Arcivescovo

S.E. Giuseppe

Satriano

IN AGENDA

Mafia & massoneria, ombra infinita. Oggi il ricordo delle vittime

A Foggia la manifestazione principale della Giornata della memoria e dell'impegno contro la criminalità organizzata voluta da Libera. La situazione. E la denuncia. Parlano Gian Carlo Caselli e Rosy Bindi

Una criminalità feroce, capace di compiere 18 omicidi nel solo 2017 su una popolazione di 620 mila abitanti. E che è tornata a uccidere in questi giorni. Quella del Foggiano non è una mafia di serie B. «È per questo che Libera ha deciso di farne la piazza principale della Giornata della memoria e dell’impegno con cui l’associazione ogni anno, il 21 marzo, ricorda le vittime innocenti delle mafie»,  spiega Gian Carlo Caselli, che di Libera è presidente onorario. Ci sarà una piazza in ogni regione d’Italia e un focus particolare sul capoluogo pugliese dove «i segnali sono inquietanti». «In Puglia», continua l’ex procuratore, che è anche coordinatore dell’Osservatorio della Coldiretti sulle agromafie, «c’è un’agricoltura d’eccellenza. Nello stesso tempo i coltivatori pugliesi lamentano violenze, vessazioni, atti di intimidazione quotidiani. Senza contare il caporalato che, anche se in misura inferiore rispetto al passato, comunque c’è. La mafia è soprattutto attività economica e, per operare meglio, cerca di non dare nell’occhio. La violenza non è più esibita, eclatante come una volta, salvo per la camorra a Napoli e la mafia nel Foggiano. Per questo accendiamo i riflettori qui. C’è una ferocia “vecchia maniera”, mentre altrove la mafia 3.0, quella dei colletti bianchi, fa affari ricorrendo alla violenza solo quand’è necessario».
La relazione finale della Commissione antimafia, che per prima s’è recata a Foggia, a proposito della criminalità nel capoluogo pugliese, parla di  «modernità e lungimiranza negli obiettivi (dimostrata da una spiccata vocazione agli affari, dalla capacità d’infiltrazione nel tessuto economico-sociale nei centri nevralgici del sistema economico della provincia, e cioè agricoltura, edilizia e turismo)», e al contempo, di «valori e metodi arcaici e capillare controllo del territorio, ottenuto e consolidato attraverso una lunga scia di omicidi la gran parte costituiti dalla sparizione delle vittime».

«Ci preoccupa questa ferocia, come pure la “mafia dei colletti bianchi”, che s’infiltra nelle istituzioni e nei posti che contano», spiega Rosy Bindi, presidente della Commissione. Bindi, però, esclude pressioni delle mafie sulle ultime elezioni. «Non credo che si siano mosse per condizionarne l’esito. Mi ha sorpreso invece il tentativo degli iscritti alla massoneria di candidarsi con i 5 Stelle, ma il voto mi pare così massiccio che è difficile pensare ci siano influenze mafiose. Non c’è potere forte che arrivi in modo così capillare all’elettorato. La paura, le diseguaglianze, un Mezzogiorno senza punti di riferimento spiegano questo risultato». Rosy Bindi, piuttosto, denuncia la fragilità della politica. «Sembra paradossale, ma la verità è che la politica non è più l’interlocutore privilegiato delle mafie. È l’economia che interessa alla criminalità. Economia che la politica non riesce a regolare. Per questo è più funzionale infiltrare, per esempio, la massoneria e fare affari nell’ombra, con l’aiuto di professionisti, notai, commercialisti. Non a caso dalla nostra inchiesta appare evidente che la segretezza della massoneria è la condizione che facilita l’incontro tra le mafie e le classi dirigenti del Paese».   

«Questa segretezza è incompatibile con la democrazia» aggiunge la Bindi. Che chiede una modifica della legge Spadolini-Anselmi «per renderla coerente con l’articolo 18 della Costituzione che recita: “Sono vietate le associazioni segrete”.  Dovrebbero essere le logge ad avere interesse alla trasparenza e a non farsi infiltrare». Le inchieste in Sicilia e Calabria evidenziano una doppia appartenenza. Che non lascia indenne neppure la Chiesa. In questo caso una “tripla” appartenenza – Chiesa, mafia e massoneria – che la magistratura sembra aver riscontrato, per esempio, nel caso di don Pino Strangio, ex rettore del santuario di Polsi, nipote di quel Giuseppe Strangio capostipite della famiglia ’ndranghetista di San Luca coinvolta nella strage di Duisburg, rinviato a giudizio dalla Procura di Reggio Calabria per concorso esterno in associazione mafiosa e violazione della  Spadolini-Anselmi.

«C’è ancora qualche ombra, penso al parroco di Platì che definì un’ingerenza il divieto di funerali pubblici al capocosca Barbaro da parte del questore di Reggio Calabria. Ma ci sono anche parole chiare come quelle del vescovo di Locri al nuovo rettore del santuario di Polsi: “Il Vangelo rifiuta il compromesso con il potere del denaro, delle armi, della violenza e dell’arroganza mafiosa. L’incompatibilità tra mafia e cristianesimo è ormai dichiarata con forza da tanti pastori del Mezzogiorno». «Passi in avanti ne sono stati fatti, ma bisogna continuare lungo la strada aperta con la scomunica ai mafiosi da papa Francesco che, per la prima volta nella storia, ha ricevuto in udienza la Commissione», sottolinea la Bindi. Passi in avanti che prevedono anche aiuti concreti. È di queste settimane la firma di un protocollo tra Cei, Libera e Governo che prevede l’utilizzo di una parte dell’8 per mille per il sostegno alle famiglie che decidono di allontanare i loro figli da ambienti malati di mafia e malaffare. «È un modo per lavorare in modo sinergico per il bene comune: c’è la Chiesa, c’è lo Stato, c’è la società civile», conclude il segretario della Cei monsignor Nunzio Galantino. Una triplice buona appartenenza per «dare speranza di vita nuova a chi avverte lo schifo di un’esistenza fatta di sopraffazione, arroganza e violenza».

Annachiara Valle

© Avvenire, mercoledì 21 marzo 2018