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La formazione permanente del Clero

Il rinnovamento della Chiesa, auspicato e promosso dal Concilio Vaticano II, dipende in gran parte dal mistero sacerdotale, e perciò dalla formazione impartita ai sacerdoti, dalla continuazione e dal perfezionamento di questa dopo l'ordinazione sacerdotale, soprattutto nei primi anni di vita pastorale

padova1.jpgAvevo in mente di farlo già da tempo.

L’ultima esperienza di Padova dello scorso ottobre mi ha convinto!

Spinto anche dalla richiesta di qualche confratello, ho voluto scrivere qualcosa circa la formazione permanente del Clero.

Eviterò però di fare un resoconto di quei giorni, quasi da “diario di bordo” o da “temini sull’ultima gita fatta” (anche se forse anche questo sarebbe utile). Limiterò la mia riflessione sul significato e sulla necessità della formazione.

Alcuni testi del Magistero mi sono stati di aiuto ma anche il “girovagare” qua e là per Internet (deformazione… professionale) con la “parola chiave” nel “Motore di ricerca” mi ha svelato una mole di riflessioni e contributi che a fatica sono riuscito a condensare in poche pagine.

Questa riflessione, perciò, non è propriamente “farina del mio sacco”, ma un “mettere insieme i cocci” (o se volete un copia-incolla) di contributi provenienti da fonti disparate.

La formazione permanente del clero è anzitutto una delle preoccupazioni più vive e costanti della vita della chiesa e si è maggiormente accentuata a partire dal Vaticano II.

Il documento della Congregazione per il Clero del 4 novembre 1969 Inter Ea. Istruzione e formazione permanente del Clero afferma: «Nel pieno compimento di questo dovere, la Congregazione per il Clero ha ritenuto necessario dedicare una particolare attenzione al problema della formazione permanente del clero, soprattutto giovane, affinché più efficacemente fosse tradotto in pratica ciò che il Vaticano II ha stabilito in merito» (n°1) e al n°3 afferma: «Nessuno certamente ignora che il rinnovamento della Chiesa, auspicato e promosso dal Concilio Vaticano II, dipende in gran parte dal mistero sacerdotale, e perciò dalla formazione impartita ai sacerdoti, dalla continuazione e dal perfezionamento di questa dopo l'ordinazione sacerdotale, soprattutto nei primi anni di vita pastorale».

Formazione permanente, perché? Tre sembrano essere i motivi principali:

- riflettere sull’identità del ministero presbiterale, affinché questa abbia una propria immagine vera e significativa: «il ministero sacerdotale, del quale i sacerdoti sono partecipi, richiede assolutamente una forma di vita consona con i doni ricevuti nella ordinazione sacramentale e con le mansioni che ognuno dovrà esercitare nella vita pastorale: "Perché impiegando i mezzi efficaci che la Chiesa ha raccomandato, tendano a quella santità sempre maggiore che consentirà loro di divenire strumenti ogni giorno più validi di tutto il popolo di Dio". L'apostolo Paolo inoltre esorta: "Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza" (2 Tm 1,6-7)» (Inter Ea n° 11). Se nei sacerdoti saranno sempre presenti e vigorose queste realtà, «essi non dimenticheranno per quali ragioni un giorno si sono consacrati a Dio e al suo gregge nel sacerdozio» (idem, n° 11);

- rispondere alle attese che insorgono dalla storia, per garantire una presenza autentica e al passo dei tempi, senza che il presbitero si scoraggi per l’impressione di essere inadatto a compiere debitamente la propria missione, proseguendo e perfezionando «la formazione sacerdotale, a motivo soprattutto delle circostanze della società moderna, anche dopo che è terminato il curricolo degli studi nei seminari» (Inter Ea n° 3);

- aiutare i presbiteri ad approfondire la loro identità di “uomini di comunione”, ossia riscoprire la consapevolezza e la crescita della fraternità presbiterale: «Si favoriscano gli incontri dei sacerdoti della stessa età o della stessa regione, per sviluppare una reciproca carità, per comunicare le diverse esperienze, per superare le divergenze dovute all'età» (Inter Ea n° 21).

