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Quelli che non "staccano" mai...

Da una una ricerca risulta che la maggior parte degli italiani pensa al lavoro anche in vacanza. Il 23% ammette di pensarci di continuo. Il parere dello psicoanalista Aristide Tronconi

Staccano16ok_1842550.jpgLi vediamo, anche sdraiati al sole o seduti al bar, pc, tablet o smartphone sempre in mano e sempre in funzione. Un occhio al monitor e l'altro, distratto, alla natura. Fingono di ascoltare i discorsi di familiari e amici ma soprattutto fingono di essere in vacanza. In realtà sono altrove, probabilmente ancora con la testa in ufficio o negli importanti documenti che ancora devono leggere o scrivere. Sono gli italiani che non staccano mai dal lavoro.

Dal sondaggio Infojobs.it, realizzato attraverso interviste a più di 600 lavoratori in partenza per le ferie estive, emerge che il 51% degli italiani pensa alle questioni di lavoro anche in vacanza, ma solo in caso di urgenze, mentre il 23% ammette di pensarci di continuo. Solo il 14% confessa di non occuparsi di incombenze professionali quando è in ferie e il 12% dichiara di evitarle proprio per principio.

Complici di tutto ciò sono, indubbiamente, le nuove tecnologie. Il 35% degli intervistati, infatti, avverte un incremento della quantità di lavoro svolto nei giorni di vacanza, a causa dell’utilizzo di Pc portatili o altri dispositivi mobili in dotazione. Solo il 9% afferma di usare raramente dispositivi portatili durante le ferie.

Il 47% ammette di controllare ogni tanto le mail anche nei giorni festivi o in ferie e un altro 36% confida di farlo quotidianamente e più volte al giorno, con dispositivi mobili o da PC tradizionali. Solo il 17% risulta libero da qualsiasi obbligo o dipendenza, affermando di non leggere mai le mail se non in ufficio.

Il continuo accesso alle mail di lavoro potrebbe essere il risultato di preoccupazioni e ansie per quello che succede in nostra assenza. Infatti, mentre il 49% vive serenamente la lontananza dal luogo di lavoro, il 39% avverte ansia per ciò che è rimasto in sospeso e il 12% chiama frequentemente in ufficio per controllare o monitorare cosa succede. Questa percentuale di “ansiosi”, che necessitano di tenere sempre la situazione sotto controllo, si rispecchia nel 14% degli intervistati che dichiara di sentirsi preoccupato al rientro dalle ferie per le questioni non concluse.

L’uso e l'abuso dei dispositivi mobili in vacanza non sembra, tuttavia, compromettere l’azione benefica di un periodo di riposo lontano dall’ufficio. La maggioranza degli intervistati, il 66% conferma di sentirsi rilassato e carico al rientro, pronto a ricominciare. L’8% è stressato perché non si è goduto appieno il periodo di riposo ed è rimasto incessantemente operativo e il 12% si dichiara depresso, rimpiangendo le vacanze appena terminate.

Non si tratta tuttavia, di una situazione così negativa. Infatti per quanto riguarda le percentuali presentate dalla InfoJobs Aristide Tronconi, psicoanalista e collaboratore della rivista Famiglia Oggi (San Paolo),  trova consolante e positivo il fatto che «più della metà degli italiani, quando è in vacanza, pensa al lavoro solo in caso di urgenza ed è solito non portare con sé nessun dispositivo di lavoro».

E poi, in fondo, "solo" il 23% ammette di pensare al lavoro di continuo e quindi «Se si tratta di pensarci non in termini di preoccupazione e di ansia, ma in modo positivo e utile, non vedo quale possa essere l'anormalità», continua Aristide Tronconi, «se invece non è così siamo in presenza di un'attitudine che si discosta un poco dalla norma, poiché il non riuscire a creare nella propria mente una situazione di rilassatezza e di abbandono della routine, il non riuscire a prendere le distanze da una situazione, o da un luogo, o da una mansione, è indice di rigidità e di fragilità». Un po' come se la tranquillità in questi soggetti fosse collegabile solo al controllo e alla ripetitività e non al cambiamento e alla creatività.

E per quanto riguarda il 12% che chiama frequentemente in ufficio per controllare o monitorare cosa succede? Secondo Aristide Tronconi anche in questo caso occorre fare un distinguo: «Se chi si comporta in tal modo ha una ragione obiettiva e straordinaria per farlo, non vi è nulla da dire, se invece diventa un'abitudine che, se non viene rispettata provoca  uno stato di ansia incontrollabile, si può dire che siamo in presenza di persone incapaci di vivere sé stessi senza appoggiarsi a qualcuno o qualcosa». 

«E' un po' l'equivalente della figlia o del figlio che, sebbene sposati e autonomi, non possono fare a meno di chiamare la madre o il padre ogni giorno o più volte al giorno» spiega il dottor Tronconi, «e non perchè ve ne sia bisogno, ma per sentirne la voce, per una confidenza, o un parere. In assenza di quella telefonata potrebbero sorgere dubbi, fantasie catastrofiche o malesseri transitori, quasi che la vita e la salute mentale dipendessero da quella conferma giornaliera, tutta esterna e posta negli altri». Mentre, invece, la propria serenità e il proprio benessere mentale devono nascere da sé stessi e dalla propria interiorità.

Orsola Vetri
© Famiglia Cristiana, 3 agosto 2011
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