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Papa Francesco: accogliere le famiglie con la delicatezza con cui le guarda Dio

Papa Francesco ha chiesto alle parrocchie romane di non "mettere in campo una pastorale di ghetti e per dei ghetti". Lo ha fatto nel discorso di apertura del Convegno ecclesiale della diocesi di Roma, soffermandosi anche su quanto sia importante tornare a includere gli anziani, perché solo così i giovani avranno futuro

Il Papa nella Basilica di San Giovanni in Laterano ha aperto il convegno della diocesi di Roma (LaPresse)

«Le nostre famiglie, le famiglie nelle nostre parrocchie con i loro volti, le loro storie, con tutte le loro complicazioni non sono un problema, sono una opportunità, che Dio ci mette davanti». Così si è espresso Papa Francesco aprendo, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il convegno diocesano sulla cura delle famiglie alla luce della sua Esortazione apostolica Amoris Laetitia.

«Opportunità - ha spiegato Francesco - che ci sfida a suscitare una creatività missionaria capace di abbracciare tutte le situazioni concrete, nel nostro caso, delle famiglie romane. Non solo di quelle che vengono o si trovano nelle parrocchie, questo sarebbe facile, più o meno ma poter arrivare alle famiglie dei nostri quartieri, quelle che non vengono».

Una pastorale familiare capace di accogliere
Il Papa ha ribadito quindi l'esortazione «a non dare niente e nessuno per perduto», «a non abbandonare nessuno perché non è all'altezza di quanto si chiede da lui» e a «uscire dalle dichiarazioni di principio per addentrarci nel cuore palpitante dei quartieri romani».

Nei due Sinodi sulla famiglia «non si trattava di analizzare un argomento qualsiasi; non stavamo di fronte a una situazione qualsiasi. Avevamo davanti i volti concreti di tante famiglie». Serviva quindi «non un rispetto diplomatico o politicamente corretto, ma un rispetto carico di preoccupazioni e domande oneste che miravano alla cura delle vite che siamo chiamati a pascere».

«Come aiuta dare volto ai temi! E come aiuta accorgersi che dietro la carta c'è un volto! - ha affermato il Papa - Ci libera dall'affrettarci per ottenere conclusioni ben formulate ma molte volte carenti di vita; ci libera dal parlare in astratto, per poterci avvicinare e impegnarci con persone concrete. Ci protegge dall'ideologizzare la fede mediante sistemi ben architettati ma che ignorano la grazia». Papa Francesco, «in un clima di fede», ha quindi invitato «a non stancarci di cercare la presenza di Dio nei cambiamenti della storia».

“Guardare le nostre famiglie con la delicatezza con cui le guarda Dio ci aiuta a porre le nostre coscienze nella sua stessa direzione”. Ne è convinto il Papa, che nel discorso in San Giovanni in Laterano, per l’apertura del convegno diocesano, ha spiegato come “l’accento posto sulla misericordia ci mette di fronte alla realtà in modo realistico, non però con un realismo qualsiasi, ma con il realismo di Dio”. “Le nostre analisi sono importanti e necessarie e ci aiuteranno ad avere un sano realismo”, ha precisato: “Ma nulla è paragonabile al realismo evangelico, che non si ferma alla descrizione delle situazioni, delle problematiche – meno ancora del peccato – ma che va sempre oltre e riesce a vedere dietro ogni volto, ogni storia, ogni situazione, un’opportunità, una possibilità”.
Papa Francesco ha sottolineato che «il realismo evangelico si impegna con l'altro, con gli altri e non fa degli ideali e del “dover essere” un ostacolo per incontrarsi con gli altri nelle situazioni in cui si trovano». Non si tratta, ha quindi aggiunto, «di non proporre l'ideale evangelico, al contrario, ci invita a viverlo all'interno della storia, con tutto ciò che comporta».
«Questo non significa non essere chiari nella dottrina - ha proseguito Papa Francesco -, ma evitare di cadere in giudizi e atteggiamenti che non assumono la complessità della vita».
Secondo il Papa, «il realismo evangelico si sporca le mani perché sa che “grano e zizzania” crescono assieme, e il miglior grano - in questa vita - sarà sempre mescolato con un po' di zizzania».

