Novembre: Siamo Chiesa; quale la nostra collaborazione?
Le numerose immagini di Chiesa (di cui nella riflessione precedente), ciascuna delle quali rivelatrice di un aspetto del mistero della Chiesa, segno e realtà divina e umana, ci hanno consentito una conoscenza, sia pur sommaria, di Essa. Qualcuno suggeriva un approfondimento, vista la difficoltà di intenderla a pieno.
La scelta dello stesso argomento – spero – può facilitare il compito, ricordandoci che la Chiesa è famiglia dei figli di Dio e corpo mistico di Cristo; l’una e l’altra realtà appartengono a ciascuno di noi, perché ogni singola persona ha la possibilità di esserne parte attiva.
Tutti siamo uniti a Cristo non fisicamente, ma in maniera reale: la si indica come “unione mistica”. Sono tante le affermazioni a riguardo; ne ricordiamo qualcuna.
La parabola della vite e dei tralci afferma l’identità di vita che scorre in Cristo (vite) ed in noi (tralci): congiunti intimamente a Lui, produciamo frutti di bontà.
L’incontro di San Paolo con Cristo sulla via di Damasco sottolinea la stessa idea.
Pur perseguitando i cristiani, l’Apostolo si sente dire: “Saul, Saul, perché mi perseguiti?”: Cristo è perseguitato negli altri. “Lo avete fatto a me” dice il Signore, riferendosi ad azioni buone a vantaggio di altri, bisognosi di aiuto.
Forse però l’immagine più significativa a riguardo è quella del corpo, sviluppata da San Paolo nella prima lettera ai Cristiani di Corinto: “Cristo è come un corpo che ha molte parti. Tutte le parti, anche se sono molte, formano un unico corpo…Voi siete il corpo di Cristo, e ciascuno di voi ne fa parte”.
Accettando questa realtà di Chiesa, nasce spontanea la domanda: quale è il mio posto, nella speranza di non essere tralcio secco, che non contribuisce alla crescita della vite?
La risposta, necessariamente sintetica, è il coinvolgimento di ciascuno di noi nella condivisione con altri del dono-impegno ricevuto dall’essere parte della Chiesa. Come in ogni organismo sociale, chi ne fa parte può porsi in maniera diversa; sta a noi non rimanere inattivi o occuparci solo occasionalmente dei problemi dell’umanità, non in sintonia quindi con il comportamento del Capo che “percorreva città e villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il Vangelo del Regno e guarendo ogni infermità e malattia” (Vangelo secondo Matteo).
Attraverso una partecipazione responsabile prolunghiamo l’opera di Dio, e con la nostra attività umana ci rendiamo utili agli altri, donando “un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia”: noi (la Chiesa) esistiamo in vista di tutta l’umanità.
Si tratta di acquisire un atteggiamento come inclinazione permanente a giudicare ed agire secondo il pensiero di Cristo, con spontaneità e vigore, coinvolgendoci in tutti i problemi umani per essere fedeli a Dio e all’uomo.
Ci impegna quindi un compito arduo. Spaventarci non serve, anche perché – ci suggerisce Enzo Bianchi – la nostra identità non risiede in grandi eventi e raduni, ma nel vivere, sia pure con fatica, l’ordinarietà ed il quotidiano della fede.
Uno scrittore immagina di leggere un biglietto da visita, su cui Dio scrive due aggettivi: paziente (Dio sta alla porta e bussa, non la sfonda) e ottimista (scommette su di noi, pur sapendo quello che siamo); questi aggettivi “di Dio” incoraggino noi.