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Le Ave Maria: perché non si possono cantare durante i matrimoni?

Il discorso canti e musiche va inquadrato nel discorso più ampio del sacramento e del rito che viene preparato e celebrato

Vorrei ancora, per l’ennesima volta, spiegare e dare una risposta chiara su un tema che, a scadenze fisse, occupa le pagine dei giornali, specialmente in occasione di matrimoni vip e durante il periodo estivo, con i gior­nalisti alla ricerca di notizie e di polemiche[1].

Innanzitutto partiamo dai documenti ufficiali, se ci sono. Dopo varie indagini, ho trovato soltanto un artico­lo della Congregazione per il culto divino che in rispo­sta a un quesito così scriveva: «Dopo l’entrata in vigore dell’Ordo celebrandi Matrimonium, che ha restituito una ambientazione schiettamente liturgica alla celebrazione delle nozze, da più parti, regioni e popoli diversi, è stato chiesto alla Sacra Congregazione per il culto divino cosa pensare, nel quadro del rinnovamento liturgico, di alcuni brani musicali, ancor oggi molto adoperati come elementi quasi «tipici» nella cerimonia nuziale.

In particolare vengono indicati: Marcia nuziale di Mendelssohn, Marcia Nuziale di Wagner, Largo di Haen­del, Ave Maria di Gounod, Ave Maria di Schubert, Aria di chiesa di Stradella. La Sacra Congregazione ha interro­gato in proposito 13 esperti: 9 musicisti e 4 liturgisti, su scala internazionale. Dalle risposte sono emerse alcune indicazioni, che riteniamo sia utile far conoscere in sin­tesi, per un orientamento generale su tale problema.

  1. In generale gli interpellati hanno espresso parere negativo, non per l’intrinseco valore artistico dei brani, ma perché ritenuti non adatti all’uso liturgico. Accettare senza riserve queste misure significherebbe far perdurare un passato anacronistico.
  2. Anche se tali brani musicali con l’uso ed il tem­po hanno ottenuto una certa caratterizzazione sacra, è doveroso e necessario favorire melodie e canti non di semplice ascolto, ma di vera partecipazione comunitaria, secondo le norme e lo spirito liturgico.
  3. I brani in questione appartengono ormai ad un vecchio repertorio, liturgicamente non funzionale, stili­sticamente sorpassato che occorre gradatamente rinno­vare [...].
  4. A norma degli articoli 39 e 119 della Costituzione liturgica, e del n. 12 della Istruzione Musicam sacram, spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale – Conferenze episcopali – determinare gli adattamenti dei testi liturgici, entro i limiti stabiliti, specie riguardo alla musica sacra [...].
  5. Più importante di tutto rimane il lavoro di educa­zione alla nuova mentalità liturgica promossa dalla rifor­ma in corso, per cui la musica e il canto sacro hanno la nobile funzione ministeriale di favorire una celebrazione piena, attiva e comunitaria dei fedeli»[2].

Fin qui l’intervento della Congregazione; un intervento non ufficiale, perché apparso su una rivista a firma di una sigla con le sole iniziali S.B. Questo articolo suscitò una aspra reazione dei vaticanisti e musicisti; non va dimenticato che si era negli anni caldi della riforma liturgica, avviata soltanto da pochi anni. La Congregazione fu costretta a una rettifica nel numero 69 del 1972 con queste parole: «Le indicazioni riportate nella relazione sull’inchiesta, a firma di un collaboratore della rivista, volevano offrire elementi per un orientamento generale sul problema, senza introdurre divieti di alcun genere, del resto fuori luogo in una nota di semplice redazio­ne, sotto la responsabilità dell’estensore della medesima nota». Quindi un chiarimento a chiare lettere: non si trattava di una proibizione, ma di una nota di redazione di cui era responsabile il redattore. Quindi nessuna in­dicazione ufficiale.

Altro documento ufficiale è il Rito del Matrimonio, pubblicato dalla Cei il 4 ottobre 2004.

