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Ruini racconta il suo Wojtyla: «Ha vissuto in ascolto di Dio»

Non un monologo né, tanto meno, u­na conferenza. Piuttosto una serie di «pennellate di colore», come le ha definite il presidente delle Acli provinciali di Roma, Cristian Carrara, introducendo l’in­contro di giovedì sera con il cardinale vica­rio emerito Camillo Ruini presso il Centro giovanile «Gp2».

0,1020,452329,00.jpgPennellate impresse sulla tavolozza dei ricordi personali del porpora­to, sotto forma di risposta ad una serie di domande, fino a «ricomporre il quadro» del personaggio Karol Wojtyla nell’imminenza della sua beatificazione. L’attuale presiden­te del Comitato per il Progetto culturale del­la Chiesa italiana, vicario di Giovanni Paolo II per la diocesi di Roma dal 1991 al 2005, ha colto così l’occasione per una rapida carrel­lata fra le tante esperienze vissute con il Pa­pa.

Ruini ha cominciato dal primo viaggio in e­licottero con lui: «Eravamo diretti ai Piani di Pezza: poche persone, sette, in un piccolo spazio; lui pregava profondamente mentre noi chiacchieravamo. Il suo segretario, don Stanislaw Dziwisz, ci disse che potevamo conversare perché tanto non saremmo riusciti a distrarlo dalla preghiera». Questo e­pisodio, allora, sorprese molto il cardinale: egli colse nel Papa una reale vicinanza a Dio e in questo rapporto con Dio individua an­cora oggi la vera santità di Giovanni Paolo II. Ma il primo incontro personale c’era stato già nell’autunno del 1984, quando a cena («La prima volta per me con un Papa») l’al­lora ausiliare di Reggio Emilia fu interpella­to a fondo sul decisivo appuntamento ec­clesiale di Loreto, che si sarebbe tenuto l’an- no successivo. «Era un uomo molto concre­to, di fede pratica e di profonda preghiera – testimonia il cardinale – e in quella fase, del­l’Italia lo interessava il momento ecclesiale, l’atteggiamento della Chiesa, l’azione e l’at­tività pastorale. Voleva una spinta propulsi­va all’evangelizzazione dell’uomo come via della Chiesa e cercava di verificare se la pre­parazione al convegno andava in quella di­rezione o no».

Il tema della preghiera è tornato poi sia quando Ruini ha raccontato della morte del Pontefice («Ha vissuto in ascolto della Paro­la il tempo finale della sua vita terrena»), sia quando ha sottolineato l’attenzione che Gio­vanni Paolo II aveva per tutti i fedeli («Defi­niva la sua una 'preghiera geografica' per­ché passava in rassegna le diverse situazio­ni acute come in un atlante mentale»). E an­cora: «Amava incontrare la gente e non vo­leva che gli si mettesse fretta. Ricordo le gior­nate dell’11 febbraio dedicate alla Messa coi malati: erano circa 600 e li salutava tutti, u­no a uno, era naturale in lui questa solleci­tudine. Lo stesso faceva quando si recava negli ospedali. Lo ha fatto fino ai limiti fisi­ci cui l’ha condotto la sua malattia». Perché è noto, Giovanni Paolo II ha speri­mentato la sofferenza in prima persona «non nascondendola né facendone giusti­ficazione per sottrarsi ai suoi impegni». Rui­ni ha ricordato l’incontro con i giovani a Ma­nila in occasione della X Giornata mondia­le della gioventù, nel 1995: «Si era rotto il fe­more qualche tempo prima ed era costret­to ad usare il bastone; questo lo limitava e gli creava imbarazzo, specie la sera della ve­glia. Ma di quel bastone, elemento di debo­lezza, ne fece un punto di forza: ci giocò, lo ruotò e la sua gestualità entusiasmò i ra­gazzi».

Il cardinale ha poi regalato un’altra pagina dei suoi ricordi raccontando di come il Pa­pa concepisse la povertà: «Giovanni Paolo II viveva da povero, anche se può sorprende­re. Non solo non aveva il senso dell’uso del denaro ma era estremamente modesto: per esempio nella biancheria, metteva quello che gli regalavano. Lo caratterizzava un to­tale distacco per i beni materiali». La spie­gazione è semplice: il Papa non ha mai di­menticato le sue origini né la sua condizio­ne di giovane operaio; da ciò sarebbe deri­vato il grande amore non solo per i poveri, ma anche per il mondo del lavoro manua-­le: «Provava riconoscenza per quei colleghi che tanti anni prima gli avevano permesso, lavorando al suo posto, di risparmiare e­nergie per lo studio». E se naturale è stato l’accenno all’affinità e­lettiva di Giovanni Paolo II con i giovani o al­la sua semplicità di vita, meno noto è il Pa­pa- poeta che a 18 anni compone un Ma­gnificat, parafrasato da Ruini al termine del­l’incontro, per evidenziare come la voca­zione alla santità sia stata sentita dal Ponte­fice ben prima della vocazione al sacerdo­zio: «Questo tuo servo ti loda, Signore, per­ché hai saputo, intagliatore capace, scolpi­re figure di santi».

Michela Altoviti
 
© Avvenire, 30 aprile 2011

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