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Shoah, i testimoni contro la negazione

Quando non ci saremo più, c’è chi ne approfitterà». Parola di Nedo Fiano, numero di matricola A 5405: internato a Fossoli, prigioniero ad Auschwitz, liberato a Buchenwald.

shoahOK.jpgAutore di importanti memoriali, olte che consulente di Roberto Benigni per La vita è bella. Il suo allarme si legge nelle prime pagine di Il futuro della memoria, una serie di conversazioni con i testimoni della Shoah raccolte da Stefania Consenti per le Paoline (il libro verrà presentato sabato mattina, a partire dalle 9.15, presso il Centro Asteria di Milano, in piazzale Francesco Carrara 17). Le previsioni di Fiano non sono rassicuranti: «Ho molto sfiducia in linea generale – confessa nel volume – perché, quando non ci saranno i testimoni, si potranno affermare certe cose».
“Certe cose” è, con ogni evidenza, un riferimento al negazionismo, galassia in apparenza sfuggente, ricostruita invece con estrema precisione da Donatella Di Cesare nel saggio Se Auschwitz è nulla (il melangolo), nel quale si ribadisce, tra l’altro, come i primi a negare l’Olocausto siano stati proprio i nazisti. Il resto, dalle intemerate di David Irving e Robert Faurisson fino alle contestazioni “scientifiche” del sedicente ingegnere Fred Leuchter, non è che la prosecuzione di quella strategia con mezzi di volta in volta differenti. Il libro di Donatella Di Cesare – di cui si è occupata ieri su queste pagine Paola Ricci Sindoni – non è l’unico a richiamare l’attenzione sul problema nei giorni che precedono la Giornata della Memoria. Da Bruno Mondadori, per esempio, è in uscita Abusi di memoria, in cui Valentina Pisanty passa in rassegna le occasioni in cui la Shoah viene negata o banalizzata.
 «La diffusione del negazionismo segue un suo andamento costante – segnala lo storico Alberto Cavaglion, considerato uno dei maggiori esperti dell’opera di Primo Levi –, sono tesi che hanno una loro circolazione perversa rimasta stabile, al netto di qualche ondeggiamento, negli ultimi vent’anni. A risultare preoccupante è invece il diffondersi dell’intolleranza spicciola, del razzismo nel quale ci si imbatte sempre più spesso camminando per strada o viaggiando sui mezzi pubblici. Qui sì che è avvenuto un mutamento di terribile violenza. Pensi a quello che è successo a Firenze, con la strage degli ambulanti senegalesi in pieno centro storico». Sì, ma l’assassino, Gianluca Casseri, era un negazionista convinto... «Certo – ribadisce Cavaglion – e anche Renato Pallavidini, il professore torinese che dispensava i suoi deliri antisemiti via Facebook, non faceva grande differenza tra l’apologia della Soluzione finale e la caccia all’immigrato sotto casa. Quello che intendo dire è che in momenti come l’attuale, con il crescente sentimento di incertezza generato dalla crisi economica, scattano con frequenza sempre maggiore automatismi del tutto irrazionali. C’è una ricerca spasmodica del colpevole, che di solito è l’altro: lo straniero, quello con la pelle diversa. Se poi si parla di finanza internazionale, l’altro diventa la mano nascosta che governa i mercati. E dall’evocazione della lobby allo spauracchio della lobby ebraica il paso è davvero breve».
Concorda con questa analisi l’assessore alle Politiche comunitarie della Comunità ebraica di Roma, Joseph Di Porto, che nella sua veste di legale segue con particolare attenzione le vicende del negazionismo nostrano. «Anche di recente – spiega – abbiamo sporto querela contro una serie di siti internet, tra cui Holy War e Storm Front, che continuano a pubblicare “liste di proscrizione” di cittadini ebrei in uno stile che rimanda alle leggi razziali del 1938. Fatto di per sé odioso, all’origine del quale c’è appunto un atteggiamento negazionista, ampiamente rappresentato all’interno di quei siti stessi. La componente tecnologica è soltanto una delle novità con le quali ci troviamo a fare i conti in questa fase storica. Da un lato l’instabilità economica pare risvegliare lo spettro della “plutocrazia giudaica”, per restare nella terminologia fascista. Su un altro versante, inoltre, dobbiamo misurarci con una società multietnica, all’interno della quale esistono livelli di sensibilità differenti». In che senso? «Anche se l’Italia, a differenza di Francia e Germania, non ha mai ammesso pienamente le sue responsabilità per quanto riguarda lo sterminio degli ebrei, ormai da tempo esiste nella nostra società un atteggiamento di consapevolezza diffusa. Un insegnante che in classe si avventuri in affermazioni negazioniste non passa inosservato e, di solito, provoca la reazione dei genitori. Ma i ragazzi provenienti da famiglie immigrate non sempre nutrono la stessa consapevolezza, né ci si può attendere una risposta altrettanto immediata. Per questo è importante che anche il nostro Paese si doti di una legge che renda possibile perseguire il reato di negazionismo che invece, allo stato attuale, rischia di cadere in una zona grigia, di ambiguità giuridica».
«I negazionisti lavorano in maniera molto sottile, astuta, per cui non avendo elementi validi per sostenere il loro punto di vista si attaccano alla diversità delle testimonianze – sottolinea un’altra grande sopravvissuta alla Shoah, Liliana Segre, nell’intervista rilasciata per Il futuro della memoria –. Ma noi siamo qui a precisare, a smascherare questo gioco in malafede. E domani?». Ieri, intanto, qualcuno ha divelto tre delle «Pietre d’inciampo» che nel cuore del Ghetto ricordano le vittime dell’Olocausto. Segno che negare a parole, purtroppo, è solo l’inizio.

Alessandro Zaccuri
 
© Avvenire, 13 gennaio 2012
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