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La famiglia come promessa, dono e sfida. A partire dal recente Sinodo dei Vescovi

Prolusione per l'apertura dell’Anno Giudiziario 2016 del Tribunale Ecclesiastico Regionale Pugliese di mons. Bruno Forte Arcivescovo Metropolita di Chieti-Vasto, Segretario Speciale del Sinodo sulla Famiglia.Bari, 13 Febbraio 2016

Introduzione: il Sinodo dei quattro Papi e la centralità della famiglia

L’Assemblea Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, celebrata dal 5 al 19 Ottobre 2014, e quella Ordinaria, celebrata dal 4 al 25 Ottobre 2015, costituiscono un unico cammino sinodale, che è stato accompagnato nelle due tappe da una larghissima consultazione delle Chiese in comunione con Roma, realizzata mediante questionari ad esse inviati e che hanno ricevuto amplissima risposta, non solo dalle Chiese locali, ma anche da molte istituzioni e centri di ricerca in tutto il mondo. Il Sinodo vissuto in due tappe potrebbe essere caratterizzato anzitutto dal suo rapporto a diverse figure di Pontefici, tanto da azzardarne la definizione di “Sinodo dei quattro Papi”. Il primo fra essi è certamente Francesco: la sua impronta si è vista sin dall’inizio, quando ha invitato i vescovi a parlare in assoluta libertà, precisando che non dovesse esserci niente di cui si potesse dire “di questo non si può parlare”. I Padri sinodali hanno preso alla lettera l’invito del Successore di Pietro, dando vita a un dibattito libero e nutrito, dove sono risuonati accenti anche molto diversi fra loro, pur nella comunione della fede e della volontà di cercare il bene maggiore per le famiglie di tutto il mondo, al cui servizio la Chiesa si pone. In questo senso, l’Assemblea sinodale nelle sue due tappe ha rappresentato un esercizio ampio e ricchissimo della collegialità episcopale, della partecipazione attiva e responsabile, cioè, del collegio dei vescovi al governo pastorale del popolo di Dio con il Papa e sotto la sua guida. Ne è risultata l’esperienza di una Chiesa viva, adulta nell’assumere la complessità, accomunata dall’ascolto dello Spirito, in cammino nella ricerca delle vie nuove cui il Signore la chiama: una Chiesa “sinodale”. “Potrei dire serenamente - ha affermato Francesco nel discorso di sabato 18 ottobre 2014 - che con uno spirito di collegialità e di sinodalità abbiamo vissuto davvero un'esperienza di Sinodo, un percorso solidale, un cammino insieme e come in ogni cammino ci sono stati dei momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere al più presto la mèta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta; altri momenti di entusiasmo e di ardore”. Il Papa non ha esitato poi ad aggiungere: “Personalmente mi sarei molto preoccupato e rattristato se… tutti fossero stati d'accordo o taciturni in una falsa pace quietista. Invece ho visto e ho ascoltato - con gioia e riconoscenza - discorsi e interventi pieni di fede, di zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di parresia. E ho sentito che è stato messo davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la suprema lex, la salus animarum". Nel discorso commemorativo del 50° dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, poi, Papa Francesco ha affermato che esso, “rappresentando l'episcopato cattolico, diventa espressione della collegialità episcopale all'interno di una Chiesa tutta sinodale … Esso manifesta la collegialitas affectiva, la quale può pure divenire in alcune circostanze ‘effettiva’, che con­giunge i Vescovi fra loro e con il Papa nella sollecitudine per il Popolo di Dio”. Soprattutto per questo, il cammino sinodale appena concluso è stato quello del Sinodo di Papa Francesco, caratterizzato dalla grande fiducia che sin dall’inizio del suo servizio petrino egli ha voluto dare alla collegialità episcopale.

Un’altra figura di pontefice che ha ispirato e accompagnato i lavori sinodali è stata quella del Papa emerito Benedetto XVI: sebbene sia stato fisicamente presente solo alla canonizzazione dell’amato Paolo VI il 19 Ottobre 2014, si può dire che la scelta di fondo di affrontare con onestà le sfide e i problemi della famiglia oggi corrisponda a quanto egli ha voluto decisamente per la Chiesa negli otto anni del suo pontificato riguardo a tutti gli aspetti della vita del popolo di Dio. Alcuni temi, poi, sono stati ispirati direttamente al suo magistero: così l’attenzione alla rilevanza della fede degli sposi nella celebrazione del matrimonio. Già da Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, egli aveva affermato: "Ulteriori studi approfonditi esige la questione se cristiani non credenti - battezzati che non hanno mai creduto o non credono più in Dio - veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso facto un matrimonio sacramentale". Il ragionamento è stringente: dal momento che la fede è parte dell’essenza del sacramento, "l’evidenza della non fede" ha come conseguenza che il sacramento non si realizzi. Gli effetti di una simile conclusione potrebbero essere ampi nel riconoscimento dell’invalidità di molti matrimoni, aprendo così la strada allo snellimento di non pochi processi matrimoniali canonici. Soprattutto, però, l’insistenza di Papa Benedetto sulla rilevanza della fede motiva l’esigenza di un’accurata preparazione alle nozze, intesa anzitutto come “mistagogia”, e dunque come cammino che porti gli sposi cristiani a riscoprire e vivere la grazia del loro battesimo e degli altri sacramenti nella costruzione della nuova famiglia e nell’assumere gli impegni relativi alla indissolubilità del vincolo e all’apertura alla procreazione: temi su cui il Sinodo si è espresso con chiarezza dottrinale e attenzione pastorale.

