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Dossier. Papa Francesco, il mondo chiama Roma

Da Gerusalemme a Hong Kong, da Khinshasa a Rio de Janeiro: reazioni, attese e preghiere dopo l'elezione di Jorge Mario Bergoglio alla vigilia dell'inizio solenne del suo pontificato.

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1. Qui Gerusalemme: «Lo aspettiamo al Santo Sepolcro»

 

Gerusalemme, marzo

santo-sepolcro_2941144.jpgProprio la mattina del 13 marzo, ho ricevuto la telefonata di un caro amico, un professore di Perugia. Mi ha chiesto da dove sarebbe arrivato secondo me il nuovo Papa. Io sentivo che sarebbe stato un sudamericano. Gliel’ho detto e lui mi ha risposto: «Allora si chiamerà Francesco». In serata, dopo aver saputo dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio, ci siamo risentiti e insieme abbiamo riso di gioia, mentre tutte le campane di Gerusalemme suonavano a festa.
I cristiani nella Città Santa sono circa diecimila, di cui seimila cattolici, e tutti hanno fatto festa. Dal termine del pontificato del grande Papa Benedetto XVI, il mondo intero, la stampa internazionale, ha fatto mille supposizioni diverse, ma tutti sono stati concordi nel dire che la Chiesa aveva bisogno di un rinnovamento, di un segno forte. Penso che lo Spirito Santo, abbia veramente illuminato la scelta dei cardinali riunitisi in Conclave, perché per la prima volta abbiamo un Papa che arriva dal Sudamerica, per la prima volta è un gesuita e per la prima si chiama Francesco.E questo riempie di felicità e di speranza anche tutti i musulmani che ho avuto modo di incontrare finora.
Il mondo arabo conosce benissimo la storia del poverello di Assisi, sa che nel 1219 ha voluto, rischiando la vita, incontrare il sultano Melek el-Kamel e che quindi è stato il primo cristiano a cercare il dialogo con i musulmani.Per questo si aspettano che possa favorire la pace in quest’area così tormentata, non solo fra israeliani e palestinesi, ma in tutto il mondo arabo.Ogni angolo del mondo oggi vive una crisi senza precedenti. La rivoluzione araba ha sconvolto molti Paesi senza che si veda all’orizzonte una soluzione pacifica. La crisi di Betlemme ormai persiste da molti anni, chiusa dal muro di separazione, la persecuzione dei cristiani va dall'Africa all'India. Senza contare la grave situazione politica ed economica in cui riversano molti Paesi europei e d’Oltreoceano. Tutto sembra concentrarsi su un grande bisogno dell'umanità di ripartire da Dio.
Credo che dopo il lungo e sorprendente pontificato di Giovanni Paolo II, dopo Benedetto XVI, che ha lasciato al mondo e alla storia un grande segno di umiltà e di amore per la Chiesa con le sue dimissioni, papa Francesco aprirà una nuova pagina, una nuova era per la Chiesa. Oggi l’uomo ha bisogno di un’altro Francesco, e lo Spirito Santo ha realizzato questo sogno donando alla Chiesa il nuovo Papa Francesco. Quando fu eletto cardinale, convinse centinaia di fedeli argentini di non seguirlo a Roma per le celebrazioni, ma di devolvere il denaro che avrebbero speso per il viaggio, ai poveri. E lo stesso ha detto ora che è diventato Papa.
Ho avuto modo di parlare con il nunzio apostolico in Israele Giuseppe Lazzarotto: mi ha detto di tenermi pronto per la prima visita in in Terra Santa di Jorge Mario Bergoglio, da cui manca da una decina d’anni. Intanto, ci stiamo preparando alla Domenica delle Palme del 24 marzo: la processione partirà dal santuario francescano di Befage, dove Gesù chiese ai discepoli di trovargli un asinello. Lì accanto abbiamo costruito 72 appartamenti, dove vivono gli unici cristiani della zona. Poi, dopo un percorso di circa 5 chilometri, il nostro cammino terminerà a Gerusalemme vecchia, presso la chiesa di Sant’Anna, dove secondo la tradizione nacque Maria. Quest’anno attendiamo circa 12 mila fedeli, fra cui anche molti palestinesi che arriveranno dalla Cisgiordania e per i quali sono riuscito ad avere i permessi. E nel nostro cuore ci sarà la speranza di avere presto tra noi papa Francesco.

