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L'udienza. Il Papa al patriarcato ecumenico: comunione non è uniformità

Per cattolici e ortodossi celebrare insieme la festività dei santi Pietro e Paolo significa fare «memoria di unità nella diversità». Così Francesco alla delegazione del patriarcato di Costantinopoli

Pietro e Paolo stretti in un abbraccio. L’iconografia li rappresenta così. È la «profezia dell’unica comunione ecclesiale nella quale le legittime differenze debbono convivere». Una «piena comunione» che non è «uniformità omologata». Cosa significa perciò per i cattolici e gli ortodossi celebrare insieme la festività dei due apostoli? Significa fare «memoria di unità nella diversità». È quanto ha ricordato papa Francesco ricevendo in udienza la delegazione del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, giunta a Roma per la solennità degli Apostoli Pietro e Paolo. «I due discepoli di Gesù – ha sottolineato il Papa – hanno servito il Signore con stili differenti e in modo diverso» e «pur nella loro diversità, entrambi hanno dato testimonianza dell’amore misericordioso di Dio Padre, del quale ciascuno, a suo modo, ha fatto profonda esperienza, fino ad offrire in sacrificio la propria vita». Per questo, sin da antichissimi tempi, la Chiesa in Oriente e in Occidente riunisce in una sola celebrazione la memoria del martirio di Pietro e di Paolo. «Lo scambio di delegazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, in occasione delle rispettive feste patronali – ha affermato il Papa – accresce in noi il desiderio di ristabilire pienamente la comunione tra cattolici e ortodossi, che già pregustiamo nell'incontro fraterno, nella preghiera condivisa e nel comune servizio al Vangelo».

Anche la memoria della visita che Paolo VI fece al Fanar nel luglio del 1967 e a ottobre dello stesso anno ha dato modo al Papa di esprimere ancora una volta la sua gratitudine per le occasioni d’incontro che sono scaturite da quel cammino. E ha ricordato l’«amato fratello Bartolomeo» nel loro recente incontro al Cairo «dove –ha detto Francesco –ho potuto constatare ancora una volta la profonda consonanza di visione su alcune sfide che toccano la vita della Chiesa e il mondo contemporaneo».

Anche Bartolomeo da parte sua non ha mancato di far giungere i suoi fraterni auguri al Papa in questa festività. Attraverso la Delegazione Patriarcale, guidata dall’arcivescovo Job di Telmessos, co-presidente della Commissione internazionale per il dialogo teologico tra le due Chiese sorelle –ha fatto pervenire al Papa una lettera personale nella quale ha espresso gli auguri al «carissimo fratello Francesco»e ha ricordato come la comune testimonianza e il ministero in nome di Cristo degli apostoli Pietro e Paolo sia nel segno del martirio. Lo stesso Bartolomeo ha richiamato a quanto sperimentato «con Sua Santitàin Egitto due mesi fa, in una terra che ècontinuamente innaffiata dal sangue dei martiri».

«Questo – ha scritto il patriarca ecumenico di Costantinopoli–èstato un momento significativo per noi e per il mondo», perché«con la comunione siamo testimoni nel mondo contemporaneo di ciòche l’umanitàci chiede oggi: l’onestàe l’apertura a coltivare l’amore, la solidarietàe la compassione».
 
«Quindi – ha scritto con la medesima parola del Papa – siamo convinti che la nostra comune testimonianza davanti alle numerose sfide del nostro mondo contemporaneo costituisca una testimonianza positiva per la Chiesa di Cristo e per avvicinarci all’unità, secondo il comandamento del nostro Signore e Salvatore». All’arcivescovo Job di Telmessos – che dopo l’udienza si è intrattenuto con il Papa a Santa Marta per il pranzo – Francesco ha voluto nuovamente esprimere la sua gratitudine per come «insieme stiamo camminando con lo stesso passo, in un comune cammino dove l’uno ispira l’altro».
 
Stefania Falasca
 
© Avvenire, martedì 27 giugno 2017