Il terzo papa di cui si è avvertita particolarmente la presenza ispiratrice al Sinodo è stato Giovanni Paolo II, il “Papa della famiglia”, come lo ha definito Francesco: di frequente il lavoro sinodale si è rifatto al Suo magistero sulla famiglia. Così ne ricorda l’apporto la Relazione finale dell’Assemblea ordinaria del 2015 (RS): “San Giovanni Paolo II ha dedicato alla famiglia una particolare attenzione attraverso le sue catechesi sull’amore umano e sulla teologia del corpo. In esse, egli ha offerto alla Chiesa una ricchezza di riflessioni sul significato sponsale del corpo umano e sul progetto di Dio riguardo al matrimonio e alla famiglia sin dall’inizio della creazione. In particolare, trattando della carità coniugale, ha descritto il modo in cui i coniugi, nel loro mutuo amore, ricevono il dono dello Spirito di Cristo e vivono la loro chiamata alla santità. Nella Lettera alle famiglie Gratissimam Sane e soprattutto con l’Esortazione Apostolica Familiaris Consortio, Giovanni Paolo II ha indicato la famiglia come ‘via della Chiesa’, ha offerto una visione d’insieme sulla vocazione all’amore dell’uomo e della donna, ha proposto le linee fondamentali per la pastorale della famiglia e per la presenza della famiglia nella società” (RS 44). Era stato peraltro Giovanni Paolo II a scegliere “la famiglia cristiana” come tema della V Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi (26 Settembre - 25 Ottobre 1980), non esitando ad affermare nell’Esortazione Apostolica ad esso seguita che “l’avvenire dell’umanità passa attraverso la famiglia!” (FC 86).

Infine, viva è stata la memoria del beato Paolo VI, a partire dalla scelta di far coincidere la chiusura dell’assemblea sinodale straordinaria con la sua beatificazione, ma anche e soprattutto per lo stile e lo spirito dei lavori. Papa della conclusione e dell’attuazione del Concilio Vaticano II, Montini è stato il grande testimone del dialogo della Chiesa con la modernità, attento alla ricerca tutt’altro che facile e scontata delle mediazioni opportune fra la salvezza offerta in Cristo e la storia reale. In ascolto fedele dei segni dei tempi e nella rigorosa fedeltà all’identità della Chiesa e del suo patrimonio di fede, Paolo VI ha sovente vissuto in se stesso la tensione della ricerca, quella sofferenza del divenire in cui la luce dell’Eterno andava proposta fra le penombre e perfino nelle tenebre di un’ora carica di contraddizioni e di resistenze. Questo è però anche il compito che i credenti di oggi si trovano ad affrontare in rapporto alle culture del “villaggio globale”, spesso omologate a modelli forti ed insieme diversificate in relazione alla varietà e complessità delle sfide contestuali. Non pochi Padri hanno testimoniato di avvertire un clima di lavoro per tanti aspetti simile alle atmosfere conciliari, prolungate nella grande opera di servizio al popolo di Dio e all’umanità di Papa Montini. Anche così il Sinodo nelle sue due tappe è stata un’avventura bella, che ha aperto la porta a nuovi cammini ed esigerà coraggio e impegno da parte di tutti i credenti per corrispondere a quanto lo Spirito sta dicendo alla Chiesa. Appare anche ricco di spirito montiniano l’appello di Papa Francesco a essere la Chiesa “che non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini; che non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone... che ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti! La Chiesa che non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo, anzi si sente coinvolta e quasi obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino e lo accompagna verso l'incontro definitivo, con il suo Sposo, nella Gerusalemme Celeste”. Una Chiesa di uomini e per gli uomini, decisa a non abdicare mai al suo compito di essere voce del Dio vivo, che ha parlato alla storia in Gesù Cristo.

Già questo legame forte del recente Sinodo ai grandi Papi che hanno governato la Chiesa dal Concilio a oggi, mostra come il tema della famiglia sia stato centrale nel magistero dei Successore di Pietro a noi più vicini nel tempo. Peraltro, la Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, fra le sfide cui chiedeva di dedicare maggiore attenzione e impegno, aveva menzionato al primo posto la famiglia, fondamento del vivere insieme degli esseri umani: “La famiglia, nella quale le diverse generazioni s’incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il fondamento della società” (GS 47). Le ragioni di questa importanza dell’istituto familiare sono riconoscibili nella sua natura e missione, basate sul disegno divino sull’umanità, come afferma la Relazione conclusiva della recente Assemblea Ordinaria del Sinodo: “Grembo di gioie e di prove, la famiglia è la prima e fondamentale ‘scuola di umanità’ (cf. GS, 52) … La famiglia assume per il cammino della Chiesa un’importanza speciale: ‘Tanto era l’amore che [Dio] ha incominciato a camminare con l’umanità, ha incominciato a camminare con il suo popolo, finché giunse il momento maturo e diede il segno più grande del suo amore: il suo Figlio. E suo Figlio dove lo ha mandato? In un palazzo? In una città? A fare un’impresa? L’ha mandato in una famiglia. Dio è entrato nel mondo in una famiglia. E ha potuto farlo perché quella famiglia era una famiglia che aveva il cuore aperto all’amore, aveva le porta aperte’ (Francesco, Discorso alla Festa delle Famiglie, Philadelphia, 27 settembre 2015).” (RS 2). Le riflessioni che seguono toccheranno allora innanzitutto le sfide attuali che riguardano l’istituto familiare, per richiamare poi il “Vangelo della famiglia” che la Chiesa è chiamata ad annunciare, per considerare infine la pastorale familiare in generale e quella delle situazioni difficili o irregolari, alla luce specialmente della relazione finale presentata dall’Assemblea ordinaria del 2015 a Papa Francesco.

