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L’“oggi” di Dio irrompe nella storia invocando il bisogno di voci, di mani, di cuori disposti a consumarsi per amore

Omelia di S.E. Mons. Giuseppe Satriano, Arcivescovo di Bari-Bitonto nella Messa Crismale. Cattedrale di Bari, giovedì 17 aprile 2025

Fratelli e sorelle carissimi, 

oggi ci è dato di vivere un momento di grazia! In questo giorno benedetto ci ritroviamo come grembo di luce, Popolo di Dio radunato intorno a Cristo, l’Unto del Padre, per celebrare il mistero della nostra identità di figli chiamati alla vita nuova.

Consacrati al Signore nel battesimo, siamo Corpo di Cristo che, nella varietà dei suoi doni e ministeri, è inviato nel mondo a proclamare la bellezza dell’amore di Dio, a ungere di speranza le ferite dell’umanità.

Come non commuoversi nel sapere che, in questa stessa Chiesa, sei catecumeni si preparano a ricevere il Battesimo nella Notte santa di Pasqua? Il loro cammino ci ricorda che la Chiesa è sempre madre, sempre generativa. E che la fede continua a nascere, anche in questo tempo pieno di smarrimento.

Prima di ogni altra parola, permettetemi, come padre e pastore, già da quattro anni in questa Chiesa, di riconoscere davanti a Dio e a voi i limiti del mio ministero. Se non ho saputo accogliere o ascoltare, se mi sono lasciato distrarre dalle urgenze perdendo di vista l’essenziale, se il mio ministero non vi ha sostenuti: chiedo perdono. Il Signore, che ci chiama con amore fedele, mi conceda di ricominciare, sempre, dal suo amore che rigenera.

L’ascolto del Vangelo proclamato ci conduce nella sinagoga di Nazareth. Quello dell’aprire il rotolo e leggerlo è un gesto abituale, ma “oggi” tutto cambia. Il brano di Isaia, letto da Gesù, non è più solo parola scritta, ma diviene la Sua voce, la Sua vita, il Suo cuore:

«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio… Oggi si compie questa Scrittura che voi avete ascoltato»

    Parole forti, che fanno vibrare le corde del cuore di chi ascolta. Non c’è protagonismo nel suo parlare, ma solo una missione da servire. Quelle parole portano con sé la dolente carne dei poveri, il pianto dei prigionieri, il gemito degli oppressi, il silenzio di chi è affranto e prostrato dalla vita.

L’“oggi” di Dio irrompe nella storia invocando il bisogno di voci, di mani, di cuori disposti a consumarsi per amore.

Noi siamo quell’oggi, o meglio, siamo chiamati a esserlo, rinnovando il nostro “eccomi” ogni giorno. È quando diciamo “eccomi” alle chiamate del Signore della Vita che il quotidiano dell’uomo diventa l’oggi di Dio. E questo non accade per capacità nostre, ma perché l’unzione battesimale ricevuta ci abilita a essere “servitori della speranza”.

E qui comprendiamo la bellezza e la profondità del gesto che tra poco vivremo: la benedizione degli oli. Esso ci parla di vita che risorge dalla morte, di lotta contro il male, di consacrazione e di cura.

Gli Oli che ci apprestiamo a benedire, sono il segno della grazia di Dio che per mezzo della Chiesa non abbandona ma accompagna i passaggi fondamentali dell’esistenza, il nascere, il morire, e nutre il pellegrinaggio terreno, donando la forza dell’amore effuso da Cristo sulla Croce.

Essi narrano il profumo di una tenerezza incarnata che rivela tutta la sua ricchezza nell’incontro con la nostra umanità.

È nel toccare la nostra pelle, nell’ungere la carne viva dell’umanità, che diventano sacramento di salvezza e ci aprono alla Speranza.

Mentre benediciamo questi oli, preghiamo che il profumo di Cristo riempia le nostre case, le nostre parrocchie, le nostre strade. Che la Chiesa torni a essere luogo dove sperimentare la speranza, dove “oggi si compie questa Scrittura”, e il mondo, guardandoci, potrà ancora credere che Dio non ha abbandonato la sua gente.

In questo contesto di vita ritrovata, anche noi presbiteri siamo chiamati a tornare a Nazareth, nella sinagoga, dove tutto ha avuto inizio, per rinnovare le nostre promesse sacerdotali.

Non rinnoviamo delle parole, ma un cuore, perché si riaccenda il fuoco dell’inizio. Non desideriamo guardare con nostalgia a un passato ideale, ma con realismo e amore vogliamo abbracciare il presente, che ci interpella con i volti concreti della nostra gente, con le loro attese e le loro domande.

Cari fratelli nel sacerdozio, vi sono grato dal profondo del cuore per l’amore che nutrite e vivete per questa santa Chiesa di Bari-Bitonto. La futura beatificazione del Venerabile Carmine De Palma, membro di questo presbiterio, sia per noi conferma di un cammino di santità che ereditiamo come testimonianza e che realizziamo nella semplicità del nostro ministero. Lui si è fatto balsamo di misericordia per tanti penitenti, elargendo col suo cuore la forza del perdono.

Essere presbiteri oggi, in questo tempo così esigente, significa non solo servire l’altare, ma abitare le fratture del mondo con una tenerezza che consola e orienta il cammino.

Nell’amministrare la grazia di Dio ai nostri fratelli, siamo chiamati a essere custodi dell’umano.

La nostra forza non sta nei numeri, né nel riconoscimento sociale. Sta nella fedeltà al Vangelo. Sta nell’amore gratuito e disarmato. Sta nella Croce di Cristo che ci precede e ci chiama a salvezza.

Pensando a quella croce, desidero volgere con voi lo sguardo ai luoghi dove la guerra imperversa. Non possiamo tacere, oggi, la sofferenza che attraversa il mondo, in particolare la Terra Santa, la Palestina, terra dove Dio ha voluto piantare la sua tenda e che oggi è ancora martoriata da odio e violenza.

Il grido dei piccoli, delle madri senza più figli, dei popoli senza pace, ci interpella. Non possiamo celebrare questa Messa senza portare nel cuore l’urgenza di pregare per la pace, e di essere artigiani di riconciliazione. Il dolore dei fratelli è la nostra ferita. La pace non è un’utopia, ma una responsabilità. E noi tutti, consacrati mediante il battesimo, non possiamo dimenticare che l’unzione ricevuta ci lega indissolubilmente al grido dell’umanità sofferente.

La Vergine Odegitria, nostra patrona, ci mostri sempre la via e interceda per noi, affinché il cuore di ciascuno non si smarrisca lungo il cammino, ma rimanga saldo nella fede e nella gioia sobria di chi sa che la Croce non è l’ultima parola. Cristo è con noi. È Lui la nostra pace, il nostro coraggio, la nostra forza.

In questo Giubileo della Speranza, ritroviamo insieme il coraggio di sognare, come Chiesa popolo di Dio, come presbiteri al servizio della comunione, come battezzati unti per essere luce.

Lasciamoci plasmare dallo Spirito e usciamo da questa celebrazione con rinnovato stupore per il dono che ci è stato fatto. Egli che fa nuove tutte le cose, renda il nostro ministero, la nostra vita, il nostro impegno a servizio degli altri… profezia di cielo nella polvere del quotidiano.

A tutti il mio augurio di buon cammino e buona vita. Amen.

                                                 

✠ Giuseppe Satriano

Arcivescovo

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