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Libia, quanto ci costi

La crisi del regime di Gheddafi potrebbe incidere per 720 euro all'anno a famiglia a causa dell'aumento del greggio. Gli affari di Tripoli. E il discusso accordo con l'Italia.

1berlusca-e-gheddafi_1238593.jpgLa crisi libica potrebbe comportare per ogni famiglia italiana spese ulteriori pari a 720 euro all'anno. Mentre, giustamente, l'attenzione della maggioranza è concentrata sui risvolti umanitari e politici del progressivo disgregamento del regime di Gheddafi, c'è chi, legittimamente, s'è preso la briga di far di conto. «Secondo gli ultimi dati Istat, la spesa per l'acquisto di beni energetici è di circa 300 euro mensili per famiglia», scrive Il Sole 24 ore, il principale quotidiano economico italiano. «Se è vero che il prezzo del greggio è passato da meno di 100 a 120 dollari al barile, con un aumento del 20 per cento (incremento destinato a crescere, secondo gli analisti), allora la matematica dice che ogni mese saranno necessari circa 60 euro in più per fare fronte alla spesa energetica. Moltiplicando per 12 si arriva a 720 euro».

Lo stesso aumento del petrolio richiederebbe a ciascuna impresa un impegno aggiuntivo e non previsto valutabile attorno al milione di euro, forse un po' meno, ma poco. È ancora Il Sole 24 ore a tentare delle previsioni affidandosi al parere degli esperti: «Valuta Davide Tabarelli, direttore di Nomisma Energia, che una tipica azienda industriale italiana (20 milioni di chilowattora di elettricità e 10 milioni di metri cubi di gas consumati ogni anno) se il barile si stabilizzasse sui 120 dollari subirebbe un aggravio annuo da quasi 900 mila euro (un po' meno di 500 mila per l'elettricità, il resto per il metano) che diventerebbero quasi 2,7 milioni (poco meno di 1,3 per l'elettricità e 1,4 per il gas) se il barile puntasse stabilmente a 150 dollari. Gli "energivori" (cioé le imprese che hanno bisogno di molta energia, ndr.), sarebbero naturalmente i più penalizzati e dunque più esposti ai brividi di una nuova crisi di matrice energetica: siderurgia, vetro, cemento ma anche ceramica, chimica, carta, alluminio, laterizi».

 

TUTTI GLI AFFARI, DALL'UNICREDIT ALLA JUVE

Da Torino a Milano (e a Roma), ovvero dalla storica presenza in Fiat al salotto buono della finanza italiana, passando per il calcio, declinato in bianconero, versione Juventus. Sono vecchi e molteplici gli interessi libici in Italia, controbilanciati da una rilevante presenza delle più grandi aziende "Made in Italy" nel Paese nordafricano. Dall'Eni a Finmeccanica, fino ai grandi costruttori, tra tutti Impregilo e Italcementi, impegnati nell'opera di infrastrutturazione della ex colonia italiana, a partire dai 1.700 km della nuova "superstrada" Rass Ajdir-Imsaad, la cui realizzazione sarà affidata a imprese italiane. Ecco, in sintesi, i principali settori nei quali era ed è attivo l'asse degli affari tra le due nazioni secondo i dati forniti dai principali siti economici e dalle più accreditate agenzie di stampa. 

BANCHE - È questo il settore più recente, ma che ha fatto molto discutere, sul quale la Libia ha messo gli occhi (e anche molti soldi). La Libyan Investments Autorithy (Lia), il braccio finanziario del leader Muammar Gheddafi nato con lo scopo di gestire i proventi del petrolio, ha portato la propria partecipazione in Unicredit al 2,59%, facendo cosi' lievitare l'intera compagine libica oltre il 7,5%, visto che la Banca Centrale Libica e la Libyan Arab Foreign Bank sono insieme titolari del 4,98%: con quest'operazione i libici sono diventati il primo socio della banca, superando anche gli Aabar di Abu Dhabi. 

CALCIO - In questo caso la presenza libica in Italia è invece di vecchia data. La Libyan Arab Foreign Investment Company (Lafico) detiene il 7,5% della Juventus. Per quanto riguarda la Fiat, invece, si sa che nell'agosto 2006 Tripoli scese sotto il 2 per cento. L'anno scorso circolò addirittura l'indiscrezione che Gheddafi fosse interessato al Milan, ma a stretto giro arrivo' la smentita della Fininvest. 

TELECOMUNICAZIONI - Interessi libici sono presenti anche in Retelit, la societa' costituita nel 2007 e che ha successivamente vinto l'asta per il Wi Max nelle regioni del Nord Italia. La quota in mano alla Lafico è del 14,8 per cento. TV - La Laftitrade, finanziaria del Colonnello, e la Fininvest sono presenti con quote rispettivamente del 10 per cento e del 22 per cento nel capitale della società di produzione e distribuzione cinematografica Quinta Communications, fondata da Tarak Ben Ammar. 

