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La politica dei respingimenti lordata di sangue

Ancora un'immane tragedia nel Mediterraneo, centinaia di morti e dispersi per un barcone che si incendia e si rovescia al largo della spiaggia dei conigli. Le responsabilità del nostro Paese e dell'Europa.

L’immane tragedia di Lampedusa è figlia delle politiche dei respingimenti dell’ultimo governo Berlusconi. Politiche che purtroppo hanno lasciato i loro segni e i loro strascichi anche nelle politiche governative degli ultimi due governi, che pure avevano radicalmente cambiato la prospettiva culturale, istituendo il ministero della Solidarietà e dell’Accoglienza (con Riccardi e oggi la Kyenge). Spiace vedere che i protagonisti politici di quella stagione, la stagione dei respingimenti, tra i quali spiccavano non pochi cattolici dichiarati, anziché chiudersi in una cella di convento e riflettere su tanto dolore causato, continuino a pontificare e si esibiscano in esegesi minimaliste della visita di Francesco a Lampedusa. 

E’ urgente sgombrare i cascami di politiche “sbagliate e controproducenti”, come ha detto, 24 ore prima del naufragio della spiaggia dei conigli, il Consiglio d’Europa a proposito dlle politiche immigratorie dell’Italia.  Politiche che fanno dell’immigrato (e spesso anche del rifugiato e del richiedente asilo) non un essere umano ma un invasore, a cominciare dal reato di clandestinità. La prima cosa da accettare, come hanno spiegato al Consiglio d’Europa, è che il “flusso “ dei migranti “è e resterà continuo”. Inutile dichiarare continuamente lo stato di emergenza, significa non capire le dinamiche di questa nostra era globalizzata Non sono solo ragioni umanitarie quelle che vorrebbero cancellati i ritorni forzati degli immigrati in Paesi come la Libia (dove rischiano la tortura, se non la vita), la gestione dei Cpt, simili a lager, la decisione di dichiarare continuamente lo stato d'emergenza per “adottare misure straordinarie al di là dei limiti fissati dalle leggi nazionali e internazionali” (come scrive l’autore del rapporto Christopher Chope). Il punto è che la politica dei respingimenti ha solo scopi demagogici e propagandistici, non ha certo risolto il problema delle quote.

“A causa di sistemi di intercettazione e di dissuasione inadeguati”, prosegue il Consiglio europeo, l'Italia si è di fatto trasformata in una calamita per l'immigrazione, in particolare per gli immigrati che cercano una vita migliore all'interno dell’area Schengen. E come se non bastasse, nel documento si afferma che alcune delle scelte fatte dalle autorità italiane “rischiano di minare la fiducia nell'ordine legale europeo e nella Convenzione di Dublino”. Nessuno naturalmente si illude che l’Italia possa da sola risolvere il problema. Non basta dare lezioni di accoglienza. Tutti sanno che è necessario il coordinamento, anzi una condivisione di responsabilità, con gli altri Paesi europei, anche quelli che non hanno sponde sul Mediterraneo. Per questo serve un cambio di passo da parte del Governo. Il più presto possibile. A meno che non si voglia continuare con le tragedie.

Francesco Anfossi

© Famiglia Cristiana, 3 ottobre 2013

 

E il vescovo gridò: basta, basta!

 

 

“Basta, basta, non  possiamo continuare a fare la conta dei morti”. Monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, ha la voce rotta dal pianto, perché di fronte a tragedie così rimane solo il pianto e la rabbia. Si prepara a raggiungere l’isola, dove era già programmata una riunione di tre giorni dei responsabili Caritas delle migrazioni con il direttore di Caritas italiana don Francesco Soddu e con il direttore di Migrantes don Giancarlo Perego.

Il vescovo di Agrigento, che aveva invitato il Papa a Lampedusa, riflette sulla parole di Bergoglio e sulla denuncia della globalizzazione dell’indifferenza lanciata dal Papa dall’isola in mezzo al Mediterraneo: “C’è qualcuno che rimane sordo, c’è un grande affare attorno al dramma delle migrazioni, ci sono muri che non si abbattono e che poi provocano tragedie immani”. Di fronte alle guerre e alla mancanza di libertà e alla fame “bisogna aprire le porte e non aspettare che persone disperate e in mano ai contrabbandieri della morte ci sbattano conto e muoiano in mare”.

Montenegro rimarca la sua “tristezza”, ma anche la sua rabbia: “E adesso? Bisogna inventare qualcosa di nuovo, perché non possiamo continuare ad aspettare che le cose si sistemino da sole in attesa della prossima tragedia, in attesa della prossima lista di morti”.

Alberto Bobbio

© Famiglia Cristiana, 3 ottobre 2013

 

Quelle parole inascoltate di Francesco

 

 

 

«Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte… Non si ripeta per favore». Il Papa a Lampedusa, appena tre mesi fa aveva ricordato la tragedia dei morti nel Mediterraneo  e aveva chiesto a tutti di impegnarsi perché il dramma non si ripetesse.

«Prima di arrivare qui», aveva detto l’8 luglio, «sono passati per le mani dei trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri, queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti ad arrivare».

Oggi come allora risuona il richiamo forte di papa Francesco che chiede conto a Caino, a tutti noi, «Dov’è il tuo fratello?». La domanda che è tuonata a Lampedusa torna a essere attuale: «Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: “Chi ha ucciso il Governatore?”, tutti rispondono: “Fuente Ovejuna, Signore”. Tutti e nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: “Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?”».

Anche oggi le due domande di Dio «Adamo, dove sei?» e «Caino, dov’è tuo fratello?» richiedono la nostra risposta. «L’uomo dopo il peccato è disorientato», aveva spiegato il Papa. «Ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello! ».

Due domande che «risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch’io», aveva detto Francesco, « siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito».

Annachiara Valle

© Famiglia Cristiana, 3 ottobre 2013

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