Padre Ibrahim Faltas
(Padre francescano della Custodia di Terra Santa)

 

 

2. Qui Hong Kong: sognamo una Chiesa più umile

 

Hong Kong, marzo

I cattolici cinesi amano il Papa. E ameranno molto papa Francesco. Quando venti anni fa facevo i primi viaggi tra le comunità di Cina appena uscite dall’isolamento mi era sempre chiesto di comunicare al papa la loro devozione. Giovanni Paolo II diceva spesso che pregava per i cristiani di Cina ogni giorno, ed era quello che ripetevo loro. Anche oggi è così. Non sono a conoscenza di particolare richieste da parte dei cattolici al nuovo papa. Credo che si affidino al Signore, da persone di fede quali sono. Ma tra le sfide di papa Francesco, quella dell’Asia in generale, e la Cina in particolare è, dal mio punto di vista, una delle principali, o forse proprio la più importante.
La missione per cui Gesù ha fondato la chiesa è di far conoscere la buona notizia del Vangelo. La chiesa esiste per questo. Nei primi sei secoli c’erano più cristiani in Asia che nel resto del mondo. Oggi è allo stesso tempo il più grande continente della terra e quello dove il vangelo è meno conosciuto. In Asia ci sono le grandi religioni con cui dialogare, le culture con cui confrontarsi, tanti poveri ed oppressi da riscattare, popoli immensi (in particolare Cina e India) che stanno entrando nella modernità e affermandosi come i nuovi protagonisti del pianeta. Ma l’Asia sembra ancora ai margini dell’agenda ecclesiastica e sotto-rappresentata nella chiesa istituzionale.
I cardinali asiatici sono pochissimi; la voce dei cattolici asiatici, pur molto vivaci, quasi non ascoltata, nonostante che, insieme all’Africa, l’Asia sia il continente dove i cristiani stanno aumentando di più e sono più oppressi. In Cina, che conta 12 milioni di cattolici, un centinaio di vescovi e varie migliaia di preti e religiose, la Chiesa si trova in un momento di grave difficoltà, a causa della politica oppressiva del regime. A Shanghai il giovane e coraggioso vescovo Taddeo Ma Daqing è agli arresti domiciliari e privato della sua dignità episcopale per la sua fedeltà. C’è un grande interesse verso il cristianesimo in generale, ma il numero delle conversioni al cattolicesimo è minore rispetto a 10 anni fa: occorre uno slancio di evangelizzazione e molta credibilità.
Benedetto XVI aveva sinceramente cercato il dialogo con la Cina, e avviato un’attenzione speciale a quella chiesa e popolo. E i cattolici gli hanno mostrato il loro affetto e la loro riconoscenza fino all’ultimo. Ma, come ha denunciato il cardinale Joseph Zen, dai funzionari vaticani non sembra che ci sia stato lo stesso impegno: si sono affidati ai tradizionali mezzi diplomatici, dai quali (lo insegna amaramente la storia del cattolicesimo in Cina) abbiamo avuto sempre risultati miserevoli per la causa del vangelo. La sofferenza dei cristiani in Cina è causata da un regime che, in perfetta malafede, continua ad imputare alla chiesa natura e mire politiche. Alla notizia della rinuncia di Benedetto XVI funzionari cinesi hanno spiegato che il papa è stato sopraffatto dagli scandali, propagando l’idea che la chiesa è una potenza politica e finanziaria tra le altre, con lotte interne, vincitori e vinti (con papa Benedetto tra questi ultimi).
Anche i cattolici cinesi auspicano che la struttura della Chiesa ritorni ad essere ancora più apostolica ed evangelica. Nell’epoca dell’informazione globale, l’evangelizzazione passa anche attraverso la capacità della Chiesa di essere radicalmente differente dalle cose del mondo.

Gianni Criveller

 

 

3. Qui Khinshasa: ora abbiamo di nuovo un Padre

 

Khinshasa (Repubblica Democratica del Congo), marzo

A Kinshasa la notizia ha viaggiato soprattutto attraverso gli squilli dei cellulari. Non tutti hanno potuto seguire l’annuncio dell'Habemus Papam in televisione perché buona parte della capitale era senza energia elettrica per uno dei ricorrenti black-out. Lo stupore per la novità e gli interrogativi sulla persona chiamata al grande compito hanno lasciato presto lo spazio alla gioia. Il vuoto che si era creato con le dimissioni di papa Benedetto è riempito. Sembra un’affermazione semplicistica ma qui in Congo è l’aspetto più sottolineato. Eravamo diventati orfani, ci mancava un padre, un riferimento, ora l’abbiamo ritrovato. Solo dopo possono cominciare tutte le altre considerazioni.