COSTRUZIONI - La "voce" più importante è quella relativa all'autostrada sulla costa mediterranea della Libia: il Trattato di amicizia tra i due Paesi prevede che Roma versi a Tripoli cinque miliardi di dollari per la realizzazione dell'opera alla quale, ha detto il premier Silvio Berlusconi, parteciperanno imprese italiane: la fase di prequalifica è conclusa e sono interessate 21 aziende del nostro Paese. Sempre nel settore, c'è da registrare che la Lybian Development Investment Co si e' associata con Impregilo nella Impregilo Lidco. E perfino il lussuoso hotel Al-Ghazala, che sorgera' nel centro di Tripoli, sarà "made in Italy": i suoi lavori sono infatti stati assegnati al gruppo Trevi. 

FINMECCANICA - La Lybia Africa Investment Portfolio ha avviato una nuova joint venture con la holding italiana (dopo la Liatec, Libyan Italian Advanced Tecnology Company, costituita nel 2006 per realizzare elicotteri). Il consorzio formato da Ansaldo Sts e Selex Communications ha firmato con Zarubezhstroytechnology, societa' controllata dalle Ferrovie Russe Jsc Rzd, un contratto da 247 milioni di euro per realizzare sistemi di segnalamento, alimentazione e comunicazione sulla tratta da Sirte a Bengasi. 

ENERGIA: Di antica data sono i rapporti con l'Eni, che ha di recente annunciato l'intenzione di investire in Libia 25 miliardi di dollari. Allo stesso tempo, Tripoli detiene una quota di circa l'1 per cento dell'Eni e non ha fatto mistero di voler salire ancora.
Eni è il primo produttore di gas e petrolio in Libia, con una produzione di idrocarburi nel 2009 pari a 244 mila barili di olio equivalente al giorno. L'attività produttiva ed esplorativa di Eni in Libia è condotta nell'offshore del Mediterraneo, di fronte a Tripoli, e nel deserto. La presenza del gruppo italiano nel Paese risale al 1959.

IL (DISCUSSO) TRATTATO DI AMICIZIA TRA ITALIA E LIBIA

L'Italia non ha alcun vincolo che le impedirebbe di intraprendere "azioni" nei confronti della Libia derivante dal Trattato di amicizia tra Roma e Tripoli perché «la sospensione di fatto del Trattato è già una realtà». Lo ha detto il ministro degli Esteri Franco Frattini domenica 27 febbraio. Il giorno prima, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, aveva a sua volta dichiarato visitando i paracadutisti della Folgore, in partenza per l'Afghanistan: «Di fatto, il Trattato tra Italia e Libia non c'è già più, è inoperante, è sospeso».

Il Trattato di amicizia e di cooperazione venne firmato il 30 agosto 2008, a Bengasi, dal leader libico Muammar Gheddafi e dal presidente del Consiglio dei ministri italiano Silvio Berlusconi. Il Trattato è stato ratificato dall'Italia il 6 febbraio 2009 e dalla Libia il 2 marzo di due anni fa. L'intesa ha rappresentato il definitivo accoglimento da parte italiana delle rivendicazioni libiche sui risarcimenti del colonialismo. 

Il testo è suddiviso in tre parti, oltre al preambolo, per un totale di 23 articoli: principi generali (art.1-7); chiusura del capitolo del passato e dei contenziosi (8-13); nuovo partenariato bilaterale (14-23). Oggi, alla luce delle stragi di civili in atto, molti contestano l'applicabilità dell'articolo 4 relativo alla "non ingerenza negli affari interni" che prevede la non disponibilità dei rispettivi territori nazionali ad iniziative ostili ai due Paesi e dell'articolo 20 sulla collaborazione nel settore della difesa, prevedendo la finalizzazione di specifici accordi relativi allo scambio di missioni tecniche e di informazioni militari, nonché lo svolgimento di manovre congiunte

In sede Nato, come reso noto il 25 febbraio dal Wall Street Journal, fa discutere in particolare l'articolo 4 che recita testualmente:  «Le parti si astengono da qualunque forma di ingerenza diretta o indiretta negli affari interni o esterni che rientrino nella giurisdizione dell'altra parte, attenendosi allo spirito di buon vicinato.  Nel rispetto dei principi della legalità internazionale, l'Italia non userà, ne permetterà l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro la Libia e la Libia non userà, né permetterà, l'uso dei propri territori in qualsiasi atto ostile contro l'Italia». Tuttavia sembra che la norma incriminata sia subordinata comunque ad un'altra, ritenuta prevalente, e contenuta nello stesso Trattato che vieta alla Libia di agire fuori dalla legalità. Chi spara sulla sua gente e si macchia di crimini contro l'umanità agisce ovviamente fuori da un contesto giuridico riconosciuto e condiviso.

La seconda parte del testo relativa alla chiusura del passato, è la più onerosa per l'Italia. Roma si impegna a realizzare un'autostrada di duemila chilometri lungo la costa libica, con una spesa totale 3,5 miliardi di euro, circa 5 miliardi di dollari, con fondi da reperire attraverso l'addizionale Ires a carico delle compagnie petrolifere. L'esecuzione dei lavori verrà affidata ad imprese italiane, con fondi direttamente gestiti da Roma. La terza parte infine prevede iniziative speciali meno onerose ma comunque a carico dell'Italia: borse di studio e un programma di riabilitazione per lo scoppio di mine.

 

Scheda a cura di Alberto Chiara
© Famiglia Cristiana, 1 marzo 2011
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