
La fatica di rinnovarsi: un Sinodo in salita!
La chiesa non è un parlamento, ovvero non si stabilisce la verità a suon di voti di maggioranza o di opposizione. La chiesa ha due criteri irrevocabili e immutabili per orientare il proprio cammino: il primo criterio è la stessa persona umana di Gesù quale è raccontata nei vangeli (dunque non le teologie avulse dalla realtà né le rivelazioni private avulse dal vangelo); il secondo criterio è la voce degli ultimi che, seppur non stanno nel consesso sinodale, stanno gridando a buon diritto per poter conoscere nel concreto quella verità che libera, annunciata e vissuta da Gesù stesso.
Basta guardarsi attorno e scorgere, solo all’interno della chiesa, quante persone si sentono inascoltate: in generale i laici, le donne, i gay, i divorziati, gli sbattezzati sempre più numerosi, preti che lasciano, preti costretti ad un concubinato nascosto, gli stessi gerarchi ecclesiastici eletti di nascosto e dai poteri feudali non sanno come svincolarsi dal potere monarchico del papa. Tutte questioni, ed altre ancora, che toccano la struttura stessa della chiesa e la sua visione del come stare nel mondo senza essere del mondo.
Non è facile stare nel mondo senza essere del mondo, ovvero senza adottare i metodi del mondo. Bisognerebbe imparare prima a stare con Gesù per assumere lo spirito della sua mentalità e la forza del suo modo di agire pieno di comprensione e di compassione. Benché sia Lui a darci il suo Spirito, questo Spirito è totalmente sterile se non è assunto dalla stessa persona a cui è stato donato. In tal caso, lo Spirito non assunto non potrà da solo trasformare le strutture della chiesa in strumenti di servizio reale, se non vi sarà una chiara e umile disponibilità a collaborare con Lui.
A volte sembra che la chiesa, ostinatamente ferma alla dottrina, perda l’occasione di essere dinamica e di accogliere il nuovo che le bussa alla porta per essere riconosciuto. Il nuovo ha bisogno di otri nuovi, una nuova e rinnovata chiesa ha bisogno di cambiare le sue strutture, senza addurre la scusante di voler essere fedeli alla tradizione: abbiamo una sola fedeltà da mantenere, quella all’Evangelo. Al nuovo che porta ad una apertura maggiore di mente e di cuore, specialmente per accogliere chi si sente smarrito o rifiutato, bisognerebbe spalancargli le porte e non opporgli resistenze, la qual cosa annullerebbe la buona volontà di tante persone e l’amore stesso che la chiesa dice di volere per tutti. Non si ama mai “a condizione che…”!
Prima di ricordare alcuni temi specifici, che il Sinodo ha paura di affrontare, vorrei sottolineare che non è Gesù a doversi trovare nell’istituzione della chiesa, ma è la chiesa a doversi trovare dove c’è Gesù, ovvero là dove due o tre sono riuniti nel suo nome in fraternità (realtà conosciuta dalle parti del Cupolone?). Dov’è carità e amore lì c’è Dio, dunque non necessariamente nei perimetri stabiliti dall’uomo, per quanto siano stati consacrati a suo dire, nè nelle sue dottrine, per quanto religiose possano sembrare.
Senza analizzare temi scottanti e attuali, non ne avrei gli strumenti, voglio mettermi nell’atteggiamento semplice dell’evidenziatore di quei temi portando il mio grazie a quanti sono coinvolti, non senza sofferenza, in quei temi.
Un grazie ai laici: proprio loro mi hanno aiutato ad aprire gli occhi fuori dal mio piccolo orticello teologico ecclesiastico. Alle donne un grazie speciale: pur essendo state le prime a capire e a testimoniare il Gesù Vivente al di là della sua morte. Oggi vorrebbero continuare nella chiesa, non i poteri sacerdotali, sconosciuti ai vangeli, ma la missione di poter annunciare a pieno titolo quello di cui il mondo maschile si è appropriato fin da subito, relegando le donne più al suo servizio che al servizio del Maestro. Mi auguro che un certo atteggiamento misogino venga superato e che il divieto ad essere apostole a tutti gli effetti non derivi dalla paura di perdere i poteri.
