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Pastorale Vocazionale. Facciamo fiorire le vocazioni smorzate nel cuore dei giovani

In dieci anni 18% di accessi in meno a seminari e noviziati. La crisi si affronta rimettendo la questione al centro della pastorale. E allargando lo sguardo

Da oggi il forum nazionale organizzato dall’Ufficio Cei su cause e percorsi di lavoro per un fenomeno complesso Dietro le parole c’è un mondo. Lo si può esplorare abbandonando la piattezza della superficie per raggiungere la profondità, che ne custodisce il tesoro. Anche le parole della fede sono così, e oggi abbiamo bisogno di riprenderle in una preziosa opera di restauro capace di coniugare – nella sapienza dello scriba (Mt 13,52) – uno splendore antico e nuovo. «La parola vocazione non è scaduta. L’abbiamo ripresa nell’ultimo Sinodo, durante tutte le sue fasi. Ma la sua destinazione rimane il popolo di Dio, la predicazione e la catechesi, e soprattutto l’incontro personale, che è il primo momento dell’annuncio del Vangelo» (Francesco, Incontro con i partecipanti al congresso dei centri nazionali per le vocazioni delle Chiese d’Europa, 6 giugno 2019). È uno dei motivi che invita tutti a cercare i modi per riconsegnare l’attenzione vocazionale a un orizzonte più ampio e ciascuno a riappropriarsene come elemento centrale della 'missione al cuore del popolo'. «Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Di conseguenza dobbiamo pensare che ogni pastorale è vocazionale, ogni formazione è vocazionale, ogni spiritualità è vocazionale » (Francesco, Christus vivit, n.254).

Nell’opera di restauro occorre riconoscere le incrostazioni che si sono depositate sulle parole della fede. Una di queste è il passaggio mentale quasi automatico che si è venuto a creare tra la vocazione e le sue forme. Oltre a essere uno dei motivi della disaffezione al concetto stesso di vocazione, tale riduzione soffoca l’annuncio vocazionale rendendolo esclusivo. Tuttavia, perdere lo sguardo sulle forme della vocazione acconsente – senza volerlo – alla sempre maggior diffusione di un uso 'secolarizzato' del termine e che induce a identificare la vocazione con qualsiasi ambito di vita, dissolvendone la portata e rinunciando a una proposta vocazionale specifica: si tratta di tenere in tensione 'vocazione' e 'vocazioni'.

Quando mi si interroga sulla vocazione (quasi mai) o sulle vocazioni (quasi sempre) la questione ruota spesso attorno ai perché della crisi. E si intendono le cause del calo numerico di chi decide di entrare in seminario, in noviziato o in un percorso di discernimento istituzionale in ordine a una consacrazione. Il calo c’è. In Italia nell’ultimo decennio le 'vocazioni' sono calate del 18% a fronte di un calo della popolazione giovanile dell’8%. Tuttavia tale prospettiva evidenzia un punto di osservazione ben chiaro: la questione vocazionale riguarda principalmente i giovani. All’inizio della 71a Assemblea generale dei Vescovi Italiani, nel maggio 2018, papa Francesco disse di essere molto preoccupato per l’attuale «emorragia di vocazioni» presente nella nostra penisola e in tutto l’Occidente. L’immagine aveva immediatamente portato a pensare – appunto – alla crisi numerica, ma la metafora dice qualcosa di molto più importante. Era già stata usata dallo stesso Pontefice in relazione agli «abbandoni nella vita consacrata» (Francesco, Discorso ai partecipanti alla plenaria della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, 3 dicembre 2017) e da questa prospettiva la questione appare molto più seria perché permette di allargare l’orizzonte della vocazione a tutta la vita. Non sono primariamente 'le vocazioni' che ci preoccupano ma le persone: 'la vocazione', infatti, si riferisce ai giovani come intuizione di una promessa, ma riguarda gli adulti – le comunità, la Chiesa – perché interessa la fecondità della vita. La metafora di papa Francesco è eloquente: il sangue non più canalizzato si disperde, non giunge più a nutrire l’organismo, che corre il rischio di perdere la vita. E la vita non è fatta per disperdersi, dissiparsi, ma per giungere a compimento e portare frutto, strada facendo. È il secondo tratto del restauro: vocazione è tutta la vita.