Nella presentazione al n. 30 così è scritto: «I canti da eseguire siano adatti al rito del Matrimonio ed esprimano la fede della chiesa, in modo particolare si dia importan­za al canto del salmo responsoriale nella liturgia della Parola. Quello che è detto dei canti vale anche riguardo alla scelta di tutto il programma musicale». Alle pagine 253-264 il rito prevede alcune melodie per i vari momenti rituali del matrimonio. Nessun divieto, ma il richiamo a un uso liturgico del canto.

Inoltre singoli vescovi di alcune diocesi italiane sono intervenuti con alcuni documenti relativi alla celebrazione del matrimonio in chiesa, specificando anche com­portamenti e ruoli dei vari addetti – fotografo, musicisti, tecnici – e indicando alcune norme circa i canti da pre­ferire o escludere per il rito. Le motivazioni addotte per l’esclusione di alcuni canti e musiche, sono di carattere storico, di opportunità e di non pertinenza al rito; in conclusione: sono canti religiosi, ma non liturgici e le musiche sono state composte per finalità profane.

Analizziamo i brani: Franz Schubert compose l’Opus 52, un gruppo di sette canzoni (Lieder) tratte dal poema epico (La donna del lago) dello scrittore scozzese Walter Scott, tradotto in tedesco da A. Storck che lo adattò. Nessuna storia di amanti o altre situazioni scabrose che a volte vengono addotte come motivo del rifiuto verso questo brano; è invece l’invocazione di una ragazza per la salvezza di suo padre[3]. Nel corso degli anni a questo è stato sostituito il testo dell’Ave Maria in latino; anche altri autori e cantanti hanno adattato altre parole alla musica, rimasta sempre identica.

L’altra Ave Maria è stata composta da Gounod nel 1859, che scrisse per violino una melodia, utilizzando come accompagnamento pianistico il I Preludio dal Clavicembalo ben temperato di J.S. Bach. Successivamente fece una elaborazione per canto e orchestra, con il testo in latino dell’Ave Maria.

Come comportarsi? Il discorso canti e musiche va inquadrato, a mio parere, nel discorso più ampio del sacramento e del rito che viene preparato e celebrato. Non possiamo dimenticare le attese e le aspettative di sposi, genitori, parenti e amici. Sembra che la chiesa venga ap­paltata agli sposi che, con l’aiuto di fotografi, musicisti, sacristi e anche qualche improvvisato scenografo, riten­gono di poter organizzare a proprio piacimento il rito e la location. Così non è. Giustamente c’è la preoccupazione da parte dei sacerdoti di celebrare un rito cristiano, pur nella solennità e nella gioia del momento. Vanno evitate le due soluzioni estreme: niente strumenti, cantanti soli­sti e violini vari, ma soltanto l’organo; e l’altra soluzione in cui tutto e permesso e la chiesa viene trasformata in un set televisivo di dubbio gusto. Per risolvere le questioni, come sempre bisogna partire dal rito, dalla celebrazione, dalla liturgia e formare con catechesi opportune, durante la preparazione, gli sposi e i parenti vari. La celebrazione del matrimonio non può diventare una festa folcloristica o essere trasformata in uno spettacolo profano, assecondando idee strampalate o gusti personali alquanto kitsch.

L’altro problema arduo: la presenza dei musicisti – organista, violinista, cantante, coro, quartetto d’archi, arpa –, come prepararli, come gestirli. Dire subito «no, in questa chiesa si suona solo l’organo», diventa una soluzione semplicistica e immotivata sotto l’aspetto liturgico, pastorale, musicale, canonico. Durante le messe domenicali o durante alcune ordinazioni, anche noi utilizziamo vari strumenti, mettiamo in campo varie ministerialità e professionalità; il tutto senza alcuno scandalo, anzi con la certezza di preparare una vera celebrazione solenne e partecipata, dove ciascuno svolge il proprio compito a servizio di tutta l’assemblea. Perché non si potrebbe gesti­re alla stessa maniera anche una messa di matrimonio? Le diocesi dovrebbero organizzare corsi di preparazione per i musicisti dei matrimoni e spiegare quali sono i can­ti indispensabili e richiesti dal rito (acclamazioni, salmo responsoriale, alleluia, canti rituali e processionali). La presenza dei musicisti, specialmente di un coro, potreb­be aiutare e coinvolgere l’assemblea a una partecipazione più piena e visibile.