Occorre che questi tre aspetti della formazione sacerdotale siano tra loro armonizzati in modo adatto e conveniente: è infatti assolutamente necessario che regni una giusta armonia tra i vari fini che ci si propone di raggiungere con la formazione permanente.

Non mancano gli ostacoli.

Il primo è la deleteria convinzione che ciò che conta è “il fare”, negandosi il tempo della riflessione, dell’ascolto e del rientrare in se stessi. Con il conseguente pericolo di un pragmatismo ministeriale senz’anima che produce quella stanchezza psicologica, fisica, spirituale che genera scetticismo e perdita di ogni entusiasmo e passione per il Regno.

L’altro ostacolo cui la formazione permanente deve far fronte è di non avere la profonda convinzione di appartenere ad un unico presbiterio, preferendo agire da battitori liberi e adducendo la scusa dell’inefficacia di tanti incontri spirituali o pastorali tra presbiteri.

Per i giovani presbiteri la familiarità con il vescovo e con tutto il presbiterio può favorire il superamento di un certo scoraggiamento che prende davanti ai primi insuccessi, la maturità affettiva, la gestione del tempo in funzione del ministero, il porre in primo piano i contenuti e le persone anziché i mezzi.

Ma anche, e soprattutto, i presbiteri di età adulta e matura devono poter fare ricorso alla formazione permanente. A partire dalla constatazione che è proprio questa fascia d’età a non credere più necessaria la formazione permanente... con la presunzione di sapere ormai tutto. Una mancata formazione permanente pone questi presbiteri dinanzi al rischio di diventare funzionari del culto a ore... di cedere alle tentazioni di avarizia, di autoritarismo, di carrierismo e anche, più semplicemente, a ridurre gli impegni pastorali al puro necessario a favore di attività più gratificanti.
Per questi preti la formazione permanente può significare il rientro dal senso di disincanto, dalla perdita di fervore e dal sentimento di rassegnazione o di impotenza che si può impadronire di essi man mano che gli anni avanzano.

La Pastores dabo vobis richiama come tutto debba essere ricondotto a quel nucleo unificante che è la “carità pastorale”. A partire dall’umanità, come qualità essenziale alla persona e al ministero del presbitero. In questo ambito non si può pretendere di vivere di rendita, senza un’attenzione adeguata alle qualità umane. Il presbitero, infatti, è chiamato a percepire e farsi carico di ciò che è nel cuore delle persone che si incontrano, deve possedere la capacità di dialogare, di ascoltare, di collaborare e di dar fiducia, gli è richiesta la capacità di giudicare con equilibrio, senza pregiudizi e superficialità.

La formazione permanente si propone anche un “buona qualità della vita” dell’uomo-prete, riguardante anche la casa, il cibo, il vestito, il riposo, le ferie..., pur rifuggendo dalla ricercatezza e dal lusso. Per avere una giusta cura di se stesso, occorre anche che il prete sappia dire dei “no” alle esagerate richieste della gente, perché l’attivismo divorante può essere causa di esaurimento fisico, psichico e spirituale.

La stessa formazione deve avere di mira anche il prevenire o il ricomporre delle fratture fra preti anziani e preti giovani, perché degli uni e degli altri bisogna valorizzare i pregi, la saggezza e l’esperienza degli uni, la vitalità e l’entusiasmo degli altri in vista di un reciproco arricchimento.

L’esperienza della nostra Chiesa locale con le “settimane di formazione per il Clero” vogliono essere tutto questo.

Consolidate da parecchi anni, riescono a “fondere” insieme tutti gli elementi succitati, da quello spirituale a quello comunionale, senza tralasciare la cultura, l’approfondimento pastorale (anche con il confronto di altre realtà di Chiese locali), e mai escludendo il necessario spazio dedicato al riposo e… all’aspetto ludico (a volte anche goliardico).

Certo se ci si dovesse soffermare sui numeri (difficilmente si superano le 50 unità, su più di 200 presbiteri) e i “volti” (quasi sempre gli stessi) ci si potrebbe scoraggiare. Ogni anno però entrano a far parte di questa esperienza volti nuovi, giovani e non.

Non sarà forse che l’evangelico “Vieni e vedi” funziona davvero e produce frutti?

 

sac. Carlo Cinquepalmi

 

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