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Quegli spot che imbrogliano il cervello: comprare non è una scelta, ma un ordine

Alcuni ricercatori dell'università della California hanno dimostrato che certi messaggi pubblicitari riducono le capacità decisionali della mente e la "convincono": certi annunci sono irresistibili e così i consumatori acquistano senza porsi domande

pubb.jpgViviamo nel contesto sociale della deresponsabilizzazione, ci hanno abituati a farci scegliere, piuttosto che a cercare di acquisire la consapevolezza che dovrebbe sostenere le nostre scelte, ponendole in relazione ad un bisogno personale. Del resto, in un mondo teso solamente al profitto, l’individuo modello è il consumatore impenitente, il soggetto facile al condizionamento che preferisce subire piuttosto che agire in nome proprio. Quindi l’essere corteggiati e sedotti dalla pubblicità è una ferma consapevolezza per tutti noi, purtroppo la normalità.

Siamo assoggettati ad un corteggiamento sfiancante, tanto che non facciamo più differenza tra l’acquisto consapevole e necessario, e quello dettato dall’impulso condizionato. Dobbiamo cercare di comprendere che un conto è uscire per acquistare un elettrodomestico, come potrebbe essere una lavatrice, perché la nostra è rotta e proprio non possiamo farne a meno, un altro è ritrovarci preda di un impulso, come tale incontrollabile, che ci spinge ad acquistare un mega televisore a schermo ultra piatto, ultra leggero, ultra supersonico… del quale potevamo assolutamente fare a meno. Un bisogno indotto corredato da caratteristiche precise ed identificabili che riescono a trasformare un messaggio in impulso.

I messaggi pubblicitari possono colpirci attraverso un meccanismo di persuasione logica (LP, logical persuasion) rappresentando le caratteristiche del prodotto relative al prodotto stesso, senza debordare in altro spazio immaginifico mentale; mentre, quando il messaggio aggira e raggira la coscienza (NI, non-rational influence), ad esempio stimolando fantasie che potrebbero o meno essere legate all’oggetto della pubblicità, ma che hanno il solo scopo di manipolare, allora la questione cambia e non di poco, ossia modifica in qualche modo lo stato di coscienza. Facile è comprendere come eticamente la manipolazione sia da porre nella sezione dedicata alla scorrettezza, quindi destinata all’eliminazione sociale.

Le ricerche di neuromarketing vedono e prevedono i comportamenti a feed back dei consumatori, ma l’impatto sulle funzioni cerebrali procurate da queste manipolazioni nel mondo reale, non erano conosciute; oggi i ricercatori della UCLA e della George Washington University hanno dimostrato che diversi tipi di messaggi pubblicitari, evocano diversa attività cerebrale, a seconda che il soggetto venga sottoposto a LP oppure a NI.

Nell’articolo pubblicato sulla corrente edizione online di Journal of Neuroscience, Psychology, and Economics, il prof. Ian Cook (docente di psichiatria presso il Department of Psychiatry and Biobehavioral Sciences e il David Geffen School of Medicine at UCLA, e come ricercatore presso l’UCLA Semel Institute for Neuroscience and Human Behavior e il UCLA Brain Research Institute) e colleghi asseriscono che le regioni cerebrali coinvolte nei processi decisionali e in quelli emotivi sono particolarmente sollecitate, si mostrano più attive, quando gli individui sono sottoposti a messaggi che utilizzano la persuasione logica (LP), rispetto a messaggi che utilizzano l’influenza non razionale (NI). Queste regioni cerebrali parrebbero aiutare ad inibire gli stimoli dettati da impulso.
Facendo seguito al ragionamento del prof. Cook: “tieni d’occhio il tuo cervello e terrai d’occhio il tuo portafogli”, vorrei puntualizzare il fatto, emergente dagli studi del gruppo di ricercatori californiani, che i risultati sono a favore delle capacità selettive operanti nel nostro cervello. I bassi livelli di attività cerebrali registrati invece nel corso di interazione con messaggi NI, rinforza il concetto che istintivamente prevale l’azione tesa ad evitare il condizionamento, quale meccanismo inibitorio difensivo dall’impulso.

Sono stati valutati i tracciati elettroencefalografici di 24 giovani adulti (11 donne e 13 uomini) sottoposti alla visione di immagini pubblicitarie. Ogni partecipante è stato sollecitato da 24 pubblicità apparse su riviste e giornali:

  • gli annunci che utilizzavano immagini LP comprendevano una tabella che si riferiva a situazioni e cifre relative alle sigarette, i dettagli su come costruire uno spazzolino da denti e suggerimenti relativi ai criteri da seguire per acquistare alimenti per cani in base alla loro attività motoria;
  • gli annunci NI contemplavano l’immagine di una bella donna in piedi con le gambe allargate a pubblicizzare dei jeans, mentre a pubblicizzare le sigarette si mostrava l’immagine di una donna che, saltando su di un idrante, veniva inondata dagli spruzzi d’acqua, sotto lo sguardo entusiasta di un uomo, con chiari riferimenti di ordine sessuale.

Sulla base di queste sollecitazioni, si è visto che le immagini LP determinano elevati livelli di attività di tutte le aree del cervello coinvolte nel processo decisionale e/o nella trasformazione emozionale. Quindi le preferenze per l’acquisto di beni e servizi possono essere modellate da molti fattori, in primis dalle informazioni logiche e persuasive, cui possono sovrapporsi, a scopo seduttivo, le immagini o i testi che intervengono nel cambiamento comportamentale senza l’intervento della coscienza, senza che si richieda il riconoscimento consapevole.

Come dice il prof. Cook: “Poiché i risultati hanno mostrato che in risposta agli stimoli sensoriali non razionali, l’attività è più bassa nelle aree del cervello che ci aiutano a inibire le risposte agli stimoli, i risultati confermano l’ipotesi che alcuni inserzionisti vogliono sedurre, piuttosto che convincere i consumatori ad acquistare i loro prodotti”, in barba all’etica.

Luisa Barbieri

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