Il fatto che l’eletto non fosse tra i papabili più citati negli ultimi giorni ha rassicurato chi si trova a vivere dove tutto sembra già scritto e deciso dal "pouvoir en place". È la Provvidenza a guidare la Chiesa, le dimensioni carismatica e spirituale, quelle che il senso religioso innato negli africani meglio percepiscono, hanno avuto il sopravvento su ipotetiche scelte geopolitiche. Anche se ovviamente non passa inosservata la provenienza latinoamericana del nuovo successore di Pietro, il sud del mondo inizia ad avere una voce ascoltata.

In alcuni quartieri si è scesi in strada per festeggiare: la musica e qualche birra non mancano mai e così, ciò che non ha potuto fare l’informazione ufficiale l’ha fatto il passaparola. La gente semplice non ha colto immediatamente il valore simbolico della scelta del nome. Pape François, come il poverello d’Assisi che vivendo e annunciando il Vangelo ha "riparato" la Chiesa. E inoltre papa Francesco è un gesuita. Nei paesi di missione i gesuiti sono conosciuti per il grande impegno sociale, fatto senza risparmio di energie e di mezzi, nel nascondimento.

Mi piace associare il gesuita Bergoglio, nuovo Papa, al suo confratello Henry de la Kethulle, impegnato in Congo per la lotta alla depranocitosi, una malattia invalidante, simile all’anemia mediterranea, che può essere prevenuta e curata con un’adeguata profilassi. Ieri mattina padre Henry, che ha ampiamente superato gli ottant’anni, ha raggiunto in moto la nostra comunità paolina per condividere un progetto di divulgazione per combattere la drepanocitosi. Vorrebbe coinvolgere il ministero dell’educazione del governo congolese per raggiungere il più ampio numero di giovani. Da vero gesuita, di nobili origini, riesce a far convergere sulle sue iniziative l’impegno di carità degli strati sociali più agiati, per far crescere umanamente e spiritualmente chi non ha nulla, nemmeno la saluto. Speriamo che il suo progetto si realizzi e che noi paolini possiamo dar man forte a questa impegno.

Mi immagino così anche Papa Francesco: in moto per arrivare ai più poveri, ai più disperati, magari non su una moto a due ruote vera e propria, ma un "moto spirituale" che guidi tutta la Chiesa, e la Chiesa africana in particolare, alla condivisione, nella giustizia e nella pace.

 

Roberto Ponti

 

4. Qui Rio de Janeiro: in attesa della Gmg facciamo il tifo per lui

 