1. Crisi dell’istituto familiare?

Nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (2013) Papa Francesco ha scritto: “La famiglia attraversa una crisi culturale profonda, come tutte le comunità e i legami sociali. Nel caso della famiglia, la fragilità dei legami diventa particolarmente grave perché si tratta della cellula fondamentale della società, del luogo dove s’impara a convivere nella differenza e ad appartenere ad altri e dove i genitori trasmettono la fede ai figli. Il matrimonio tende a essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno. Ma il contributo indispensabile del matrimonio alla società supera il livello dell’emotività e delle necessità contingenti della coppia” ( 66). Non mancano, naturalmente, aspetti positivi nella situazione attuale dell’istituto familiare, mescolati e talvolta perfino oscurati da aspetti negativi. Gli uni e gli altri sono così presentati nella Relatio conclusiva del recente Sinodo: “Siamo consapevoli … dei cambiamenti antropologico-culturali, in ragione dei quali gli individui sono meno sostenuti che in passato dalle strutture sociali nella loro vita affettiva e familiare. D’altra parte, bisogna egualmente considerare gli sviluppi di un individualismo esasperato che snatura i legami familiari, facendo prevalere l’idea di un soggetto che si costruisce secondo i propri desideri, togliendo forza ad ogni legame. Pensiamo alle madri e ai padri, ai nonni, ai fratelli e alle sorelle, ai parenti prossimi e lontani, e al legame tra due famiglie che tesse ogni matrimonio. Non dobbiamo tuttavia dimenticare la realtà vissuta: la solidità dei legami familiari continua ovunque a tenere in vita il mondo. Rimane grande la dedizione alla cura della dignità di ogni persona – uomo, donna e bambini –, dei gruppi etnici e delle minoranze, così come alla difesa dei diritti di ogni essere umano di crescere in una famiglia” (RS 5).

È necessario considerare in primo luogo i condizionamenti che nei vari contesti gravano sulla realtà familiare: “Nella società odierna si osservano una molteplicità di sfide che si manifestano in misura maggiore o minore in varie parti del mondo. Nelle diverse culture, non pochi giovani mostrano resistenza agli impegni definitivi riguardanti le relazioni affettive, e spesso scelgono di convivere con un partner o semplicemente di avere relazioni occasionali. La diminuzione della natalità è il risultato di vari fattori, tra cui l’industrializzazione, la rivoluzione sessuale, il timore della sovrappopolazione, i problemi economici, la crescita di una mentalità contraccettiva e abortista. La società dei consumi può anche dissuadere le persone dall’avere figli anche solo per mantenere la loro libertà e il proprio stile di vita ... I matrimoni in alcune parti del mondo diminuiscono, mentre le separazioni e i divorzi non sono rari” (RS 7). La Relatio non tace neanche sulle sfide emergenti specie nel Nord del mondo: “Una sfida culturale odierna di grande rilievo emerge da quell’ideologia del ‘gender’ che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo. Nella visione della fede, la differenza sessuale umana porta in sé l’immagine e la somiglianza di Dio (cf. Gn 1,26-27). ‘… La cultura moderna e contemporanea ha aperto nuovi spazi, nuove libertà e nuove profondità per l’arricchimento della comprensione di questa differenza. Ma ha introdotto anche molti dubbi e molto scetticismo. […] La rimozione della differenza […] è il problema, non la soluzione’ (Francesco, Udienza generale, 15 aprile 2015)” (RS 8).

La stessa Relatio descrive, poi, articolatamente i fattori più rilevanti che incidono sulla crisi della famiglia in ampi settori del “villaggio globale”: “La qualità affettiva e spirituale della vita familiare è gravemente minacciata dalla moltiplicazione dei conflitti, dall’impoverimento delle risorse, dai processi migratori. Violente persecuzioni religiose, particolarmente nei riguardi delle famiglie cristiane devastano zone intere del nostro pianeta, creando movimenti di esodo e di immense ondate di rifugiati che esercitano grandi pressioni sulle capacità delle terre di accoglienza. Le famiglie provate in questo modo, molto spesso, sono forzate allo sradicamento e condotte alla soglia della dissoluzione ... Gli sforzi di tutti i responsabili politici e religiosi per diffondere e proteggere la cultura dei diritti dell’uomo sono ancora insufficienti. Bisogna ancora rispettare la libertà di coscienza e promuovere la coesistenza armoniosa tra tutti i cittadini fondata sulla cittadinanza, l’uguaglianza e la giustizia. Il peso di politiche economiche e sociali inique, anche nelle società del benessere, incide gravemente sul mantenimento dei figli, sulla cura dei malati e degli anziani. La dipendenza dall’alcol, dalle droghe o dal gioco d’azzardo è talora espressione di queste contraddizioni sociali e del disagio che ne consegue nella vita delle famiglie. L’accumulo di ricchezza nelle mani di pochi e la distrazione di risorse destinate al progetto familiare accrescono l’impoverimento delle famiglie in molte regioni del mondo” (RS 8). Non di meno, resta il dato innegabile che, “nonostante i segnali di crisi dell’istituto familiare, nei vari contesti, il desiderio di famiglia resta vivo nelle giovani generazioni” (RS 2). Fra desiderio e rifiuto, la famiglia è decisiva per tutti, e non può non essere oggetto dell’attenzione prioritaria della Chiesa, impegnata ad annunciare il Vangelo alle donne e agli uomini d’oggi.

2. Il Vangelo della famiglia

Alla luce delle sfide e delle attese riguardanti la famiglia oggi la Chiesa si riconosce, dunque, chiamata a proporre con convinzione il “Vangelo della famiglia”, fondato sul disegno del Creatore e sulla parola e l’azione del Figlio incarnato. I contenuti fondamentali di questa buona novella sono così evocati: “La famiglia basata sul matrimonio dell’uomo e della donna è il luogo magnifico e insostituibile dell’amore personale che trasmette la vita. L’amore non si riduce all’illusione del momento, l’amore non è fine a se stesso, l’amore cerca l’affidabilità di un ‘tu’ personale. Nella promessa reciproca di amore, nella buona e nella cattiva sorte, l’amore vuole continuità di vita, fino alla morte. Il desiderio fondamentale di formare la rete amorevole, solida ed intergenerazionale della famiglia si presenta significativamente costante, al di là dei confini culturali e religiosi e dei cambiamenti sociali. Nella libertà del ‘sì’ scambiato dall’uomo e dalla donna per tutta la vita, si fa presente e si sperimenta l’amore di Dio. Per la fede cattolica il matrimonio è segno sacro in cui diventa efficace l’amore di Dio per la sua Chiesa. La famiglia cristiana pertanto è parte della Chiesa vissuta: una ‘Chiesa domestica’” (RS 4).

