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«La Quaresima non è tempo di eroismi, ma di accogliere la grazia che cambia la morte in vita»

L’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, apre la Quaresima in Duomo e invita alla fiducia: «È un modo di affrontare le complicazioni della vita, la complessità e la fragilità delle istituzioni. È la persuasione che con la presenza di Dio tutto è possibile, anche trarre il bene dal male»

Pubblichiamo il testo integrale dell'omelia di monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, nella prima domenica di Quaresima celebrata in Duomo con il rito di imposizione delle ceneri secondo la tradizione ambrosiana.

Sento anch’io il gemito. Anch’io indovino il sospiro. Il gemito e il sospiro di quest’uomo, di questa donna, il gemito e il sospiro di popoli interi, il gemito e il sospiro della creazione.

C’è un incompiuto che sospira il compimento. L’incompiuto degli affetti, di quell’amore che non è abbastanza amore, di quel curarsi della gioia delle persone amate che non è abbastanza per dare gioia, di quella vita che non è abbastanza vita. Sento il sospiro dell’incompiuto.

C’è il tormento che fa gemere perché è troppo il male, è troppo il soffrire: quando la carne è invasa da un male che è troppo male, quando la casa e i rapporti più cari sono travolti a una cattiveria che è troppo cattiva, quando sul paese amato e sul popolo che è il mio popolo si abbatte una tragedia che è troppo tragica. Sento il gemito e lo strazio del troppo soffrire.

Invocare il fulmine e il diluvio?

Chi ascolta il gemito e il sospiro sente crescere in sé una rabbia, una esasperazione, una ribellione. Sente nascere la voglia di invocare un qualche fulmine che incenerisca la mano ostile, l’accanimento crudele, l’oppressore insopportabile.

Sente nascere la voglia, l’istinto di invocare un qualche diluvio che lavi via il male dalla terra, un qualche intervento risolutivo che difenda l’indifeso, che umili l’arrogante, che faccia pagare il giusto a chi è stato troppo ingiusto.

Si sente nascere dentro un’impazienza, una insofferenza, un risentimento verso un cielo muto, verso una storia ostile, verso un’umanità insopportabile.
Invocheremo un fulmine? invocheremo un diluvio?

Anche Dio sente il gemito, anche Dio indovina il sospiro

Secondo la parola del profeta, l’Alto e l’Eccelso che ha una sede eterna e il cui nome è santo dichiara: In un luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi.

L’Alto e l’Eccelso, il Dio Altissimo, non sta dunque in un cielo inaccessibile, non si è estraniato in una indifferenza imperturbabile. È invece coinvolto nella vicenda dei suoi figli, è appassionato e prova tristezza per chi se ne è andato per le strade del suo cuore, condivide la sorte degli oppressi e degli umiliati. Egli è Dio e non uomo, lo strazio per le sofferenze degli umili non lo induce all’irritazione e al risentimento, ma alla prossimità che salva. Perciò non vuole contendere sempre né per sempre essere adirato, Dio vuole salvare, si rivela salvatore e redentore, indica le vie della salvezza. Chiama a vivere il tempo come un pellegrinaggio verso la terra promessa. Così si intende il tempo della Quaresima che si avvia oggi: un pellegrinaggio che porta a Pasqua, non come un percorso che chiama a esibire prestazioni eroiche e opere grandiose, ma come quell’accogliere la grazia che rende possibile la trasfigurazione della morte nella vita, la conformazione dell’uomo mortale alla vita divina.

La vita assorbe la morte, la gloria accoglie la storia

Il tempo di grazia, il tempo in cui Dio sta con gli oppressi e gli umiliati, è il tempo in cui la vita può assorbire la morte e cioè la gloria di Dio può trasfigurare, accogliere, salvare la tribolata storia dei figli di Dio.

Questo tempo di quaresima racconta la trasfigurazione che riveste l’umanità che grida e geme con due modi di arrendersi alla grazia.

Il primo modo è le professione di fede di Paolo: siamo pieni di fiducia. La certezza della prossimità del Dio Alto ed Eccelso, riempie di fiducia. I credenti introducono nella storia umana la fiducia come forza del cammino, come stile di vita, come una luce nuova che consente di vedere in modo nuovo tutto il racconto della storia umana. Siamo pieni di fiducia: è un modo di guardare ai compagni di cammino: pieni di fiducia! È un modo di affrontare le complicazioni della vita: pieni di fiducia! È un modo di considerare la complessità e la fragilità delle istituzioni, il loro gravare e il loro servire: pieni di fiducia! La fiducia non è l’ingenuità, ma la persuasione che con la presenza di Dio tutto è possibile, anche trarre il bene dal male, anche sanare le ferite, anche ricostruire i rapporti frantumati. Tutto è possibile, perciò possiamo farlo: pieni di fiducia.

Il secondo modo è la disponibilità ad affrontare la lotta: condotti dallo Spirito nel deserto per essere tentati dal diavolo. I credenti sono disponibili alla lotta, non si meravigliano della tentazione, sono abbastanza realisti da sapere che il male si presenti come più promettente del bene, che adorare il principe di questo mondo e allearsi con le potenze mondate sia più rassicurante che fidarsi di Dio. I credenti lo sanno, i credenti non si lasciano ingannare da quello che sembra. I credenti resistono, i credenti continuano a vivere di ogni parola che esce dalla bocca di Dio, i credenti continuano a rendere culto solo a Dio.

© www.famigliacristiana.it, lunedì 19 febbraio 2018

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