Rio de Janeiro, marzo

L'intera nazione s’è risvegliata con un sapore agrodolce in bocca. La fumata bianca ha svelato un Papa argentino, preferito al brasiliano Dom Odilo Scherer e ha riacutizzato antiche rivalità, anche calcistiche, tra i due Paesi. In più, a rincarare la dose ci si è messa pure la stampa di Buenos Aires che ha paragonato il nuovo Pontefice ad altri due simboli del Paese del tango, Maradona e Messi. Ma il Brasile, nonostante il boom degli evangelici, resta pur sempre il Paese più cattolico del mondo con 123,2 milioni di fedeli secondo l’ultimo rilevamento dell’Ibge, l’Istat verdeoro, contro i 34 milioni dell’Argentina.
«In ogni caso siamo davvero felici e commossi», spiega Osania che nell’attesa del voto del Conclave aveva comunque tappezzato il suo negozio di Copacabana, a Rio, con le foto dell’arcivescovo di San Paolo. «Questo è un Papa sudamericano e tutti noi ora faremo il tifo per lui». Insomma dalla "cidade maravilhosa" arriva una bella lezione di dialogo interculturale, nel nome della comune fede cristiana. Nella San Paolo del cardinale Scherer,  Edmar Peron, vescovo ausiliare, subito dopo l’elezione ha detto che «la scelta del nome Francesco e il suo modo di agire confermano l’impressione che sia un uomo semplice, attento ai valori più genuini e autentici del Vangelo e della Chiesa».
Da San Paolo a Rio, insomma, tutti in Brasile sperano in un cambiamento. «Ci aspettiamo che papa Francesco risolva i problemi che stanno attanagliando la Chiesa dal suo interno», commenta João, studente cattolico alla Puc, la Pontificia Università di Rio de Janeiro. «Certamente il fatto che venga dal nostro continente garantisce al mondo una grande speranza di trasformazione». Un desiderio condiviso da chi frequenta i social network. Regiane Calixto, curatrice delle pagine ufficiali Facebook e Twitter della Giornata mondiale della gioventù (Gmg) che si svolgerà proprio a Rio dal 23 al 28 luglio prossimo, annuncia che nell’arco delle 24 ore successive all’elezione del nuovo Pontefice «si sono contati cinquemila follower in più nella sola versione in portoghese, arrivata a oltre 300 mila follower in totale, un vero record, e oltre 10 mila condivisioni».
E proprio sulla ventottesima edizione della Gmg si concentra adesso l’attenzione della Chiesa brasiliana. La Giornata mondiale, che si svolgerà un mese dopo la Coppa delle Confederazioni di calcio, potrebbe subire adesso qualche cambiamento del programma. L’elezione del primo Papa sudamericano, infatti, a prescindere dalla sua nazionalità richiamerà per gli organizzatori ben più dei circa quattro milioni di fedeli già previsti, settemila dei quali italiani.
«Appena potremo andremo a Roma per sottoporre al nuovo Pontefice un calendario più ricco», spiega Dom Orani João Tempesta, arcivescovo di Rio de Janeiro, «la struttura della manifestazione rimarrà la stessa ma cercheremo di aumentare i momenti d’incontro con i fedeli». Proprio per il fatto di essere più giovane del suo predecessore, papa Francesco, secondo l’arcivescovo, potrà infatti «spostarsi di più». Per dom Orani, la prossima edizione della Gmg sarà davvero simbolica. «La prima e fin qui unica Gmg svoltasi in America latina», sottolinea il prelato, «si era tenuta proprio in Argentina, nel 1987, e oggi il Papa è argentino. Un richiamo ancora più forte per i cattolici sudamericani».
La preoccupazione maggiore per l’arcivescovo di Rio è che, con un flusso maggiore di fedeli, possano «esserci problemi nella logistica e nei trasporti, ma,  ne sono certo, con l’aiuto di Dio li supereremo».

Paolo Manzo

 

 

5. Qui Boston: l'entusiasmo degli immigrati, lo scetticismo dell'establishement

 

Boston (Usa), marzo
 

Poco dopo le due di pomeriggio, ora di New York, l’America si ferma e – praticamente a reti unificate – si sintonizza su Piazza San Pietro, o meglio sul comignolo da cui usciva copioso il fumo bianco del conclave andato a buon fine. Si ferma anche Obama che, appena saputo dell’esito positivo della votazione, interrompe una riunione con un delegazione Repubblicana sul budget: “Ho già annunciato la fumata bianca ai colleghi”, dice ai giornalisti mentre si congeda quasi di corsa, “adesso bisogna andare tutti a sentire l’annuncio ufficiale. This is big news (è una grossa notizia)”.

E come tale i media a stelle e strisce l’hanno trattata, fin dalle dimissioni di Papa Benedetto. Di sicuro i network non si sono fatti cogliere impreparati da un conclave breve: corrispondenti ed inviati (compresi quelli degli affiliati locali) erano giunti in forze a Roma fin dai giorni scorsi e, da lunedì, due dei tre principali canali generalisti conducevano i telegiornali direttamente da piazza San Pietro. E dall’inizio del conclave, la CNN, rappresentata nella città eterna dall’anchorman di punta, Anderson Cooper, teneva sotto controllo il comignolo sul tetto della cappella Sistina in tempo reale, con un riquadro sempre aperto all’interno dell’immagine principale, anche durante la pubblicità.

