Arcivescovo

S.E. Giuseppe

Satriano

IN AGENDA

Martini: così vedo inferno e paradiso

Il Dio che ha fatto suoi il tempo e la morte, ha dato a noi la sua vita, nel tempo e per l'eternità.

martini4_cardinale_adn--400x300.jpgLa Pasqua del Signore rivela la solidarietà del Dio vivente alla nostra condizione di abitatori del tempo, e insieme ci dà la garanzia di essere chiamati a divenire gli abitatori dell'eternità. Nella risurrezione di Cristo ci è promessa la  vita, così come nella sua morte ci era assicurata la vicinanza fedele di  Dio al dolore e alla morte. La Pasqua è l'evento divino nel quale ci è  rivelata e promessa la destinazione del tempo al suo felice compimento  nella comunione in Dio.

Lo spazio temporale che sta tra l'ascensione e  il ritorno di Cristo nella gloria appare così come un estendersi del mistero  pasquale all'intera vicenda umana: nella sofferenza e nella morte, che  ancora caratterizzano la nostra storia, si fa presente la sofferenza della  croce, perché la vita del Risorto sia pregustata da chi con Cristo percorre il suo esodo pasquale. L'intera vita del cristiano è un pellegrinaggio  di morte e risurrezione continua, vissute con Cristo e in Cristo nello  Spirito, portando anzi Cristo in noi, «speranza della gloria».

Vigilare  è accettare il continuo morire e risorgere quale legge della vita cristiana;  le condizioni della vigilanza evangelica non sono dunque la stasi o la  nostalgia, bensì la perenne novità di vita e l'alleanza celebrata sempre  nuovamente col Signore Gesù che è venuto e che viene.
Nella luce dell'evento  pasquale si coglie allora il pieno significato cristiano della morte fisica,  ultima vicenda visibile della nostra esistenza. La morte è evento pasquale,  segnato contemporaneamente dall'abbandono e dalla comunione col Crocifisso  risorto. Come Gesù abbandonato sulla croce, ogni morente sperimenta la  solitudine dell'istante supremo e la lacerazione dolorosa; si muore soli!
Tuttavia, come Gesù, chi muore in Dio si sa accolto dalle braccia del Padre  che, nello Spirito, colma l'abisso della distanza e fa nascere l'eterna  comunione della vita. Perciò, per la grande tradizione cristiana la morte
è dies natalis, giorno della nascita in Dio, dell'uscire dal grembo oscuro della Trinità creatrice e redentrice per contemplare svelatamente il volto di Dio, in unione col Figlio, nel vincolo dello Spirito Santo.

Tutto  ciò che segue alla morte viene letto dalla fede nella luce dell'evento  pasquale di Gesù. Il giudizio è l'incontro con lui che raggiunge la persona  col suo sguardo penetrante e creatore e la porta alla piena conoscenza  della verità su se stessa davanti all'eterna verità di Dio. La sua vigilante  anticipazione avviene nel confronto della coscienza con la Parola, nella  celebrazione del sacramento, in particolare della riconciliazione, nell'incontro  con il fratello bisognoso di aiuto.
L'inferno è la condizione insopportabilmente  dolorosa della separazione da Cristo, dell'esclusione eterna dal dialogo  dell'amore divino; possibilità tragica e però necessaria se si vuol prendere  sul serio la libertà che Dio ha dato all'uomo di accettarlo o di rifiutarlo.

L'inferno, in quanto possibilità radicale, evidenzia la dignità suprema  della vita umana, il valore sommo della vigilanza e la tragicità del male;  proprio per questo e in tutto questo evidenzia l'amore del Dio che, creandoci
senza di noi, non ci salverà senza di noi. Egli, infatti, che ci ha amati  quando ancora eravamo peccatori, rimarrà separato da noi solo se noi ci  ostineremo nell'essere separati da lui.