«Guardiamoci dal mettere in campo una pastorale di ghetti e per dei ghetti», ha sottolineato ancora Papa Francesco nel corso del suo discorso ai partecipanti al convegno diocesano sulla cura delle famiglie alla cura dell'Esortazione Amoris Laetitia.
«La fede non ci toglie dal mondo, ma ci inserisce più profondamente in esso», ha affermato il Papa citando il suo documento. «Non come quei perfetti e immacolati che credono di sapere tutto, ma come persone che hanno conosciuto l'amore che Dio ha per noi», ha aggiunto. «E in tale fiducia, con tale certezza, con molta umiltà e rispetto - ha proseguito -, vogliamo avvicinarci a tutti i nostri fratelli per vivere la gioia dell'amore nella famiglia. Con tale fiducia rinunciamo ai recinti che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l'esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezzà».
«Questo - ha continuato Francesco - ci impone di sviluppare una pastorale familiare capace di accogliere, accompagnare, discernere e integrare».

Che i nonni sognino e i giovani impareranno a profetizzare
Oggi gli anziani spesso "si sentono scartati quando non disprezzati". Invece "è l'ora di incoraggiare i nonni a sognare, a tornare a sognare. Perché solo così i giovani impareranno a profetizzare cioè a costruirsi un futuro". Questa l'invocazione con la quale Papa Francesco ha concluso il suo discorso evocando le parole della Bibbia: "Gli anziani faranno sogni profetici". "E i giovani - ha aggiunto - avranno visioni". "Come possono sperare dei ragazzi che a 25 anni per il 40 per cento non studiano e non lavorano, anche qui a Roma?", si è chiesto il Pontefice. Secondo Francesco, "nei sogni dei nostri anziani molte volte risiede la possibilità che i nostri giovani abbiano nuove visioni, abbiano nuovamente un futuro, un domani, una speranza".

"Sono due realtà - ha spiegato - che vanno assieme e che hanno bisogno l'una dell'altra e sono collegate". "È bello - ha esemplificato Bergoglio - trovare sposi, coppie, che da anziani continuano a cercarsi, a guardarsi; continuano a volersi bene e a scegliersi. È tanto bello trovare nonni che mostrano nei loro volti raggrinziti dal tempo la gioia che nasce dall'aver fatto una scelta d'amore e per amore". E invece, ha rilevato Francesco, "come società, abbiamo privato della loro voce i nostri anziani, li abbiamo privati del loro spazio; li abbiamo privati dell'opportunità di raccontarci la loro vita, le loro storie, le loro esperienze. Li abbiamo accantonati e così abbiamo perduto la ricchezza della loro saggezza".

Ma, ha denunciato il Papa, "scartando gli anziani, scartiamo la possibilità di prendere contatto con il segreto che ha permesso loro di andare avanti. Ci siamo privati della testimonianza di coniugi che non solo hanno perseverato nel tempo, ma che conservano nel loro cuore la gratitudine per tutto ciò che hanno vissuto. E questa mancanza di modelli, di testimonianze, questa mancanza di nonni, di padri capaci di narrare sogni non permette alle giovani generazioni di 'avere visionì. Non permette loro di fare progetti, dal momento che il futuro genera insicurezza, sfiducia, paura". Infatti, ha concluso il Pontefice, "solo la testimonianza dei genitori, vedere che è stato possibile lottare per qualcosa che valeva la pena, li aiuterà ad alzare lo sguardo". "Come pretendiamo - si è chiesto ancora il Papa - che i giovani vivano la sfida della famiglia, del matrimonio come un dono, se continuamente sentono dire da noi che è un peso?". "Se vogliamo visioni, lasciamo che i nostri nonni ci raccontino, che condividano i loro sogni, perché possiamo avere profezie del domani".