La buona notizia riguardo alla famiglia abbraccia in particolare quattro aspetti, che vanno proposti nella loro unità: la famiglia come scuola di umanità, di socialità, di vita ecclesiale, di fede e di santificazione. La famiglia è anzitutto scuola di umanità, scuola di amore nella vita e nella crescita della persona (cf. Gaudium et Spes 52). La Familiaris consortio aveva posto giustamente al centro e a fondamento della realtà familiare il vincolo dell’amore che ci fa umani: “L’amore è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano… L’istituzione matrimoniale non è una indebita ingerenza della società o dell’autorità, né l’imposizione estrinseca di una forma, ma esigenza interiore del patto d’amore coniugale che pubblicamente si afferma come unico ed esclusivo perché sia vissuta così la piena fedeltà al disegno di Dio Creatore” (FC 11). Perciò, riconoscere il valore di questo amore unitivo ed evangelizzarne continuamente la necessità e la bellezza è compito ineludibile dei credenti: “Testimoniare l’inestimabile valore dell’indissolubilità e della fedeltà matrimoniale è uno dei doveri più preziosi e più urgenti delle coppie cristiane del nostro tempo” (FC 20).

All’amore che nasce dall’alto ed è alla base di ogni vero amore, in particolare di quello familiare, Benedetto XVI ha consacrato la sua Enciclica Deus caritas est (25 Dicembre 2005). Nella distinzione che l’Enciclica fa fra “eros” e “agape”, fra amore passionale e amore oblativo, si avverte l’eco del dibattito novecentesco avviato dalle ricerche di Anders Nygren (autore dell’opera classica Eros e agape). In questo quadro, il Papa afferma che l’amore cristiano “non è rifiuto dell’eros, non è il suo avvelenamento, ma la sua guarigione in vista della sua vera grandezza” (DCE 5). E questo avviene mediante un amore più grande, che ci è donato dall’alto: l’esperienza del Dio Amore rende possibile il dono di sé all’altro e agli altri. “Sì, amore è ‘estasi’, estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio” (DCE 6). È l’amore di chi sa di dover dare la vita: “L’intima partecipazione personale al bisogno e alla sofferenza dell’altro diventa un partecipargli me stesso: perché il dono non umilii l’altro, devo dargli non soltanto qualcosa di mio ma me stesso, devo essere presente nel dono come persona” (DCE 34). Un programma, questo, ineludibile per ogni vita familiare che voglia essere autentica e umanizzante, e che si lasci plasmare dal modello dell’amore eterno: “Il matrimonio basato su un amore esclusivo e definitivo diventa l’icona del rapporto di Dio con il suo popolo e viceversa: il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano” (DCE 11).

Nell’Enciclica Lumen Fidei (29 Giugno 2013) Papa Francesco si sofferma sul tema della famiglia alla luce del primato della fede: “Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Essa nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne (cf. Gen 2,24) e sono capaci di generare una nuova vita, manifestazione della bontà del Creatore, della sua saggezza e del suo disegno di amore. Fondati su quest’amore, uomo e donna possono promettersi l’amore mutuo con un gesto che coinvolge tutta la vita e che ricorda tanti tratti della fede. Promettere un amore che sia per sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci permette di donare l’intero futuro alla persona amata. La fede poi aiuta a cogliere in tutta la sua profondità e ricchezza la generazione dei figli, perché fa riconoscere in essa l’amore creatore che ci dona e ci affida il mistero di una nuova persona” (LF 52). Sulla via dell’amore, illuminato e nutrito dalla fede, la famiglia può profilarsi dunque come un’autentica scuola di umanità buona, sana e felice secondo il progetto di Dio.

La famiglia è anche scuola di socialità: essa fa crescere la persona nello sviluppo delle sue capacità di socializzazione e nella costruzione della società. Afferma la Familiaris consortio: “La famiglia è la prima e fondamentale scuola di socialità: in quanto comunità di amore, essa trova nel dono di sé la legge che la guida e la fa crescere. Il dono di sé, che ispira l’amore dei coniugi tra di loro, si pone come modello e norma del dono di sé quale deve attuarsi nei rapporti tra fratelli e sorelle e tra le diverse generazioni che convivono nella famiglia. E la comunione e la partecipazione quotidianamente vissuta nella casa, nei momenti di gioia e di difficoltà, rappresenta la più concreta ed efficace pedagogia dei figli nel più ampio orizzonte della società” (FC 37). Così, “nel matrimonio e nella famiglia si costituisce un complesso di relazioni interpersonali - nuzialità, paternità-maternità, filiazione, fraternità -, mediante le quali ogni persona umana è introdotta nella famiglia umana e nella famiglia di Dio, che è la Chiesa” (FC 15). Afferma la relazione finale del Sinodo: “La bellezza del dono reciproco e gratuito, la gioia per la vita che nasce e la cura amorevole di tutti i membri, dai piccoli agli anziani, sono alcuni dei frutti che rendono unica e insostituibile la risposta alla vocazione della famiglia. Le relazioni familiari concorrono in modo decisivo alla costruzione solidale e fraterna dell’umana società, irriducibile alla convivenza degli abitanti di un territorio o dei cittadini di uno Stato   “ (RS 50).

