La veglia missionaria sveglia le coscienze
In questo momento storico così difficile, in cui il fragore delle armi sovrasta ogni tentativo di dialogo, rischia di passare in secondo piano l’impegno di migliaia di giovani, volontari e cittadini nell’organizzazione di spedizioni, carovane e missioni di pace verso le regioni più martoriate del pianeta. Eppure, mai come oggi questo impegno si rivela necessario per rispondere alla richiesta di aiuto e per assecondare l’anelito di speranza che si leva da parte di milioni di persone, provate da un’esistenza particolarmente dura. Così, le iniziative che la chiesa cattolica dedica al tema della missione, in questo mese di ottobre, appaiono quanto mai interessanti e utili. Tra queste, la veglia organizzata dalla diocesi di Bari-Bitonto nella chiesa di San Ferdinando, al centro di Bari, proprio il giorno – il 10 ottobre – in cui si fa memoria di san Daniele Comboni, fondatore dei missionari Comboniani.
La veglia, intervallata da momenti di preghiera e testimonianza, tra cui quella dell’arcivescovo mons. Giuseppe Satriano si è svolta in un clima di vera e propria condivisione, armonia e ascolto. Ai piedi dell’altare, una bandiera attorno ad un mappamondo simboleggiava i colori dei cinque continenti. Prima della consegna delle lanterne, simbolo del mandato per l’anno pastorale, ai rappresentanti delle diverse parrocchie, proprio le testimonianze di laici e sacerdoti che vivono nel quotidiano la missione come vocazione e scelta di vita, hanno offerto spunti davvero interessanti per la comprensione di vicende così drammatiche come i bombardamenti in Ucraina, le rivolte in Iran, le infinite guerriglie nei territori d’Africa dove i missionari di ogni credo ed età rischiano la vita da decenni.
Il tema dell’ottobre missionario proposto da papa Francesco è “Di me sarete testimoni”, che le diocesi italiane declinano con momenti di preghiera, riflessioni e proposte. La voce di quelle persone che vivono nelle “periferie esistenziali” oltre che geografiche della terra, paradossalmente, non trovano spazi di commiserazione e pietismo. Il filo conduttore che lega tali esperienze è la luce di speranza, la gioia della vita che promanano dal contatto con quelle persone a cui inizialmente si pensa di portare aiuto. Le storie drammatiche di famiglie, poveri, donne e bambini disvelano, in realtà, una fede incrollabile, una disponibilità alla fiducia e al sorriso davvero sorprendenti. Capovolgendo l’idea di missione a cui solitamente si fa riferimento.
Ad aprire la carrellata di testimonianze è don Leonardo D’Alessandro, sacerdote diocesano Fidei Donum (scelto dalla diocesi) a Soddu Abala in Etiopia da ventinove anni. Il missionario barese accolse la proposta di mons. Mariano Magrassi di sostituire don Franco Ricci, caduto nel 1992 in un agguato. Nel suo intervento cita don Tonino Bello che nel 1990 volle andare in Etiopia, invitato proprio dal compianto don Franco. Racconta di come il sacerdote salentino fu colpito dal sorriso di una donna etiope, “povera, ma con una fede incrollabile e piena di gioia”. Il sorriso della gente incontrata in Africa è il vero insegnamento per ogni missionario; mostra una fiducia gioiosa nutrita dalla fede in Cristo, l’arma vincente con cui affrontare terribili sofferenze e privazioni d’ogni genere. La povertà, invece, è capace di trasmettere la pace dell’anima.
La parola pace, soprattutto in questi tempi, è associata a un’utopia. Eppure, sono molti i giovani che scelgono la strada dell’impegno non violento, della missione in soccorso volontario alle popolazioni che vivono sotto la minaccia delle bombe e dei missili. Paola Fracella, volontaria di Operazione Colomba, movimento promosso dalla Comunità Giovanni XXIII che interviene direttamente nei luoghi di guerra, creando fronti e protezioni disarmate, è tornata da un’esperienza in un campo profughi in Ucraina nella regione di Kherson. Di quest’esperienza ricorda l’amicizia con Vera, la cui vita è stata falciata da un missile. Le vittime non sono numeri, ma nomi e volti. Paola è’ rientrata dalla quarta carovana della pace promossa dalla rete per la pace e la solidarietà Stop the war now, la prima delle quali ha visto la partecipazione di mons. Satriano in primavera. La volontaria descrive la missione di Operazione Colomba, che si pone l’obiettivo di affiancare le minoranze, la gente che soffre, dimostrando che ogni vita vale quanto quella delle vittime di guerra, afferma la giovane che sulle proprie spalle porta il bagaglio di lunghe esperienze in Colombia e Palestina a supporto di un comitato popolare non violento. Nel caso di Paola la missione rappresenta davvero un’impresa di coraggio e prossimità, di denuncia più autentica della guerra senza alcun compromesso.
