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Social street, al servizio del bene comune

Dal gennaio 2014 a questo mese di agosto le “social street”, in tutto il paese, sono passate da 149 a 452. Nel resto del mondo, dagli Stati Uniti ai Paesi Bassi, sono circa 30 e guardano al modello italiano per imparare

Fare la spesa ai vicini anziani, dare ripetizione a qualche studente che fa fatica e, magari, ha anche bisogno di una lavatrice da usare per lavare i vestiti, curare per qualche ora alla sera i bambini piccoli mentre i genitori escono. Insomma aiutarsi, dando vita, così, ad una comunità dove ci si conosce e ci si aiuta a vicenda. Le “social street” sono tutto questo e anche di più. Luoghi di aggregazione dove si festeggiano i compleanni, si formano gruppi di discussione e si va al cinema insieme.

Nate nel settembre 2013, a Bologna, dall’idea di un giovane padre, Federico Bastiani, che cercava compagni di gioco per il figlioletto di 3 anni, le strade quartiere oggi sono diffuse e in continuo aumento ma non potrebbero esistere se non fosse per “Facebook”. A spiegarci questo fenomeno è la dottoressa Cristina Pasqualini. Ricercatrice sociologa nella Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica, alle “social street”, ha dedicato la prima ricerca intitolata “Vicini e connessi”. Condotta con un gruppo di ricercatori e studenti dell’Università Cattolica, si tratta della prima indagine nazionale, estensiva, scientifica e partecipata che ha condotto all’avvio di un “Osservatorio sulle Social Street”.

Alcuni risultati della ricerca sono già comparsi all’interno del “Rapporto sulla città. Milano 2016”, curato dalla Fondazione Ambrosianeum e confluiranno in un “Rapporto sulle social street” che sarà pubblicato nei prossimi mesi. “Le “social street” dimostrano che esiste ancora tanta voglia di comunità e di stare insieme”, spiega la dottoressa Pasqualini, “ma questo desiderio si esprime attraverso le nuove tecnologie, in particolare “Facebook” che diventa il modo di aggregazione dei vicini”. Capita così, secondo la sociologa, “perché esiste più diffidenza rispetto al passato e non è facile conoscere chi ci abita accanto. Usando la rete ci si sente più protetti, si trova il coraggio di avvicinare anche chi non conosciamo. Inoltre avviare un gruppo su “Facebook” ci consente di avere scambi con i vicini, restando, eventualmente, amici virtuali”.

La procedura per avviare una ”social street” è precisa e tutti gli aspetti tecnici sono spiegati sul sito di socialstreet Italia Si avvia un gruppo “Facebook” chiuso e lo si segnala al sito che controlla che gli obbiettivi siano quelli giusti, esclusivamente sociali. “Le finalità del gruppo sono soltanto sociali, di volontariato”, spiega ancora la dottoressa Pasqualini, “L’obbiettivo primario è quello di socializzare con persone del vicinato per venire incontro a singole necessità quotidiane, aiuto concreto, condivisione di attività, scambio di pareri. Non devono esserci finalità di lucro e la “social street” non deve portare avanti visioni politiche, religiose, ideologiche di alcun tipo. Tantomeno dare spazio al razzismo.

L’unico scopo è raggruppare persone che hanno in comune il fatto di essere vicini e residenti nella stessa area”. . Si avvia un gruppo “Facebook” chiuso e lo si segnala al sito che controlla che gli obbiettivi siano quelli giusti, esclusivamente sociali. “Le finalità del gruppo sono soltanto sociali, di volontariato”, spiega ancora la dottoressa Pasqualini, “L’obbiettivo primario è quello di socializzare con persone del vicinato per venire incontro a singole necessità quotidiane, aiuto concreto, condivisione di attività, scambio di pareri. Non devono esserci finalità di lucro e la “social street” non deve portare avanti visioni politiche, religiose, ideologiche di alcun tipo. Tantomeno dare spazio al razzismo. L’unico scopo è raggruppare persone che hanno in comune il fatto di essere vicini e residenti nella stessa area”.

Se il sito decide che il gruppo “Facebook” ha le caratteristiche giuste lo inserisce sul portale” www.social street.it”. Comincia, così, la vita di una nuova comunità. L’idea, negli anni, ha avuto successo e si è diffusa, dall’Italia, anche all’estero, anche se è il nostro paese che fa ancora la parte del leone.

Dal gennaio 2014 a questo mese di agosto le “social street”, in tutto il paese, sono passate da 149 a 452. Nel resto del mondo, dagli Stati Uniti ai Paesi Bassi, sono circa 30 e guardano al modello italiano per imparare. A Milano ne esistono 73: 63 delle quali attive e 10 chiuse. A Milano esistevano già strade sociali nel quartiere Paolo Sarpi che, oggi, conta quasi 5.000 iscritti.

“Il senso di questa esperienza”, è ancora la dottoressa Pasqualini a parlare, “la si trova nelle parole di Federico Bastiani che ha raccontato come, prima di avviare la “social street” di via Fondazza, a Bologna, ci mettesse soltanto 5 minuti per uscire di casa mentre adesso ne impiega almeno 15 perché incontra davvero i suoi vicini. È soltanto, però, grazie alla dedizione e all’impegno dell’amministratore del gruppo che la “social street” può esistere”. La ricercatrice dell’università Cattolica parla di “impegno sociale”. Dice che il fondatore del gruppo deve avere “amore” e “vera dedizione” per la “social street”, che parte solo se c’è un desiderio autentico di incrementare il capitale sociale e spirito di servizio, ovvero qualcuno disposto a regalare almeno due o tre ore al giorno agli altri.

Perché il gruppo Facebook della “social street” va continuamente rinnovato e ravvivato con idee e iniziative che rafforzino i rapporti tra i partecipanti. Conclude Pasqualini: “A ben vedere, le “social street”, probabilmente senza esserne consapevoli fino in fondo, mettono in pratica i principi della Dottrina sociale della Chiesa: Bene comune, Solidarietà, Dignità della persona umana, Sussidiarietà. Questi sono tutti valori presenti in queste esperienze”.

“Possiamo già vedere alcune ricadute positive del fenomeno sui territori coinvolti, sui legami sociali, sulla qualità della vita delle persone”, dice la dottoressa Pasqualini, “Nel 2015 abbiamo realizzato un’inchiesta usando Internet dalla quale è emersa che, a Milano e provincia, coloro che sono iscritti alle “social street” mostrano alti livelli (oltre il 70%) di impegno nei confronti della propria via e di attenzione per ciò che vi accade. Il 58% ha anche ampliato il numero di conoscenze tra i vicin. L’assessore al Welfare del Comune di Milano, Pierfrancesco Majorino, ha dato vita, per oltre un anno, a tavoli partecipati con le “social street” il cui esito sono la delibera dell’aprile 2016 che istituisce un registro per i Gruppi informali di cittadinanza attiva”.

Silvia Guzzetti

© Avvenire, 9 agosto 2016

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