In maniera analoga, la famiglia diventa grembo di vita ecclesiale, che educa a vivere nella comunione della Chiesa: “Il matrimonio e la famiglia cristiani edificano la Chiesa: nella famiglia, infatti, la persona umana non solo viene generata e progressivamente introdotta, mediante l’educazione, nella comunità umana, ma mediante la rigenerazione del battesimo e l’educazione alla fede essa viene introdotta anche nella famiglia di Dio, che è la Chiesa” (FC 15). “In quanto «piccola Chiesa», la famiglia cristiana è chiamata, a somiglianza della «grande Chiesa», ad essere segno di unità per il mondo e ad esercitare in tal modo il suo ruolo profetico testimoniando il Regno e la pace di Cristo, verso cui il mondo intero è in cammino” (FC 48). Il protagonismo attivo e rilevante della famiglia nella vita ecclesiale e dell’azione pastorale a favore della famiglia è così messo in luce dalla Relazione finale del Sinodo: “In virtù del sacramento del matrimonio ogni famiglia diventa a tutti gli effetti un bene per la Chiesa. In questa prospettiva sarà certamente un dono prezioso, per l’oggi della Chiesa, considerare anche la reciprocità tra famiglia e Chiesa: la Chiesa è un bene per la famiglia, la famiglia è un bene per la Chiesa. La custodia del dono sacramentale del Signore coinvolge non solo la singola famiglia, ma la stessa comunità cristiana, nel modo che le compete. Di fronte all’insorgere della difficoltà, anche grave, di custodire l’unione matrimoniale, il discernimento dei rispettivi adempimenti e delle relative inadempienze dovrà essere approfondito dalla coppia con l’aiuto dei Pastori e della comunità” (RS 52). D’altra parte, alla famiglia la Chiesa può guardare come ad un modello cui ispirarsi: “Grazie alla carità della famiglia, la Chiesa può e deve assumere una dimensione più domestica, cioè più familiare, adottando uno stile più umano e fraterno di rapporti” (FC 64).

La famiglia è infine scuola di fede e di santificazione, in cui si esercita e si alimenta il cammino di santità dei coniugi e dei figli: “I coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, e assieme rendono gloria a Dio” (GS 48). Il sacramento nuziale è in se stesso fonte della grazia necessaria a realizzare un simile progetto di vita: “Come dal sacramento derivano ai coniugi il dono dell’obbligo di vivere quotidianamente la santificazione ricevuta, così dallo stesso sacramento discendono la grazia e l’impegno morale di trasformare tutta la loro vita in un continuo sacrificio spirituale” (FC 56). La realizzazione di questa chiamata alla santità coniugale e familiare è alimentata dai doni del Signore e dalla corrispondenza docile e orante ad essi: “La famiglia, nella sua vocazione e missione, è veramente un tesoro della Chiesa. Tuttavia, come afferma san Paolo nei riguardi del Vangelo, ‘noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta’ (2 Cor 4,7). Sulla porta d’ingresso della vita della famiglia, afferma Papa Francesco, ‘sono scritte tre parole […]: permesso?, grazie, scusa. Infatti queste parole aprono la strada per vivere bene nella famiglia, per vivere in pace. Sono parole semplici, ma non così semplici da mettere in pratica! Racchiudono una grande forza: la forza di custodire la casa, anche attraverso mille difficoltà e prove; invece la loro mancanza, a poco a poco apre delle crepe che possono farla persino crollare’ (Francesco, Udienza generale, 13 maggio 2015) … La preghiera domestica, la partecipazione alla liturgia e la pratica delle devozioni popolari e mariane sono mezzi efficaci di incontro con Gesù Cristo e di evangelizzazione della famiglia. Ciò metterà in evidenza la speciale vocazione degli sposi a realizzare, con la grazia dello Spirito Santo, la loro santità attraverso la vita matrimoniale, anche partecipando al mistero della croce di Cristo, che trasforma le difficoltà e le sofferenze in offerta d’amore” (RS 87).

3. Pastorale familiare e delle situazioni difficili o irregolari

Annunciare il Vangelo della famiglia è dunque dovere prioritario di tutta la Chiesa, che deve adempierlo nella concretezza delle situazioni e nella fedeltà ai tempi in cui opera: “L’azione pastorale della Chiesa deve essere progressiva, anche nel senso che deve seguire la famiglia, accompagnandola passo dopo passo nelle diverse tappe della sua formazione e del suo sviluppo” (FC 65). Occorre, pertanto, discernere attentamente le vie pastorali adatte a meglio proporre la bellezza e l’importanza della famiglia e quelle più consone a manifestare la misericordia di Dio alle famiglie in difficoltà, a quelle in crisi, ai separati, ai divorziati, risposati e no

A tal fine l’azione evangelizzatrice e catechetica del popolo di Dio dovrà anzitutto testimoniare il valore irrinunciabile della dottrina dell’indissolubilità del matrimonio, fondata sull’analogia fra il vincolo nuziale e quello indissolubile di Cristo con la Chiesa. Afferma la Relatio Synodi: “La famiglia offre la possibilità alla persona di realizzarsi e di contribuire alla crescita degli altri nella società più ampia. La stessa identità cristiana ed ecclesiale ricevuta nel Battesimo fiorisce nella bellezza della vita familiare” ( 7). Per questo, la meta dell’indissolubile fedeltà fra i coniugi va sempre incoraggiata e sostenuta e nessuna forma di “divorzio” potrà considerarsi accettabile alla luce della fede ecclesiale. Occorrerà pertanto verificare e potenziare tutte le modalità con cui sostenere i coniugi nel loro impegno di fedeltà reciproca e di dedizione ai figli. Non di meno sarà necessario riflettere sul modo migliore di accompagnare i separati e i divorziati non risposati in una vita di fede e di carità, che li faccia sentire protagonisti della comunione ecclesiale, oltre a individuare le forme e i linguaggi per annunciare ai divorziati risposati che essi restano figli della Chiesa e oggetto della misericordia di Dio, invitandoli a cammini di fede che li aiutino a sentirsi amati dal Padre.

