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L'ultimo sfregio a padre Puglisi

«La voglia di andarsene è tanta». Lo sfogo del presidente del Centro Padre nostro Maurizio Artale dopo l'ennesimo furto nella struttura voluta dal sacerdote martire della mafia.

foto_cps-1_2852210.jpgL’ennesimo sfregio alla memoria di padre Pino Puglisi fa ancora più male, perché è avvenuto poche settimane dopo il decreto che promulga la sua beatificazione. «Quando sono arrivato al Centro Padre Nostro alle sette di mattina, ho visto che mancavano le persiane esterne e gli infissi interni dell’ingresso del centro sportivo che abbiamo inaugurato due anni fa, dopo “solo” 18 anni di attesa: era uno dei sogni di padre Puglisi». È amareggiato come non mai Maurizio Artale, il presidente del Centro Padre Nostro, la struttura voluta dal sacerdote ucciso nel 1993 per offrire un’alternativa alla mafia ai bambini del quartiere Brancaccio di Palermo. «Da tempo la mafia non ammazza più i suoi avversari, come accadeva ai tempi di don Puglisi. Usa un’altra tecnica: la somministrazione di piccole dosi di veleno nel tempo sino a far morire la vittima, lentamente. Vogliono farci stancare, spingerci a gettare la spugna, sfrattarci da Brancaccio. Tante volte ci abbiamo pensato, oggi più che mai».

Perché dite che non si tratta del gesto di qualche ladruncolo isolato?
«A Brancaccio non si muove una foglia senza che le famiglie non vogliano. Del resto in questi anni abbiamo fatto 80 denunce per piccoli furti o atti vandalici come questo: una volta hanno dato fuoco al giardino, un’altra hanno murato la porta d’ingresso, un’altra ancora hanno rotto i vetri del pulmino. E a maggio di quest’anno altri “ignoti” hanno rubato una stampante, un decespugliatore, un tagliaerba, una cassetta degli attrezzi, materiale di cancelleria, una webcam, e anche lo scudetto del Palermo donato ai bambini dal Palermo Calcio. Risultato? Non è mai stato fermato nessuno».

5776818109_96fed953b2_2852219.jpgPerché secondo lei?
Perché, e mi fa molto male dirlo, a chi dovrebbe far rispettare la legge qui a Brancaccio, del Centro Padre Nostro non importa nulla. Ci basterebbe che ne arrestassero almeno uno di questi fantomatici ladruncoli o ragazzetti sbandati, solo per poter dare un segnale preciso: come siamo stati capaci di arrestare i fratelli Graviano, così siamo in grado di proteggere il centro di padre Puglisi. E invece così passa il messaggio opposto, l’assenza dello Stato sostituito dalle famiglie mafiose, quelle stesse che quando annunciammo di voler costruire un campo di calcetto ci dissero che l’avrebbero costruito loro. Bisogna invece far capire ai ragazzi di Brancaccio che questa è la strada sbagliata. Se davvero fosse stato uno di loro a rubare i nostri infissi, sa quanto ricaverebbe rivendendoli? Non più di dieci euro. In ogni caso, ripeto, vogliamo risultati concreti, non ci servono inutili attestati di solidarietà».

Possibile che in tutti questi anni non si sia fatto nulla?
«Nel 2007, dopo che ricevetti minacce di morte, furono aumentate per un po’ le misure di sicurezza e poi tutto è tornato come prima».

 

Qual è la reazione degli abitanti di Brancaccio?
«Silenzio assoluto. Consideri che in media qui le case sono grandi trenta metri quadrati e con il caldo molti dormono sui balconi. In più in via Brancaccio c’è un flusso continuo di auto, anche di notte. Possibile che mai nessuno si sia accorto di niente, nemmeno quando ci hanno murato la porta? Quest’indifferenza ci fa ancora più rabbia se pensiamo che il 28 giugno scorso Benedetto XVI ha dato il suo nulla osta alla beatificazione di padre Puglisi. Il quartiere ha ricevuto questo grande dono da Dio, ma dimostra ogni giorno di non meritarlo»

Quanti volontari operano al Centro Padre Nostro?
«Siamo circa 70, distribuiti su tre sedi. Oltre a quella di Brancaccio ne abbiamo due in altri quartieri difficili di Palermo, allo Zen e al Falsomiele, dove abbiamo aperto centri di aggregazione per anziani e per minori, sportelli di assistenza legale e di sostegno psicologico. Nei nostri servizi inoltre, circa 15 detenuti stanno scontando la loro pena in alternativa al carcere. Ripeto, dopo tutto quello che è successo, la voglia di mollare tutto è forte, ma per ora andremo avanti perché crediamo ancora nelle parole di Paolo Borsellino quando diceva che, prima o poi, Palermo tornerà a essere una città bellissima».

Eugenio Arcidiacono
 
© Famiglia Cristiana, 23 agosto 2012