Ricominciare
Il  cardinale Angelo Bagnasco, nell’aprire ieri la riflessione comune dei  vescovi italiani riuniti in Assemblea generale, si è rivolto senza  esitazioni «al cittadino nostro fratello (...) interlocutore amato e  cercato» che è incalzato e quasi schiacciato da «una crisi epocale» che  impone di trovare lo slancio per rispondere con «un cambiamento  altrettanto epocale», che investa «modelli di pensiero e stili di vita».
Cambiare,  ridando il giusto posto alla grande «cultura dei legami» e a quella  «del dono» che sono il nostro umanissimo, povero e grandioso antidoto ai  risentimenti e alle violenze disgregatrici, quelle frutto di malvagità e  follia e persino quelle frutto di eventi naturali. Cambiare,  riconoscendo concretamente il rispetto, lo spazio e il ruolo che  meritano sia alla famiglia fondata sul matrimonio e aperta a nuove vite  sia a quella dimensione comunitaria, che accoglie e sviluppa persone e  Stati, e deve essere recuperata con urgenza da un’Europa oggi  palesemente senza radici, senza spinta e senza visione. Cambiare  restituendo rispetto, spazio e ruolo anche al volontariato come  «tirocinio di vita personale e iniziazione alla vita sociale». E  puntando sul lavoro. Anzi sul «lavoro, lavoro, lavoro». Che è il vero  nome della crescita economica, e le assicura un volto umano. Ce n’è  bisogno, scandisce il cardinale, tanto quanto i sacrifici che abbiamo  dovuto fare e ancora faremo. Ce n’è bisogno come secondo tempo del grave  sforzo ricostituente e rinsavente che è oggi guidato con spirito di  servizio – quello stesso spirito che dovrebbe contagiare anche partiti  che si mostrano rischiosamente incerti – dal governo di Mario Monti. Uno  sforzo che ci è piombato addosso quasi di colpo, ma in modo niente  affatto imprevedibile e inatteso dopo gli anni del benessere, o meglio  del consumismo, fondato sul debito. Ce n’è bisogno per la dignità di  tutti e come risposta a un disagio che continua a crescere, in  particolare tra i giovani.
In questo modo, il presidente della  Cei si rivolge a ognuno di noi, nelle nostre distinte eppure  complementari responsabilità. Parla a politici e imprenditori, banchieri  e operai, giornalisti e sindacalisti, funzionari e magistrati,  lavoratori, educatori e sacerdoti... Parla a noi, protagonisti e vittime  di un tempo da vivere con coraggio, lucidità e tenace voglia di  ricominciare nella complicata quotidianità e nella vita spirituale e di  fede. Un tempo che ci sfida a «ricalibrare» noi stessi, le nostre  diverse attività e attese, le regole dell’amministrare e del fare  politica, il rapporto tra i palazzi del potere (tutti, ma proprio tutti)  e l’uomo e la donna, il cittadino e la cittadina, l’equilibrio serio  tra i diritti e i doveri. Un tempo che ci mette severamente alla prova:  c’è da lottare controcorrente per rimettere in piedi, nel verso giusto,  la scala dei «valori fondamentali e fondativi» e per capovolgere  l’attuale devastante e antiumano trend delle scelte, delle false  priorità e delle «ciniche speculazioni» che – ogni giorno di più –  minacciano la vita delle singole persone e dei popoli.
Ricominciare e ricalibrare, insomma, la stessa «idea del vivere personale e collettivo». 
Farlo  proprio in questo tempo difficile, un tempo da affrontare non come  persone sole (decise a chiudersi sempre più nella trincea  dell’individualismo) e non sentendosi isolati, ma riscoprendo il senso e  la forza che, appunto, provengono e quasi erompono dall’essere  «comunità». Farlo nella certezza – come insegna Papa Benedetto,  richiamandoci alla fede in Gesù, che è «fiducia nella fedeltà di Dio» –  che c’è una «speranza affidabile» alla quale riferirsi e che ci sono  uomini e donne di speranza con i quali condividere la fatica per ridare  basi solide e giuste alla "città dell’uomo", che oggi più che mai è qui,  dove si vive, eppure abbraccia l’intero pianeta.
L’uguaglianza –  ci ricorda Bagnasco – è condizione della fraternità». Ricominciare e  ricalibrare, significa anche ridarci misura. Morale senso del limite,  contro ogni tipo di corruzione: dell’azione amministrativa, del buon  diritto, della buona scienza, dello stile personale. Una misura  esigente, che dev’essere ovviamente propria della testimonianza e delle  «iniziative provvidenziali» di quanti, da cattolici, già agiscono o si  propongono di agire nella sfera pubblica nel segno – come ha invocato il  Papa – dell’«altruismo disinteressato». Niente di meno di questo si  attende, e ormai pretende, anche il «cittadino nostro fratello». 				    
            