In proposito, la Relatio Synodi afferma: “La Chiesa, in quanto maestra sicura e madre premurosa, pur riconoscendo che tra i battezzati non vi è altro vincolo nuziale che quello sacramentale, e che ogni rottura di esso è contro la volontà di Dio, è anche consapevole della fragilità di molti suoi figli che faticano nel cammino della fede. ‘Pertanto, senza sminuire il valore dell’ideale evangelico, bisogna accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone che si vanno costruendo giorno per giorno. […] Un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. A tutti deve giungere la consolazione e lo stimolo dell’amore salvifico di Dio, che opera misteriosamente in ogni persona, al di là dei suoi difetti e delle sue cadute’ (EG, 44). Questa verità e bellezza va custodita. Di fronte a situazioni difficili e a famiglie ferite, occorre sempre ricordare un principio generale: ‘Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni’ (FC, 84). Il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi, e possono esistere fattori che limitano la capacità di decisione. Perciò, mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione” (RS 51).

Il significato del carattere eminentemente pastorale che ha avuto la recente assemblea sinodale ordinaria sulla famiglia si coglie qui in tutta la sua evidenza: non è in discussione la dottrina della Chiesa, più volte ribadita anche negli ultimi anni dai vari interventi magisteriali. La riflessione del Sinodo ha riguardato le applicazioni pastorali, il modo di proporre la dottrina (ad esempio a livello di linguaggio), di accompagnarne la recezione e la pratica, di mostrarne in maniera chiara le potenzialità umanizzanti a fronte di una diffusa non conoscenza o incomprensione, di favorire processi di discernimento delle situazioni personali e di integrazione. L’Evangelii Gaudium sottolinea in proposito come l’agire pastorale della Chiesa nei confronti delle persone in situazioni familiari difficili o irregolari debba riflettere lo sguardo di misericordia con cui il Padre celeste guarda e ama ciascuno dei suoi figli: di conseguenza, verso chi vive realtà che comportano grande sofferenza “la vera urgenza pastorale è quella di permettere a queste persone di curare le ferite, di guarire e di riprendere a camminare insieme a tutta la comunità ecclesiale” (EG 80). A sua volta la Relatio Synodi afferma: “Lo sguardo di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cf. Gv 1,9; GS, 22), ispira la cura pastorale della Chiesa verso i fedeli che semplicemente convivono o che hanno contratto matrimonio soltanto civile o sono divorziati risposati. Nella prospettiva della pedagogia divina, la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo imperfetto: invoca con essi la grazia della conversione, li incoraggia a compiere il bene, a prendersi cura con amore l’uno dell’altro e a mettersi al servizio della comunità nella quale vivono e lavorano” (RS 53). Tutto questo non ha nulla a che vedere con l’idea banalizzante di un eventuale rinuncia a proporre le esigenze della verità che salva: la medicina della misericordia non è mai finalizzata a favorire i naufragi, ma sempre e solo a salvare la barca sul mare in tempesta e a dare ai naufraghi l’accoglienza, la cura e il sostegno necessari. “Tutti hanno bisogno di uno sguardo di comprensione, tenendo conto che le situazioni di distanza dalla vita ecclesiale non sempre sono volute, spesso sono indotte e a volte anche subite. Nell’ottica della fede non ci sono esclusi: tutti sono amati da Dio e stanno a cuore all’agire pastorale della Chiesa” (RS 34). Se non si comprende questa fondamentale intenzione, si equivocherà irrimediabilmente anche quanto il Sinodo ha detto sulla situazione dei separati, dei divorziati, dei divorziati risposati, delle convivenze, delle unioni di fatto, o delle unioni fra persone dello stesso sesso.

La coniugazione di testimonianza alla verità e di esercizio della misericordia deve essere, dunque, lo stile proprio dell’azione pastorale della Chiesa, pronta ad accogliere ed accompagnare chi si trovi in situazioni segnate da ferite o difficoltà. La Relatio Synodi non esita ad affermare: “Quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico – ed è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove – può essere vista come un’occasione da accompagnare verso il sacramento del matrimonio, laddove questo sia possibile ... La situazione di fedeli che hanno stabilito una nuova unione richiede una speciale attenzione pastorale: ‘In questi decenni […] è molto cresciuta la consapevolezza che è necessaria una fraterna e attenta accoglienza, nell’amore e nella verità, verso i battezzati che hanno stabilito una nuova convivenza dopo il fallimento del matrimonio sacramentale; in effetti, queste persone non sono affatto scomunicate’ (Francesco, Udienza generale, 5 agosto 2015)” (RS 54). Un aspetto peculiare di questa sollecitudine pastorale verso le famiglie ferite o divise riguarda la cura dei cammini rivolti ad accertare la validità o la nullità del vincolo matrimoniale: “I recenti Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus hanno condotto ad una semplificazione delle procedure per la eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale. Con questi testi, il Santo Padre ha voluto anche «rendere evidente che il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati» (MI, preambolo, III). L’attuazione di questi documenti costituisce dunque una grande responsabilità per gli Ordinari diocesani, chiamati a giudicare loro stessi alcune cause e, in ogni modo, ad assicurare un accesso più facile dei fedeli alla giustizia” (RS 82). Soprattutto in un’epoca come la nostra, in cui tante coppie di sposi conoscono il dramma del fallimento del loro progetto d’amore, e non pochi cercano di rifarsi una vita affettiva mediante nuovi vincoli sentimentali e nuove nozze civili, quest’aspetto del ministero ecclesiale verso la realtà della famiglia assume un significato rilevante. Peraltro, una costatazione onesta rileverà facilmente come non pochi dei matrimoni celebrati in Chiesa possano risultare non validi, in particolare se si tiene conto dell’importanza della fede in ordine alla valida ed efficace ricezione del sacramento, pur senza svalutare naturalmente la presenza della retta intenzione che salva la validità del vincolo nuziale.

Nell’azione pastorale riguardante i divorziati e risposati, la Relatio Synodi sviluppa significativamente, accanto all’idea di accoglienza e accompagnamento, quelle di discernimento e integrazione: “I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Quest’integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti. Per la comunità cristiana, prendersi cura di queste persone non è un indebolimento della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi, la Chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità” (RS 84)[1].