Così, alle prime nuvolette di fumo, proprio come Obama, tutti almeno in TV hanno interrotto ciò che stavano facendo e sono immediatamente “andati a sentire l’annuncio ufficiale” o, in altre parole “a vedere chi è”. E nonostante la malcelata speranza che il nuovo pontefice fosse un loro connazionale, a giornalisti e commentatori americani quello che hanno sentito e visto non è dispiaciuto affatto, almeno a giudicare dai commenti, sia quelli a caldo sia quelli degli approfondimenti serali, quando nei tg dei network come nei palinsesti dei canali “all news”, non si è praticamente parlato d’altro.

Dopo averne ovviamente citato i primati (primo extraeuropeo, primo gesuita, primo “Francesco”), papa Bergoglio viene unanimemente definito come “semplice” ( particolarmente citato il fatto che prendeva l’autobus), “vicino ai poveri” e soprattutto, per il solo fatto di essere sudamericano e dunque lontano anche geograficamente dalla Curia romana, potenziale interprete  di quel rinnovamento e di quelle aperture di cui - e qui su questo sono veramente tutti d’accordo – la Chiesa cattolica mondiale sembra avere un gran bisogno.

Non mancano le opinioni autorevoli: su tutti il cardinale Edward Egan, ex arcivescovo di New York, intervistato un po’ ovunque, non risparmia gli elogi al nuovo pontefice: “Un uomo in cui  la gentilezza la disponibilità e il grande calore umano convivono con una profonda preparazione culturale e teologica”. Il tutto, va detto, corredato da una fotografia ricercata, curata nei dettagli, come meglio di tutti gli americani sanno fare, che riesce a raccontare in modo straordinario, per immagini, sia l’architettura che le emozioni di una Piazza San Pietro che per qualche giorno torna ad essere, almeno televisivamente, Caput Mundi.

Agli analisti dell’America del Nord, infine, non sfugge l’importanza di quella del Sud e del centro,  dove non solo vive il 40% dei cattolici del mondo, ma da dove proviene anche la maggior parte degli emigranti che negli Stati Uniti compensano l’emorragia di fedeli (molti scoraggiati dagli scandali) verso le denominazioni protestanti e permettono ai circa 77 milioni di seguaci della Chiesa di Roma di continuare a crescere, anche se lentamente, di numero. 

Ad annuncio ancora fresco i direttori editoriali più attenti sguinzagliano le telecamere nelle zone più “latine” d’America: Los Angeles, Miami ma anche certi quartieri di Chicago e di New York dove oramai lo spagnolo è lingua ufficiale. Prevedibile e grande è l’entusiasmo tra i tanti immigrati che, dal Messico alla Terra del Fuoco, popolano ormai in massa gli Stati Uniti al punto che alcune statistiche prevedono che nel 2050 supereranno i cosiddetti “bianchi non ispanici” come gruppo etnico di maggioranza. Di fatto nei “barrios” delle città americane la soddisfazione per la scelta del cardinale argentino è generale e palpabile. 

Un aspetto, questo, fondamentale per gli Stati Uniti, e colto anche da Obama nel comunicato diramato a fine giornata: “Ci uniamo alla gioia di milioni di ispano-americani in questo giorno storico”, scrive il Presidente che invierà il suo vice, il cattolico Joe Biden, a Roma nei prossimi giorni a capo della delegazione americana presso il nuovo Pontefice. Poi conclude “come primo papa delle Americhe la scelta testimonia la forza e la vitalità di una regione che sta sempre più influenzando il nostro mondo”. Tutti contenti per papa Francesco insomma: non sarà Timothy Dolan o Sean O’Malley ma in fondo è “americano” anche lui.

Nei primi giorni del pontificato, poi, non sono sfuggiti agli occhi degli USA i semi di innovazione contenuti nelle parole e negli atti di papa Francesco, coerenti in verità con la semplicità e la vicinanza al popolo del cardinale che a Buenos Aires prendeva l’autobus e si cucinava la cena da solo. Ma non sfugge nemmeno  il fatto che “non bastano un nome evocativo e una postura umile”, come nota Ross Douthat sul New York Times di domenica.

Una cosa è (per quanto simbolicamente rivoluzionario) chiedere ai fedeli di pregare per lui e chiedere il conto dell’albergo, senza ermellino e con al collo una croce di legno invece che d’oro; un'altra è come, riflette la rivista Time nella storia di copertina, “scardinare una burocrazia basata su privilegi aristocratici e istinti machiavellici”.

 
Stefano Salimbeni
Dossier a cura di Alberto Chiara

© Famiglia Cristiana, 18 marzo 2013

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