Anche ai fratelli Gay va il mio grazie. Hanno avuto il coraggio di portare all’interno della sessualità la gioia, oltre a vivere una vera relazione d’amore tra omofili, rompendo così il monopolio che sembrava appartenere solo agli etero. Ogni manifestazione umana dell’amore è, che i vescovi lo vogliano o no, una manifestazione del Trascendente, di Dio.
Ringrazio pure i divorziati che hanno avuto la forza di rompere un vincolo che li metteva ormai fuori dalla sfera dell’amore e che produceva più delle sofferenze disumane, che degli aiuti ad evolversi verso orizzonti di respiro più ampio e creativo. Divorziare non sempre è un fallimento, ma spesso è un atto che vuole salvare la gioia dell’amore a cui tutti hanno diritto. Cambiare strada non è un male, se i nuovi obiettivi sono quelli della salvaguardia di ogni essere umano coinvolto.
Perciò non si può limitare loro una qualsiasi azione della comunità.
Un grazie agli sbattezzati è doveroso: denunciando con il loro ardito gesto le ipocrisie e il pantano che hanno sicuramente visto nelle istituzioni religiose, hanno iniziato ad imporre interrogativi seri alla chiesa sul suo modo di essere e di presentarsi al mondo di oggi. La necessità di una vera e reale trasparenza nella chiesa è più che mai urgente, non procrastinabile.
Un grazie ai miei confratelli preti che, dopo aver lasciato il ministero per fedeltà a se stessi e alla loro interiorità, hanno continuato ad ammonire l’apparato feudale ed imperialistico della chiesa gerarchica, dando a noi tutti lo slancio per meglio operare all’interno del nostro ministero perché rifulga semplicità e onestà più che maschere di ipocrisia. Lo stesso vale per i preti e vescovi che vivono nel nascondimento e nella lacerazione interiore la loro situazione di padri di figlioli e figliole, che, con le loro madri obbligate a celare il tutto, non potranno mai essere riconosciuti non solo dalla legge, ma neppure dalla comunione ecclesiale. Un celibato ecclesiastico imposto è contro ogni diritto umano. Neppure come condizione si può proporre, non sarebbe altro che ricatto.
Ringrazio, ancora, quanti per amore alla trasparenza non si sono mai piegati ai ricatti e alla compravendita di titoli o di posti altolocati nelle istituzioni religiose, né si sono prostrati ad obbedienze assurde pur di non perdere privilegi ed essere così, stimati dai superiori.
Ma non abbiamo un solo Superiore, Dio?
I ruoli in questo mondo potranno essere molto diversi tra loro, ma nessuno di quelli dà diritto a chi li svolge di crearsi una superiorità indebita ed umiliante l’altro. Un solo Sovrano abbiamo, il Signore! Gli altri potranno esercitare poteri stabiliti da leggi e concordati, ma non potranno mai essere riconosciuti dal senso comune e dalla genuina fede della gente di buona volontà.
Il cammino sinodale dovrà consumare ancora tante scarpe per arrivare a quella metanoia tanto voluta da Gesù. Un cambiamento radicale delle strutture non è più differibile. La chiesa non è un parlamento, vero, ma neppure è un museo dove si mantengono statue luccicanti ma inerme, gelide ed impaludate per ingannare gli osservatori.
Non è dogma quello che ho scritto, ma materiale per aprire una riflessione aperta e non succube all’andazzo taciturno che vige oggi in moltissimi ambienti non escluso quello della chiesa.
Severo Piovanelli
© www.vinonuovo.it, mercoledì 16 aprile 2025