L’esercizio del discernimento rinvia alla necessità di un criterio secondo cui orientarsi: su questo punto il Sinodo ha richiamato le indicazioni offerte dal magistero di Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio: “Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido” (FC 84). Il Sinodo ha qui aggiunto: “È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento ... Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno” (RS 85).

Inoltre, la Relatio Synodi ha sottolineato l’importanza del giudizio della coscienza, che può essere a volte condizionato senza colpevolezza della persona: “Non si può negare che in alcune circostanze ‘l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate’ (CCC, 1735) a causa di diversi condizionamenti. Di conseguenza, il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla ‘imputabilità soggettiva’ (Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, 2a). In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. Perciò, pur sostenendo una norma generale, è necessario riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è la medesima in tutti i casi. Il discernimento pastorale, pure tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi” (ib.). Viene a tracciarsi così un preciso percorso pastorale, che il Sinodo ha descritto nella maniera seguente: “Il percorso di accompagnamento e discernimento orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. FC, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa. Perché questo avvenga, vanno garantite le necessarie condizioni di umiltà, riservatezza, amore alla Chiesa e al suo insegnamento, nella ricerca sincera della volontà di Dio e nel desiderio di giungere ad una risposta più perfetta ad essa” (RS 86).

Il paragrafo dedicato all’attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale si ferma a considerare la situazione delle famiglie con figli che abbiano tale tendenza e offre queste indicazioni: “La Chiesa conforma il suo atteggiamento al Signore Gesù che in un amore senza confini si è offerto per ogni persona senza eccezioni (MV, 12). Nei confronti delle famiglie che vivono l’esperienza di avere al loro interno persone con tendenza omosessuale, la Chiesa ribadisce che ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ‘ogni marchio di ingiusta discriminazione’ (Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 4). Si riservi una specifica attenzione anche all’accompagnamento delle famiglie in cui vivono persone con tendenza omosessuale. Circa i progetti di equiparazione al matrimonio delle unioni tra persone omosessuali, ‘non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia’ (Ibidem). Il Sinodo ritiene in ogni caso del tutto inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia e che gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi che istituiscano il ‘matrimonio’ fra persone dello stesso sesso” ( 76). Accompagnamento, discernimento e integrazione sono dunque le tappe indispensabili di un atteggiamento pastorale sollecito nei confronti di tutte le possibili situazioni difficili o di famiglie ferite: “Stare vicino alla famiglia come compagna di cammino significa, per la Chiesa, assumere un atteggiamento sapientemente differenziato: a volte, è necessario rimanere accanto ed ascoltare in silenzio; altre volte, si deve precedere per indicare la via da percorrere; altre volte ancora, è opportuno seguire, sostenere e incoraggiare. ‘La Chiesa dovrà iniziare i suoi membri – sacerdoti, religiosi e laici – a questa “arte dell’accompagnamento”, perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3,5). Dobbiamo dare al nostro cammino il ritmo salutare della prossimità, con uno sguardo rispettoso e pieno di compassione ma che nel medesimo tempo sani, liberi e incoraggi a maturare nella vita cristiana’ (EG, 169)” (RS 77).

È questo il cammino che porta a riconoscere nella famiglia non solo l’oggetto di una specifica attenzione pastorale, ma anche un decisivo soggetto, protagonista della vita della Chiesa e della sua missione: “Se la famiglia cristiana vuole essere fedele alla sua missione, essa dovrà ben comprendere da dove essa scaturisce: non può evangelizzare senza essere evangelizzata. La missione della famiglia abbraccia l’unione feconda degli sposi, l’educazione dei figli, la testimonianza del sacramento, la preparazione di altre coppie al matrimonio e l’accompagnamento amichevole di quelle coppie o famiglie che incontrano difficoltà. Da qui l’importanza di uno sforzo evangelizzatore e catechetico indirizzato all’interno della famiglia. Al riguardo, si abbia cura di valorizzare le coppie, le madri e i padri, come soggetti attivi della catechesi, specialmente nei confronti dei figli, in collaborazione con sacerdoti, diaconi, persone consacrate e catechisti. Questo sforzo inizia sin dalle prime frequentazioni serie della coppia. È di grande aiuto la catechesi familiare, in quanto metodo efficace per formare i giovani genitori e per renderli consapevoli della loro missione come evangelizzatori della propria famiglia. Inoltre, è molto importante sottolineare il nesso tra esperienza familiare e iniziazione cristiana. La comunità cristiana tutta deve diventare il luogo in cui le famiglie nascono, si incontrano e si confrontano insieme, camminando nella fede e condividendo percorsi di crescita e di reciproco scambio” (RS 89). Tutto questo la comunità potrà farlo se saprà “infondere nelle famiglie un senso di appartenenza ecclesiale, un senso del ‘noi’ nel quale nessun membro è dimenticato. Tutti siano incoraggiati a sviluppare le proprie capacità e a realizzare il progetto della propria vita a servizio del Regno di Dio. Ogni famiglia, inserita nel contesto ecclesiale, riscopra la gioia della comunione con altre famiglie per servire il bene comune della società” (RS 90).

Infine, la Relatio Synodi tocca i temi della trasmissione della vita, della denatalità e dell’educazione. Circa il primo punto si osserva come sia “purtroppo diffusa una mentalità che riduce la generazione della vita alla sola gratificazione individuale o di coppia. I fattori di ordine economico, culturale ed educativo esercitano un peso talvolta determinante contribuendo al forte calo della natalità che indebolisce il tessuto sociale, compromette il rapporto tra le generazioni e rende più incerto lo sguardo sul futuro. Anche in questo ambito occorre partire dall’ascolto delle persone e dar ragione della bellezza e della verità di una apertura incondizionata alla vita come ciò di cui l’amore umano ha bisogno per essere vissuto in pienezza. Si coglie qui la necessità di divulgare sempre più i documenti del Magistero della Chiesa che promuovono la cultura della vita.” (RS 62). Il richiamo all’uso dei metodi naturali per la procreazione responsabile e l’accenno ai valori positivi della Humanae Vitae di Paolo VI si collegano al forte invito ad accogliere e promuovere l’accoglienza della vita a tutti i livelli, facendosi carico del compito educativo che introduce la persona cui si è data la vita nella realtà totale illuminata dalla fede nel mistero santo di Dio. Su queste sfide si gioca il futuro stesso dell’umanità, e l’impegno della comunità cristiana in questo campo assume più che mai la rilevanza di un servizio decisivo alla causa dell’uomo e del suo destino.

