dei cosiddetti troll (utenti che di proposito provocano altri utenti per farli litigare e generare caos) ma di una sorta di incapacità sempre più diffusa a sostenere discussioni in maniera civile. I motivi sono tanti e vari. C’è chi non riesce a trattenersi dall’essere spiritoso anche davanti ai temi più seri, chi offende l’avversario "a prescindere" e chi magari interviene per far sapere che lo scrivente ha commesso un errore ortografico, snobbando totalmente l’importanza del tema o della tesi sopra pubblicata e così, con la sua pur giusta segnalazione, distrae dal dibattito principale. Sempre più spesso più che discussioni nascono risse.
Il sito Popular Science ha deciso di correre ai riparti chiudendo per sempre i commenti, scatenando le ire dei lettori web. Alcuni giornali hanno iniziato a filtrarli, facendo sparire quelli a tinte più forti (una fatica appaltata a società esterne che lavorano 24 ore su 24, in cambio di centinaia di migliaia di dollari). Altri hanno deciso di annunciare pubblicamente che «saranno pubblicati solo i commenti utili». Altri ancora hanno deciso di copiare lo stile dei social network facendo commentare le notizie anche con uno "stato". Così, una notizia drammatica sui migranti morti a Lampedusa – nei giorni scorsi – ha ottenuto il 58% di faccine sorridenti con la scritta «soddisfatto». A ennesima riprova che il «mi piace» di Facebook funziona quando si tratta di cose semplici, altrimenti può fare grandi danni.
Il tema dei dibattiti online è tutt’altro che semplice, come ha ricordato il New York Times che provocatoriamente si è chiesto: «Un mondo fatto da annotazioni invece che di commenti avrebbe potuto cambiare il Web?». Ovviamente no. Ma come lo sta cambiando? Come ci sta cambiando?
Gigio Rancilio
© Avvenire, 12 novembre 2013