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Non è poi così difficile

Desidero qui raccontare brevemente della casa “Le Quercie di Mamre”, sita in via De viti de marco 20, nei pressi della parrocchia di San Marcello in Bari, nata a seguito dell’appello dello scorso settembre di papa Francesco che chiedeva in occasione del Giubileo della misericordia un gesto concreto: “Ogni parrocchia, ogni comunità religiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa, ospiti una famiglia di profughi, cominciando dalla mia diocesi di Roma”.

Ho chiesto alla comunità cosa volesse fare di questo appello, sottolineando che il papa si rivolgeva non a ogni parroco, ma a ogni parrocchia, e che i locali della chiesa erano tutti, ringraziando Dio, molto frequentati e in parte occupati da una casa-famiglia, la Casa di Betlemme, per minori in difficoltà. Una quarantina di famiglie si sono dette disponibili a prendere in fitto una casa nei pressi della parrocchia (per ora l’impegno è di un anno) contribuendo ciascuna secondo le sue possibilità. Ma anche i gruppi del catechismo, l’ACR, gli scout hanno inventato piccole iniziative per contribuire all’impresa.
Avendo deciso di accogliere, non potevamo dare ospitalità in una di quelle case buie e umide dove sono relegati abitualmente gli immigrati nella nostra città. Abbiamo scelto una casa luminosa e spaziosa (4 stanze) di proprietà del papà di una scout, in un palazzo di 10 piani nei pressi della parrocchia: 700 euro di fitto + il condominio.
Per due mesi abbiamo pagato a vuoto perché nonostante avessimo fatto presente questa disponibilità in Prefettura e a tutte le cooperative che gestiscono i CARA e gli SPRAR della provincia, nessuna famiglia di profughi è arrivata.
Il motivo l’ho capito dopo (quello divino, non quello umano!). Dovevamo cambiare la tipologia di ospitalità della casa, che ora è destinata ad accogliere neomaggiorenni stranieri, cioè quei minori non accompagnati che dopo aver compiuto i 18 anni non possono più usufruire dell’accoglienza dello stato, e il primo ad esservi accolto doveva essere Ibrahim.
Ibrahim, un giovane senegalese di 21 anni, lo avevo conosciuto a maggio. Gli avevano rubato i documenti dalla casa abbandonata nei pressi della stazione di Mungivacca dove abitava (senza luce, senz’acqua, senza riscaldamento), e per sostenere gli esami di stato (frequentava l’ultimo anno presso l’istituto Marconi), aveva urgenza di rifarli, ma per questo aveva bisogno di indicare un domicilio. Mi colpì il suo sorriso, la sua gentilezza e il pesante zainetto che portava con sé, nel quale custodiva un raccoglitore con tutti i suoi documenti.
A giugno si è diplomato con 85 e poi ha realizzato il suo sogno: iscriversi all’università, alla facoltà di ingegneria. Di tanto in tanto ci siamo rivisti (la sua posta arrivava in parrocchia), e così ho pensato a lui quando abbiamo deciso di accogliere dei giovani stranieri. Ma non sapevo ancora quasi nulla di lui, non potevo immaginare che stavo accogliendo un angelo secondo l’espressione della lettera agli ebrei che ora mi torna sempre alla mente:“Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo” (Ebrei 13,2).
Così poco alla volta ho conosciuto la sua storia. E’ stato abbandonato in ospedale al momento della nascita, e adottato e teneramente amato da una famiglia senegalese cristiana, povera, già con due figli. Però non è stato battezzato perché la sua famiglia naturale era musulmana e quella adottiva non ha voluto imporgli la sua religione. Anche per questo coltiva una gratitudine immensa verso la madre. Non posso qui raccontarvi la sua storia, breve ma intensa: la partenza dal Senegal a 14 anni nonostante tutti lo sconsigliassero, rendendosi conto dei troppi sacrifici che la sua famiglia faceva per mantenerlo a scuola; il viaggio nel deserto; la Libia e la traversata fino a Lampedusa. Chi vuol saperne di più può chiedere a don Alessandro Tanzi o don Rocco Priore che hanno avuto modo di conoscerlo alla mensa Caritas della Cattedrale.
Il giorno in cui è venuto ad abitare nella nostra casa avevo intenzione di invitare gli inquilini del palazzo per conoscerlo e dargli il benvenuto. L’amministratore mi ha negato l’uso della sala condominiale (alcuni avevano protestato), e poi sono venuti ad incontrarlo solo in tre (di cui due sono catechisti). Ma questo era nel conto, la casa è stata aperta non solo per accogliere alcuni profughi, ma anzitutto per cambiare noi, perché anche noi, come Abramo e Sara, accogliendo scopriamo una nuova fecondità. Adesso, dopo solo 20 giorni, le cose vanno già molto meglio, Ibrahim sta conquistano tutti con la sua educazione e il suo sorriso.
Domani verranno ad abitare altri due giovani di 18 anni. Saed e Sohel.
Non è stato poi così difficile. Qualcuno ha mandato i suoi angeli perché non inciampassero nella pietra i nostri piedi (Salmo 91,12).
Nei prossimi giorni altre famiglie di profughi arriveranno nel nostro paese attraverso il canale umanitario aperto dalla Tavola Valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio. Altre parrocchie vorranno rispondere all’appello del papa?

Don Gianni De Robertis

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