A guardar bene, anche la parola 'crisi' porta nella sua etimologia – krino – una radice di speranza: la crisi è un’occasione per scegliere, giudicare. Oggi ci accorgiamo della 'crisi delle vocazioni' perché il numero dei sacerdoti o dei consacrati non è più sufficiente a sostenere la struttura pastorale. Forse temiamo – lo ha ricordato papa Francesco qualche giorno fa – un 'cristianesimo di minoranza', o abbiamo paura che ciò che abbiamo costruito con fatica possa lasciare posto ad altro. Forse ci preoccupa anche l’emorragia delle voca- zioni matrimoniali – che pare anche più copiosa – e la vita di chi, a causa del vissuto personale, fatica o è impedita a sbocciare. Quante vite, nel mondo, tarpate dalla violenza e dal sopruso, dall’indigenza; quante vite smorzate nei propri sogni di bene, quante caricate dal dolore e dall’affanno dell’essere lasciati soli ad affrontare prove e responsabilità; quante disperse nell’illusione di una falsa promessa di felicità. Non mi riferisco soltanto ai giovani, ma agli adulti, agli uomini e alle donne del mondo, ai consacrati, ai presbìteri, agli sposi. Se c’è una conversione da compiere è imparare a credere che ogni persona è un prezioso annuncio di Dio, una vocazione che non soltanto agisce, fa, lavora, ma anche interpella, domanda, invoca. La vita può dispiegarsi nella sua pienezza soltanto se è spesa e accolta nell’amore. L’amore – la vita, la vocazione – non è mai solo per sé, ma sempre per qualcuno e insieme a qualcun altro. Siamo tutti chiamati a prenderci cura gli uni della vocazione degli altri perché la vita di tutti – quella del Corpo di Cristo del quale siamo membra – vuole crescere in abbondanza (Gv 10,10).

A ben guardare, le vocazioni non sono in calo, crescono con il crescere della popolazione mondiale. C’è bisogno della loro esplosione, del loro sviluppo, della loro fioritura che può rimanere come nascosta o sopita da tutto ciò che Vangelo non è. Sono là, celate nel più intimo della vita di ogni uomo, in coloro che abitano il nostro stesso palazzo, che siedono nella nostra rabbiosa assemblea di condominio, in chi condivide la stessa mensa, nel cuore di chi amiamo e in quello di chi non ricordiamo più. La vocazione – la voce dello Spirito (Rm 8,16) – preme per erompere dalle segrete profondità che «ogni cosa porta in sé un grembo dal quale può sempre germogliare qualcosa di nuovo» (Francesco, Laudato si’, n. 80) ed è questo movimento che siamo invitati a riconoscere e accompagnare. Cosa ci impedisce di farlo? Cosa ci occupa più di questo? È lo sguardo di chi ama, capace di riconoscere il futuro possibile già racchiuso nel presente e ancora tutto da costruire. È la responsabilità della Chiesa la missione di «illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare» (Francesco, Evangelii gaudium, n.273). È faticoso. Nelle nostre famiglie, dentro le nostre comunità, nei nostri presbìteri, spesso vorremmo poter guarire, sollevare, liberare, ma non sappiamo come fare... Sentiamo l’urgenza di benedire e vivificare ma patiamo – per primo nella nostra vita personale – il travaglio della creazione, che anela al suo compimento (Rm 8,22).

È una lotta che possiamo affrontare soltanto insieme. Solo riscoprendo la solidarietà di appartenenza nell’unica nostra creazione e nell’unica nostra carne è possibile lasciar emergere l’unica vita di Dio, che tutti ci lega. Prendersi cura della vocazione è riconoscere la preziosità della vita di ognuno, l’importanza essenziale che ciascuno – piccolo o grande che sia – porta a favore di tutto il corpo, la bellezza di contemplare l’opera unica e irripetibile che ognuno è chiamato a compiere, come singolare tassello del mosaico della Redenzione. Coraggio! «La tua vocazione non consiste soltanto nelle attività che devi fare» (Francesco, Christus vivit, n.255): «La tua vocazione ti orienta a dare il meglio di te» (n.257). E nella chiave suggerita da papa Francesco – «i veri sogni sono i sogni del noi» (Veglia con i giovani italiani, 11 agosto 2018) – mi sembra particolarmente fecondo declinare anche al plurale le sue stesse parole: «La nostra vocazione ci orienta a dare il meglio di noi». «Lasciate sbocciare i sogni e prendete decisioni, vivete! Datevi al meglio della vita!» (Christus vivit, n.143).

Michele Gianola, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale delle vocazioni

© Avvenire, venerdì 3 gennaio 2020

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