© Avvenire, 16 giugno 2016

 

L'analisi

Sostenere le fragilità con il realismo dell’amore di Dio

 

Rispetto per tutte le famiglia, nell’accoglienza di ogni situazione concreta; rifiuto di una pastorale "dei ghetti"; dovere di ascoltare le testimonianze degli anziani che devono offrire ai giovani occasioni di speranza, ragioni per guardare alla bontà della scelta matrimoniale, spunti per indicare una prospettiva di senso. Le tre indicazioni proposte ieri dal Papa al convegno diocesano di Roma, riflettono lo spirito di fondo dell’Amoris laetitia di cui in conclusione Francesco ha ribadito le parole chiave: accoglienza, accompagnamento, discernimento e integrazione. Sintesi di una rivoluzione pastorale che deve cominciare da un abbraccio senza esclusioni e senza selezioni. Tutte le famiglie hanno bisogno di essere aiutate e accompagnate a partire dalle loro condizioni di vita, anche quando quelle esistenze sono intessute di fragilità, di incertezza, di precarietà.

Per questo è necessario mettere da parte ogni residuo di pastorale elitaria, riservata a piccoli gruppi di "perfetti" (la tentazione del pelagianesimo). Come è urgente superare il rigorismo etico che ha finito per rendere sempre meno accattivante – perché sempre più difficilmente percorribile – il Vangelo del matrimonio e della famiglia. Quante coppie si sono sentite escluse da riferimenti teologici così elevati da adattarsi ben difficilmente alle situazioni reali di fragilità e di fatica vissute nell’ordinarietà domestica? Quante coppie, tra coloro che hanno rinunciato al matrimonio negli ultimi vent’anni, avrebbero potuto guardare con occhi diversi la proposta cristiana se non l’avessero scambiata per un elenco di pesi difficilmente sopportabili? Il Papa ieri l’ha detto ribadito con il richiamo a uno dei passaggi più sorprendenti e più autentici di Amoris laetitia: «Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio» (Al, 305).

Contro tutte le derive farisaiche, a cui il Papa ha fatto più volte cenno, è importante allora il ricorso alla verità del discernimento. Che è più esigente delle regole e della legge, perché coinvolge in modo diretto la persona e si adatta alla sua situazione concreta. Pensare di stabilire tante norme quante sono le situazioni reali vissute dalle persone nella loro vita di relazione, vuol dire infilarsi in un ginepraio inestricabile, che non sarebbe solo infinito, ma anche ingiusto. Il discernimento personale è invece, allo stesso tempo, più rispettoso e impegnativo. Certo, le regole sono comode. Quante volte ci lasciamo tentare da quella che Francesco ieri sera ha richiamato come illusione dell’appartenenza: «Sono bravo perché appartengo a questa associazione o a quel movimento». Perché seguo la norma e ho l’illusione di essere a posto con la mia coscienza. Invece non è così. Il discernimento è più severo, perché – quando diventa percorso autentico di maturazione e di verifica personale – scava in profondità dentro di noi e realizza in pienezza ciò che il Signore vuole.

Dio infatti ci chiede di realizzare quel bene che rappresenta ciò che è meglio per noi e per la nostra famiglia, in quel determinato momento e in quella data situazione, alla luce della nostra vita di relazione e del contesto sociale in cui siamo chiamati a vivere. Ci chiede il "massimo bene possibile", che è possibile realizzare solo con il discernimento. L’applicazione rigorosa della legge richiama invece un altro concetto, "il minimo male realizzabile". È l’atteggiamento farisaico da cui Francesco ci dice di guardarci: «Rispetto il sabato e sono tranquillo». Pensare che il mondo si divida in una piccola società di giusti nel grande universo oppresso dalla colpa. Ma la vita e il Vangelo – ci avverte il Papa – non sono così. Il peccato, l’imperfezione, la limitazione che ci derivano dalla nostra finitezza sono condizioni che toccano ogni persona. Tutti abbiamo bisogno di essere salvati, cioè accompagnati a comprendere la nostra condizione. Aiutati a fare discernimento, alla luce della nostra coscienza formata e secondo gli orientamenti dei pastori. E integrati nel cammino della Chiesa, perché – come ieri sera ha ricordato Francesco – la misericordia è il «realismo dell’amore di Dio».

Luciano Moia

© Avvenire, 16 giugno 2016

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