L’ultima questione: si possono suonare e cantare le Ave Maria e gli altri brani ormai entrati nel repertorio classico e diventate segno sonoro e simbolo del matrimo­nio cristiano? Dopo tutte le premesse e le considerazioni di carattere storico e musicologico, la risposta non può che essere positiva. In questi ultimi anni c’è stato un pas­sa parola da una diocesi all’altra, da un vescovo all’altro che prendevano posizioni negative non supportate da argomentazioni valide di carattere liturgico e pastorale. Si sostiene e si scrive che sono brani proibiti; ma da chi e in quale documento ufficiale della chiesa universale o italiana? Come abbiamo visto all’inizio, c’è solo una risposta a un quesito posto alla Congregazione per il culto.

L’unico motivo da addurre è la non pertinenza ri­tuale di tali canti se eseguiti in momenti non adatti. Cantare l’Ave Maria all’offertorio o alla comunione, non risponde a una scelta pertinente. Ma eseguirla durante le firme, come omaggio alla Madonna, per quale motivo non dovrebbe essere consentito? I motivi a volte sono di carattere esecutivo, specialmente se è l’amico, il parente della sposa che vuol fare un dono. Infatti a volte capita di ascoltare veramente delle brutte esecuzioni di can­tanti improvvisati e di voci da discoteca: queste vanno ostacolate e impedite, ma perché la voce è sgraziata e la musica è calpestata nella sua scrittura. E la colpa non è né di Schubert, né dell’Ave Maria. Quanti canti abituali nelle nostre comunità dovremmo eliminare perché non pertinenti ai vari riti, eseguiti in maniera maldestra e non rispettosi dell’assemblea celebrante?

Una sola conclusione: eliminiamo questo equivoco privo di motivazioni, rimuoviamo questo dubbio incon­sistente, smettiamola con questo diniego e impegniamo-ci per rendere questo sacramento più partecipato e più vero.


[1] Ho scritto questo capitolo, sollecitato dall’ennesima polemica, fre­sca di stagione (agosto 2012): una diatriba fra Al Bano e il parroco di Ci­sternino (Brindisi) per il divieto di cantare l’Ave Maria di Bach-Gounod durante il matrimonio di Michele Placido. Ne hanno parlato i giornali e le televisione nazionali e locali.

[2] Cf. «Notitiae» fasc. 62 (1971) e 69 (1972).

[3] Il testo tradotto e musicato da Schubert è composto di tre strofe: 1) «Ave Maria! Vergine dolce, esaudisci la preghiera di una vergine, da questa rupe aspra e selvaggia giunga fino a te la mia invocazione. Fino al mattino dormiremo sicuri, per quanto crudeli possano essere gli uomini. O Vergine, considera gli affanni di una vergine. O Madre, ascolta una figlia che ti invoca! Ave Maria!». 2) «Ave Maria! Immacolata! Quando ci chiniamo su questa rupe per dormire, e la Tua protezione ci avvolge, la dura roccia diventa per noi morbida. Tu sorridi e un profumo di rosa sovrasta l’umido tanfo di questo crepaccio. O Madre, ascolta una figlia che ti supplica. O Vergine, una vergine ti chiama! Ave Maria!». 3) «Ave Maria! Vergine pura! I demoni della terra e dell’aria, respinti dalla grazia del Tuo sguardo, non possono restare fra noi. Accettiamo in silenzio il nostro destino, perché assistiti dal Tuo santo conforto. Benevola chinati su questa vergine, verso la figlia che per il padre prega. Ave Maria!».

Mons. Antonio Parisi

Direttore Ufficio Musica Sacra

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