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L'umorismo sagace di Nasreddin il turco

I racconti del buonumore 15

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Sciocco sa di insipido che è molto vicino al termine stupido. Nasreddin Hoca è l’eroe del mondo musulmano e specialmente turco e iraniano che ha educato generazioni e generazioni di uomini e credenti a una saggezza di vita per tutti, ma proprio per tutti. Nasreddin che secondo la tradizione è vissuto nel XIII secolo, in Anatolia, in quello stesso periodo in cui vivevano Mawlâna Rûmî (m. 1273) e il grande filosofo mistico che è Ibn ’Arabî (m. 1240) è una figura maggiore della spiritualità minore.

Nasreddin ha frequentato Konya la città dei dervisci e, secondo una certa tradizione dovrebbe avere incontrato anche il mistico Rûmî. Chissà. La tradizione vuole che Rûmî abbia incontrato anche Ibn ’Arabî, che sia stato sul monte athos... insomma crediamo noi che al di là dei fatti storici i grandi spiriti si incontrino in una certa raffinatezza spirituale, nella vertigine mistica, nell’evidenza della semplicità. Per Nasreddin ci si muove in un altro contesto spirituale, quello dell’umorismo che dà sale alla vita, sale che può anche bruciare se non dosato perfettamente.

La saggezza di vita di Nasreddin è davvero interessante perché è quasi "letterale", dove per letterale si intende una comprensione del mondo, della vita e dell’esistenza, anche di fede, legata a una naturalità sorprendentemente moderna. Si tratta di un’ermeneutica che per la sua semplicità diventa accecante e, proprio perché sproporzionata, incoraggia la risata, il sorriso, l’umorismo. E sì l’Islam e l’umorismo sembrano apparentemente due termini se non contraddittori almeno contrapposti. Ed invece non è per nulla così e non lo è mai stato, dal buon hanbalita al-Jawzî in qua.

Diversi possono essere i generi letterari con cui l’umorismo in ambiente islamico si è manifestato. Nasreddin è certamente uno dei più tipici. L’umorismo suo è quello che gli fa rispondere alla domanda perché i minareti sono stati costruiti così alti, che lo sono perché gli arabi hanno rovesciato i pozzi, ma anche quello che fa esclamare Nasreddin, riguardo a un credente che non aveva rispettato il sacro digiuno del Ramadan che solo Dio può giudicarlo e non un uomo qualsiasi. Davvero è sorprendente, ma quando si leggono le astuzie e le facezie di "zio" (aggiungiamo noi) Nasreddin si ha l’impressione di aver già ascoltato da qualche parte questa morale, questi stessi racconti. Per un siciliano c’è dietro tutta la forza della tradizione di Giufà, per un italiano continentale forse quella di Bertoldo.

Forse questo aroma lo si è anche gustato nella tradizione evangelica. Perché non ricordare quella facezia in cui si racconta di Nasreddin Hoca che si fa invitare a un convito nuziale, ma per il suo vestito è cacciato fuori in malo modo. Allora Nasreddin si ripresenta con un ermellino e allora tutti gli fanno largo. Al che, Nasreddin inzuppa l’ermellino nel piatto succulente e a coloro che gli domandano sorpresi il senso del suo gesto, egli risponde che è grazie al suo ermellino che Nasreddin Hoca è stato invitato. L’onore è per questo animale che ha tutto il diritto di togliersi lo sfizio di mangiare.

La parabola delle nozze non sembra poi così tanto distante. Gli invitati alle nozze alla fin fine chi sono? Nell’umorismo popolare e sagace di Nasreddin è racchiusa una spiritualità fatta anche di riso, ma che non è la risata sguaiata di chi s’impingua, ma di colui che ha percepito nella semplicità della vita un modo altro di sopravvivere. Lo humor dell’eroe turco è in qualche modo il simbolo dell’uomo comune che è chiamato a oltrepassare la tentazione di restare inosservato nella massa, comandato da poteri di tutti i tipi, fosse anche quello spirituale. Il riso è la chiave di volta dell’umanità. Forse che Aristotele non riconosceva nel riso il carattere eminente dell’umanità: homo ridens? Ma anche Bergson, nel suo trattato, ritorna sulla questione, situando il riso in un contesto spirituale e sociale che dà tutta l’ampiezza di questa attività che mette a dura prova il filosofo. Si domanda Avenassian (da vedere se il tipo sia abbastanza conosciuto per poterlo citare), nel suo saggio sul riso come impossibilità del filosofo, se dopo aver filosofato, il filosofo sa anche goder del riso oppure questo è davvero un ostacolo maggiore nella sua seriosa riflessione.

Per Nasreddin, il riso è il passe-partout della vita quotidiana, l’ermeneutica dell’eroe comune che sa utilizzare tutta la sua semplicità per superare le apparenti contraddizioni esistenziali. Non si sa perché, ma in questo umorismo un po’, sciocco e al contempo apparentemente insipido, c’è tutto il senso della salvezza terrestre, riflesso di quella religiosa. Non dimentichiamoci che Nasreddin è uno hoca, cioè un maestro della religione, un kadî, un giudice delle cause a prevalenza religiose e morali. E d’altro canto Nasreddin significa la salvezza della religione.

L’umorismo è saggezza tanto profonda quanto sciocca quando la vita lo richieda e per questo la psicologia incoraggia a un senso leggero della vita. Ma anche i latini, i medievali parlavano della levitas, per dire che anche le cose gravi vanno prese per il verso giusto per non farle più pesanti di quel che sono. In questo momento di crisi congiunturale, un po’ di Nasreddin farebbe bene a tutti e noi lo consigliamo come rimedio al tedio generale, all’insopimento dei sentimenti e dell’intelligenza sana e come antidoto alla gravità seriosa del momento presente. Nasreddin Hoca avrebbe annuito sentendo pregare Thomas More con le sue parole: Signore dammi una buona digestione e qualcosa da mangiare... con la buona digestione.


 
Alberto F. Ambrosio
 
© Avvenire, 18 agosto 2012