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Novembre: Siamo Chiesa; quale la nostra collaborazione?

“I laici sono soprattutto chiamati a rendere presente e operosa la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in cui essa non può diventare sale della terra se non per loro mezzo…Questo spetta a tutti i fedeli senza eccezione”. (Costituzione conciliare “Lumen Gentium”, n.33)

Particolare laici.jpgLe numerose immagini di Chiesa (di cui nella riflessione precedente), ciascuna delle quali rivelatrice di un aspetto del mistero della Chiesa, segno e realtà divina e umana, ci hanno consentito una conoscenza, sia pur sommaria, di Essa. Qualcuno suggeriva un approfondimento, vista la difficoltà di intenderla a pieno.

La scelta dello stesso argomento – spero – può facilitare il compito, ricordandoci che la Chiesa è famiglia dei figli di Dio e corpo mistico di Cristo; l’una e l’altra realtà appartengono a ciascuno di noi, perché ogni singola persona ha la possibilità di esserne parte attiva.

Tutti siamo uniti a Cristo non fisicamente, ma in maniera reale: la si indica come “unione mistica”. Sono tante le affermazioni a riguardo; ne ricordiamo qualcuna.

La parabola della vite e dei tralci afferma l’identità di vita che scorre in Cristo (vite) ed in noi (tralci): congiunti intimamente a Lui, produciamo frutti di bontà.

L’incontro di San Paolo con Cristo sulla via di Damasco sottolinea la stessa idea.

Pur perseguitando i cristiani, l’Apostolo si sente dire: “Saul, Saul, perché mi perseguiti?”: Cristo è perseguitato negli altri.  “Lo avete fatto a me” dice il Signore, riferendosi ad azioni buone a vantaggio di altri, bisognosi di aiuto.

Forse però l’immagine più significativa a riguardo è quella del corpo, sviluppata da San Paolo nella prima lettera ai Cristiani di Corinto: “Cristo è come un corpo che ha molte parti. Tutte le parti, anche se sono molte, formano un unico corpo…Voi siete il corpo di Cristo, e ciascuno di voi ne fa parte”.

Accettando questa realtà di Chiesa, nasce spontanea la domanda: quale è il mio posto, nella speranza di non essere tralcio secco, che non contribuisce alla crescita della vite?

La risposta, necessariamente sintetica, è il coinvolgimento di ciascuno di noi nella condivisione con altri del dono-impegno ricevuto dall’essere parte della Chiesa. Come in ogni organismo sociale, chi ne fa parte può porsi in maniera diversa;  sta a noi non rimanere inattivi o occuparci solo occasionalmente dei problemi dell’umanità, non in sintonia quindi con il comportamento del Capo che “percorreva città e villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il Vangelo del Regno e guarendo ogni infermità e malattia” (Vangelo secondo Matteo).

Attraverso una partecipazione responsabile prolunghiamo l’opera di Dio, e con la nostra attività umana ci rendiamo utili agli altri, donando “un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia”: noi (la Chiesa) esistiamo in vista di tutta l’umanità.

Si tratta di acquisire un atteggiamento come inclinazione permanente a giudicare ed agire secondo il pensiero di Cristo, con spontaneità e vigore, coinvolgendoci in tutti i problemi umani per essere fedeli a Dio e all’uomo.

Ci impegna quindi un compito arduo. Spaventarci non serve, anche perché – ci suggerisce Enzo Bianchi – la nostra identità non risiede in grandi eventi e raduni, ma nel vivere, sia pure con fatica, l’ordinarietà ed il quotidiano della fede.

Uno scrittore immagina di leggere un biglietto da visita, su cui Dio scrive due aggettivi: paziente (Dio sta alla porta e bussa, non la sfonda) e ottimista (scommette su di noi, pur sapendo quello che siamo); questi aggettivi “di Dio” incoraggino noi.

don Giacinto Ardito