Il purgatorio è lo spazio della  vigilanza esteso misericordiosamente e misteriosamente al tempo dopo la  morte; è un partecipare alla passione di Cristo per l'ultima purificazione  che consentirà di entrare con lui nella gloria. La fede nel Dio che ha  fatto sua la nostra storia è il vero fondamento del credere a una storia  ancora possibile al di là della morte, per chi non è cresciuto quanto avrebbe  potuto e dovuto nella conoscenza di Gesù. L'anticipazione di tale spazio  è il tempo dedicato alla cura della finezza dello spirito che si nutre  di sobrietà, distacco, onestà intellettuale, frequenti esami di coscienza,  trasparenza del cuore, unificazione della vita sotto la regia della sapienza  evangelica: come pure dell'ascesi e della purificazione necessarie per  fortificarci nella tentazione, scioglierci dall'inerzia delle nostre colpe  e liberarci dall'opacità delle nostre abitudini cattive.

Il paradiso è  l'essere eternamente col Signore, nella beatitudine dell'amore senza fine: «Oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43). La parola del Crocifisso al ladrone pentito è la rivelazione di ciò che il paradiso è: un «essere con Cristo», un vivere eternamente in lui il dialogo dell'amore col Padre nello Spirito Santo. Questa relazione con il Signore, di una ricchezza per noi inimmaginabile, è il principio essenziale, il fondamento stesso di ogni beatitudine dell'esistere. La vigilanza si esercita nell'anticipazione della gioia dell'incontro con il Signore e nella letizia della comunione  fraterna vissuta con tutti coloro che ne condividono il desiderio.


La  figura di tale anticipazione è così profonda e delicata da farci comprendere l'importanza della vita contemplativa, pur se la sostanza dell'anticipazione appartiene a ogni vita di fede, sollecitata a diventare esperienza vissuta nella confidenza con il Signore e nella fiducia della sua tenera cura.
La spiritualità del Cantico dei cantici - lo insegna una tradizione spirituale costante e sempre rinnovata del cristianesimo - è dunque una dimensione vitale della nostra relazione quotidiana con Dio; è il tempo dell'innamoramento, destinato a consumarsi nell'esuberanza dell'amore, da coltivare, custodire, impreziosire nell'intimità di un dialogo che raggiunge le fibre più sensibili del nostro essere.

Infine, nella luce della risurrezione di Gesù possiamo  intuire qualcosa di ciò che sarà la risurrezione della carne. In essa l'essere con Cristo si estenderà ad abbracciare la pienezza della persona e la globalità
dell'esperienza umana anche nella sua dimensione corporea, così come la risurrezione del Crocifisso nella carne ha portato nella vita eterna la carne del nostro tempo mortale, fatta propria dal Figlio di Dio. L'anticipazione vigilante della risurrezione finale è in ogni bellezza, in ogni letizia,  in ogni profondità della gioia che raggiunge anche il corpo e le cose, condotte alla loro destinazione propria, che è quella delle opere dell'amore.


Non dobbiamo dimenticare che il cristianesimo, con alterne vicende, ha condotto una dura battaglia per respingere l'impulso al disprezzo del corpo e della materia in favore di una malintesa esaltazione dell'anima e dello spirito. L'esaltazione dello spirito nel disprezzo del corpo, come l'esaltazione del corpo nel disprezzo dello spirito, sono di fatto il seme maligno di una divisione dell'uomo che la grazia incoraggia a combattere e a sconfiggere.
La vigilanza consiste nell'esercizio quotidiano dei sensi spirituali, ossia degli stessi sentimenti che furono di Gesù, nella coltivazione della sapienza evangelica che unifica l'esperienza e ci consente di apprezzare i legami fini e profondi del corpo con lo spirito. In tal modo possiamo custodire fin d'ora, in attesa che si compia la promessa della risurrezione della carne, il piacere della libertà del corpo da tutto ciò che è falso e ottuso, laido e volgare, avido e violento.

La fede nella risurrezione finale ci aiuta quindi a valorizzare e amare il tempo presente e la terra. La vigilanza cristiana, illuminata dall'orizzonte ultimo, non è fuga dal mondo, bensì capacità di vivere la fedeltà alla terra e al tempo presente nella fedeltà al cielo e al mondo che deve venire. Nella luce della Pasqua, i novissimi - morte, giudizio, inferno, purgatorio, paradiso e risurrezione finale della carne - sono tutte forme dell'essere con Cristo, che è promesso e donato all'abitatore del tempo e si configura a seconda del rapporto che, nella vigilanza o nel rifiuto, si stabilisce tra ogni persona umana e il Signore Gesù.                                                         

 

Carlo Maria Martini
 
© Avvenire, 13 febbraio 2009