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Populorum progressio. Un'enciclica che «chiama» a globalizzare la fratellanza

Convegno in Vaticano nel 50esimo del testo. Turkson sull'attualità del testo

«Globalizzare la fratellanza», soprattutto in un mondo segnato «dalla povertà, dallo sfruttamento e dall’oppressione politica». Il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale istituito lo scorso gennaio da Bergoglio nell’ambito della riforma della Curia Romana, usa un’espressione molto moderna per rilanciare il messaggio dell’enciclica sociale Populorum progressio che non ha perso la sua attualità. Sebbene infatti siano trascorsi 50 anni dalla sua pubblicazione, non ci sia più la Guerra fredda e gli scenari politici e sociali interazionali siano decisamente cambiati, è quanto mai urgente «continuare a lavorare per promuovere la fratellanza e una solidarietà che consenta a tutti di essere artefici del proprio destino», ha osservato Turkson intervenendo alla prima giornata della conferenza internazionale organizzato in Vaticano per celebrare l’anniversario del documento di Paolo VI e inaugurare ufficialmente le attività del nuovo dicastero.

«Cinquant’anni dopo la Populorum progressio che introduceva l’idea dello sviluppo umano integrale, cioè a 360 gradi, e sottolineava il ruolo della carità come forza motrice per lo sviluppo, dobbiamo impegnarci per la solidarietà», ha affermato il prefetto evidenziando che il Dicastero ha proprio il compito di sostenere «il progresso delle persone, alla luce della Parola di Dio e con i piedi ben radicati nel tempo in cui vive, come un ponte tra il Vangelo e l’uomo di oggi». Del resto, «lo sviluppo non può essere limitato soltanto alla crescita economica, ma deve promuovere lo sviluppo di tutti gli uomini insieme», ha ricordato l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, segretario delegato del Dicastero, per il quale, sulla scorta dei principi della dottrina sociale della Chiesa, occorre individuare «percorsi per rispondere alle nuove situazioni che il mondo presenta».

Si tratta di «salvare l’uomo, nella sua totalità di corpo e anima» e in quest’ottica, ha spiegato il cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, la Chiesa, che «non è una Ong o una lobby che si impegna solamente per gli interessi del proprio gruppo sociale» offre il proprio contributo, collaborando «alla soluzione delle domande più urgenti, che concernono tutti: la dignità inviolabile dell’uomo, la giustizia sociale, la solidarietà e la pace nella famiglia dei popoli e la lotta contro le forze e i poteri distruttivi e nemici dell’uomo». Specialmente, ha aggiunto Müller, «mentre cresce il numero degli uomini affamati, privati dei diritti, ridotti in schiavitù, mentre il dramma dei rifugiati arriva alla casa europea, mentre la globalizzazione delle chances e dei rischi è diventata la sfida più grande per un mondo ormai unificato». «Non bisogna avere paura delle sfide che abbiamo dinanzi», ha scandito il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, nell’omelia della messa celebrata per i partecipanti al Simposio nella basilica di san Pietro.

«Non mancano i dibattiti sulle strategie per eliminare le condizioni che violano la dignità umana, per superare le grandi ingiustizie, sia individuali che strutturali, che si incontrano giornalmente, e per proporre un futuro di generale benessere», ha rilevato Parolin per il quale tuttavia «le soluzioni spesso proposte contraddicono queste buone intenzioni, favorendo al contrario il potere economico e politico rispetto agli altri». Occorre invece, ha concluso il segretario di Stato, «sostituire l’amore del potere con il potere dell’amore».

Stefania Careddu

© Avvenire, martedì 4 aprile 2017