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Sinodo sulla famiglia, a Pasqua le parole del Papa

L'esortazione post sinodale, a sigillo delle Relazioni del 2014 e 2015, che Papa Francesco sta scrivendo sarà pubblicata prima di Pasqua come confermato ieri, dall'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia.

La Relazione finale del Sinodo 2015 sulla famiglia – ma anche quella del 2014 – è un tesoro prezioso che va ripreso, approfondito, tradotto in scelte concrete. Sbagliato rinviare o addirittura trascurare la lettura del documento, come si sta verificando in alcune comunità, nell’attesa che il Papa si pronunci. Sbagliato perché si tratta di un atteggiamento che non tiene conto di due fattori importanti. Il primo riguarda l’esortazione post sinodale che Francesco sta scrivendo e che sarà pubblicata prima di Pasqua, come confermato ieri durante un incontro in Portogallo, dall’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia.

Tornare sulle relazioni del “doppio” Sinodo è un modo per sentirsi idealmente vicini al Papa in un momento di tensioni e di polemiche sul ruolo della famiglia, sul suo impegno sociale, sulla definizione della sua identità. Inoltre, pensare che il documento firmato da Francesco finirà per rappresentare un netto stacco contenutistico rispetto alle due relazioni finali, significa dimenticare che è stato Francesco stesso a decidere le pubblicazioni dei due testi. E, nello specifico, a chiedere che nei Lineamenta 2015 fosse inserito il testo uscito dall’assemblea ordinaria del 2014. Facile quindi prevedere che l’esortazione di Francesco nasca non solo in continuità con quanto emerso dalla riflessione biennale della Chiesa sulla famiglia, ma che finisca per rappresentare in qualche modo un terzo e definitivo passaggio, in cui gli approfondimenti che saranno presentati secondo la sensibilità e la libertà del Pontefice, risulteranno evidenti soprattutto alla luce di quanto discusso, pensato, concordato dalle due assemblee dei vescovi e infine reso noto dai testi sinodali.

Se n’è parlato nel corso della Consulta nazionale dell’Ufficio Cei di pastorale familiare che si è riunita nei giorni scorsi a Monteporzio Catone, alle porte di Roma. «Il nostro sforzo – ha osservato il direttore dell’Ufficio nazionale, don Paolo Gentili – è stato finalizzato a raccordare la Relazione finale del Sinodo con le cinque vie uscite dal convegno ecclesiale di Firenze alla luce dell’Anno della misericordia. Novità di grande rilievo che ci obbligano ad intensificare la riflessione sulla teologia del matrimonio di fronte alle nuove, urgenti domande, legate al moltiplicarsi della situazioni di fragilità, a cui ogni giorno siamo chiamati a dare risposte non scontate e non univoche».

Una nuova responsabilità di cui ha parlato anche, in una lettura che ha fatto emergere con grande evidenza le linee portanti dalla Relatio Synodi, don Maurizio Gronchi, docente di teologia dogmatica all’Urbaniana, consultore della Segreteria del Sinodo, presente alle due assemblee sulla famiglia in qualità di esperto. Il teologo è partito da una citazione del Vangelo di Giovanni (In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini 1-9) per spiegare che se Cristo è al centro della creazione, quella luce illumina ogni uomo e ogni donna che danno forma all’amore familiare. Il compimento di quella alleanza trova origine nel sacramento del matrimonio ma non esclude situazioni che attendono ancora pieno compimento, come le convivenze, oppure che dovranno trovare evoluzioni adeguate sostenute dalla grazia, come i divorziati risposati.

Non si tratta certo di trovare nella Relatio finalis, e neppure auspicare che potrà comparire nell’esortazione apostolica, alcun paradigma casistico, in cui trovare cioè risposte preconfezionate alle varie situazioni. Piuttosto occorre far riferimento a un nuovo atteggiamento di responsabilità comunitaria in cui ciascuno, insieme agli altri, è chiamato ad un impegno di riconciliazione allargato, in coerenza con lo spirito del Giubileo. Nessuna regolamentazione precettiva ma una pluralità pastorale che, pur nell’unità dottrinale, possa al tempo stesso essere traduzione creativa e fedele di quanto emerso nel “doppio” Sinodo.

A cominciare da quell’impegno missionario che chiude in modo significativo il documento e rappresenta allo stesso tempo uno stacco ideale rispetto alla Familiaris consortio – che terminava con le situazioni difficili – oltre a un recupero della ricchezza del Vaticano II. Orizzonti teologicamente più ampi ma anche un’overdose di coraggio pastorale per evitare di riproporre – e imporre – in modo automatico e ripetitivo modelli e schemi in cui la società fatica progressivamente a riconoscersi.

Luciano Moia

© Avvenire, 28 gennaio 2016

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