La missione è innanzitutto un’esperienza che porta ogni individuo ai confini di se stesso, cercando di capire come affrontare le gravi contraddizioni che l’umanità è capace di causare. Non si tratta di confini geografici, ormai estremamente ravvicinati. In Burkina Faso il 40% del territorio è preda del terrorismo islamico; i cristiani sono continuamente minacciati dalla morte. A descrive l’inquietante scenario è don Jean Paul Barriò, sacerdote africano, grato alla comunità barese per averlo “adottato” in un periodo del suo percorso vocazionale. “A questa veglia avrebbe dovuto partecipare anche il vescovo del Burkina Faso, ma il golpe attualmente in atto non ha reso possibile il suo viaggio in aereo”, spiega. Poi con la convinzione data dalla fede continua: “I terroristi si avventano sulle popolazioni, sulle scuole. In questi posti la realtà ecclesiale locale e mondiale è costantemente interpellata dalla gente che chiede aiuto. C’è gente che vuole rubare la fede rendendo impossibile anche la costruzione di una chiesa”. La testimonianza successiva è affidata a padre Mario Albrizio, sacerdote dei Missionari della Carità. Racconta il percorso della sua vocazione tra i bisogni emergenziali a cui provava a offrire risposte, recandosi in Indonesia durante i soccorsi successivi allo Tsunami, e l’incontro con Madre Teresa di Calcutta che gli ha impresso definitivamente il desiderio di dedicarsi all’impegno missionario. A breve padre Mario partirà per l’Iran, scosso dalla dura repressione delle rivolte per lo hjiab messe in atto da migliaia di donne contro la “polizia morale”.
Prima di una esibizione di musica senagalese in chiesa, mons. Satriano parte con il suo intervento conclusivo, raccontando la propria esperienza di missione in Kenya da cui è rientrato letteralmente evangelizzato, grazie all’incontro con tanta gente davvero credente, capace di trasmettere un senso di vita autentico. In quella missione l’arcivescovo ha compreso il valore dell’amore che non può essere trattenuto e non può essere ridotto a bene di consumo; non può essere intriso di individualismo e narcisismo di cui è pregna la società.
“In fondo la missione è porgere agli altri la bellezza di un incontro, di un amore che ha sconvolto la vita personale” dice. Della missione l’elemento centrale è rendersi testimonianza senza trattenere il cuore al prossimo, “un cuore che si è sentito visto, sentito, toccato”. Proseguendo la riflessione, Satriano ricorda che “troppo a lungo l’idea di missione si è associata ad una forma di colonialismo spirituale. Attraverso l’immersione della vita della gente si scopre, invece, la consapevolezza di essere amati da Dio”. Le sue parole sono un monito a risvegliare una testimonianza credibile, come il fremito di una persona innamorata che non può nascondere i suoi sentimenti. Vivere esperienze di missione aiuta a far resuscitare la gioia di vivere con poco. “E’ un passaggio dalla paura al coraggio, dalla morte alla risurrezione”, suggerisce il pastore della chiesa di Bari-Bitonto. Che così prosegue: “la missione non deve convincere qualcuno, ma serve ad annunciare agli altri che l’incontro con Dio ha cambiato la mia vita”. A riprova di ciò descrive un episodio avvenuto nel villaggio keniota in cui durante le catechesi esortava le donne, in Africa sottomesse e sfruttate dai mariti e dai familiari, a ricordare che Dio le amava in modo particolare soffermandosi sulle numerose figure femminili nella bibbia. Ne conseguì un sussulto di gratitudine delle donne presenti che, nonostante le situazioni di sofferenza e le violenze che subivano, quasi prendendo coscienza, scatenarono una danza gioiosa, a conferma che “il Vangelo fa tornare il cuore in vita, lo fa danzare”.
Nell’attuale contesto sociale, culturale ed economico, ingabbiato in una crisi perenne, in cui l’altro è giudicato a priori un pericolo, si addita il lontano come causa di ogni malanno, non percependo che la gente lontana vive nelle nostre mura casalinghe, nei condomini a causa della povertà delle relazioni e dei valori esige l’impegno missionario, come stili di vita e scelte quotidiane. Le numerose emergenze a cui assistiamo nel globale e “glocale” modificano le barriere geografiche della “missione ad gentes”, arrivando anche ad essere anche “ad personam”. Se stessi. L’arcivescovo, perciò invita a rimettere al centro del nostro agire il cuore lanciando una domanda, vero e proprio obiettivo della missione di vita che spetta ad ogni uomo e donna di buona volontà, ad ogni latitudine prima di andare verso la gente: “Cristo l’ho davvero incontrato? Dov’è la mia vita?”. Trovare la propria risposta sarebbe già una missione compiuta.
Nella foto, alcuni momenti della veglia missionaria nella chiesa di San Ferdinando a Bari
Luigi Laguaragnella
© www.primopiano.info, mercoeldì 19 ottobre 2022