Conclusione

In conclusione, è lecito chiedersi quale immagine di Chiesa ha espresso il Sinodo dei Vescovi presieduto da Papa Francesco. Non esiterei a dire che emerge il volto di una Chiesa libera, vivissima e fedele. È una Chiesa libera quella che si è manifestata negli interventi e nei dialoghi sinodali: lo è stata per desiderio preciso del Papa, che ha invitato i vescovi rappresentanti di tutte le Chiese del mondo in comunione con Roma a esprimersi in totale franchezza. "Non c'è niente di cui si possa dire: di questo non si può parlare!" E l'invito è stato raccolto con entusiasmo, tanto da poter dire che non ci siano situazioni significative per la vita delle famiglie nel "villaggio globale" che non siano state in qualche modo evocate o rappresentate nell'aula sinodale. D'altronde, lo stesso tema del Sinodo portava naturalmente a riferirsi alla rete complessa di condizioni, di sfide, di possibilità e di problemi che toccano le famiglie nei diversi contesti del pianeta. Dalle lacerazioni connesse alla guerra in varie parti del pianeta, alle difficoltà economiche e sociali del Sud del mondo, alla crisi dell'istituto familiare nell'Occidente europeo e americano, alla variegata considerazione della famiglia in paesi come la Cina e l'India, è veramente il mondo intero e la realtà familiare nei suoi molteplici aspetti e problemi a essere stato al centro della riflessione. L'esame di coscienza sul modo in cui la Chiesa si pone in questa complessità di situazioni ha mostrato luci e ombre: non basta affermare il valore della realtà familiare se poi non si pone al centro dell'azione pastorale la cura delle famiglie, estesa ad abbracciare anche le più diverse situazioni di famiglie ferite (divorziati risposati e no, separati, coppie in crisi...). Dal punto di vista socio-politico, poi, la ferma denuncia di molte carenze di attenzione e di sostegno alla famiglia è stata largamente presente.

La Chiesa che parla con piena libertà delle sfide, dei problemi e delle risorse delle famiglie nei diversi contesti non può non sentirsi interpellata da quanto viene presentato in Sinodo: è una Chiesa viva quella che si è sentita palpitare nel dibattito sinodale. Lo è anzitutto per la testimonianza diretta di innumerevoli iniziative pastorali suscitate e vissute al servizio delle famiglie, per accompagnarle e integrarle nella vita della comunità cristiana e della società civile. Lo è anche dove si denunciano le carenze, sia da parte dell'azione della Chiesa stessa, che da parte delle istituzioni politiche e sociali. Tutt'altro che indifferente alla complessità dei contesti e delle forme di governo che li caratterizzano, spesso è la comunità cristiana che porta avanti azioni di denuncia e di promozione umana, sollecitando alla giustizia i detentori del potere. La Chiesa che il Sinodo ha mostrato al mondo non è in alcun modo una dirimpettaia delle vicende umane, ma un lievito nella pasta della storia, un popolo di donne e di uomini che, uniti ai loro Pastori, vivono la quotidianità della lotta per la giustizia o dell'azione di sensibilizzazione ad essa nei più diversi contesti. Viva in se stessa, nell'articolazione dei compiti e delle responsabilità, la Chiesa cui i Padri sinodali hanno dato voce è presente e partecipe sui fronti più diversi in cui ci si impegna per la causa di tutto l'uomo in ogni uomo.

Colpisce infine nell'esperienza vissuta del Sinodo il senso di unità e di comunione profonda che ha unito i sinodali fra loro e al Vescovo di Roma, il Papa, chiamato a “presiedere la Chiesa nell’amore”, come afferma un’antichissima testimonianza di Ignazio di Antiochia, padre della Chiesa delle origini. Per quanto possa apparire impossibile agli occhi del mondo, i Padri sinodali, provenienti dalle più diverse regioni e culture della terra, hanno sperimentato fra loro, con e sotto la guida di Papa Francesco, una profondissima unità nella fede e nel senso di responsabilità verso gli uomini cui si riconoscono inviati ad annunciare il Vangelo. È questa la forza singolare che unisce la Chiesa cattolica nel tempo - i duemila anni della sua spesso non facile storia - e nello spazio, che abbraccia lingue e ambiti culturali e geografici diversissimi dell'intero pianeta. Che questa comunione debba valorizzare le Chiese locali, come i diversi livelli regionali, nazionali e continentali della comunione ecclesiale, lo ha sottolineato lo stesso Papa Francesco nello stupendo discorso fatto il 17 ottobre per il cinquantesimo dell'istituzione del Sinodo da parte di Paolo VI: "In una Chiesa sinodale, il Sinodo dei Vescovi è solo la più evidente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali". Se questo vuol dire confessare la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica con libertà e convinzione, farne esperienza come è avvenuto in questo Sinodo è stato un dono singolare, che ha parlato di per sé di una presenza più alta e profonda che tutti univa, valorizzando la dignità di ciascuno: quella del Signore Gesù che il Sinodo ha confessato e proposto come luce, speranza e forza per ogni famiglia del mondo.

Mons. Bruno Forte


[1] Questo numero della Relatio Synodi come anche i nn. 85 e 86 non hanno ottenuto la maggioranza dei due terzi, fermandosi a superare la metà più uno dei voti. Segno della presenza di sensibilità pastorali diverse e della grande libertà della riflessione sinodale.

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