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Sposarsi in chiesa: perché?

Far cogliere agli sposi il rito che vivono è già mostrare che qualunque scelta morale non viene imposta dall'esterno, ma è un'esigenza frutto dell'Amore che agisce nella coppia

Matrimonio Gubbiotti 08.JPG"Sposarsi in chiesa è una bella fregatura...": il nostro parroco (padovano di nascita, nove anni di ministero a Milano, i religiosi, si sa, si spostano) non ha ancora finito di stupirci, in positivo. E stavolta è alla celebrazione del matrimonio di M&M, una coppia di amici che vivono da un po' di anni in parrocchia e prendono parte alla messa delle famiglie al sabato sera: un connubio fra Trentino e Toscana che si è rivelato ancor di più alle Letture, alla preghiera dei fedeli o all'offerta dei doni.

Eh, sì, il matrimonio cristiano non è uno scherzo, un qualcosa che si fa per compiacere genitori e nonni o peggio per mettersi a posto la coscienza. Si deve esserne convinti perché, se l'hai ben compreso, è una decisione che non ti fa dormire la notte, un po' come quella di farsi prete oggi. Perché è come dire che da questo momento non si è più coppia che si ama, ma si è in tre: perché Dio sarà sempre in mezzo, alla faccia di privacy o intimità. Non che Dio prima non ci fosse, figurarsi, era lì da prima che nasceste. Ma adesso siete voi ad averlo chiamato e c'è stato persino un papa che ha definito la famiglia costituita col matrimonio cristiano, "chiesa domestica" perché "dove due o tre sono riuniti nel mio nome ...". Così la vostra storia diventa da questo momento una "storia sacra" perché abitata da Dio.

Ma c'è molto di più: se avete chiamato Dio come "terzo incomodo", significa essere convinti che lei/lui non sono Dio, ma sono comunque la sua immagine, il suo dono. E chi avrebbe il fegato di essere scortese, arrabbiarsi, tenere il muso lungo, percuotere, tradire Dio o la sua immagine? Al contrario ogni gesto, ogni comportamento buono non sarete voi ad averlo compiuto da soli - e magari sentirsi bravi e belli - ma sarà stata la mano di Dio a guidarvi. Perché è lui l'Amore che vi ha unito mediante colui che è l'amore per eccellenza, dal momento che tiene insieme la Trinità: lo Spirito che è scende oggi qui come un dono speciale e che vi renderà capaci di amarvi "come" Dio ci ha amati. E chi volterebbe le spalle tra qualche mese o anno a un dono così? Ogni scelta, ogni avvenimento sarà sempre vissuto alla sua luce e sarà comunque un "bene". Ma se pensiamo sia solo una bella favola che raccontano i preti per default, è meglio non sposarsi in chiesa e si sarebbe molto più liberi di far tutto da soli o al massimo in due. Invece ora non siete più voi a vivere, ma è Cristo che vive in voi, da oggi "insieme".

Da alcuni commenti al termine dell'ultimo canto - nel coro siamo tutti sposati, e in tre casi siamo marito e moglie - l'impressione è che quest'omelia piuttosto "informale" (ma homylein in greco significa "conversare" non altro) abbia fatto del bene. Immaginatevi a noi che celebravamo in quel pomeriggio l'anniversario del matrimonio rinnovando con loro le promesse.

Una liturgia "bella" e partecipata, anche dalla dozzina di bambini presenti. Gli sposi hanno scelto la nuova formula del Rito 2005 "Io accolgo te ..." che certamente esprime maggiormente la volontà personale, rispetto al classico "interrogatorio". E anche la "velazione" al momento della preghiera di benedizione: un'altra novità dal 2005, mutuata dalla chiesa ortodossa, un segno della comunione che li avvolge con la sua ombra, per camminare "secondo lo Spirito" dal momento che il matrimonio è una via alla santità (alla stregua dell'ordine sacro), che passa attraverso le realtà tipiche dell'esistenza coniugale. Perché il sacramento non è qualcosa che si "aggiunge" dall'esterno: è lo stesso patto coniugale che viene "assunto" da Dio. Sebbene i documenti della Chiesa parlino a più riprese della bellezza dell'amore coniugale, il messaggio che molti percepiscono ancora oggi è che ognuno vada verso Dio malgrado la propria sessualità e il suo esercizio e non attraverso di essa (è il solito dramma della valenza del corpo, tutto da riscrivere: diamo spazio alla vita, ma non alla gioia del concepimento o dell'atto in sé e per sé).

Qualunque scelta morale non viene allora imposta dall'esterno, ma è un'esigenza frutto dell'Amore che agisce nella coppia, trasformando la loro vita in un continuo "sacrificio spirituale", cioè "rende sacra" ogni cosa, non sulle nuvole, ma nel concreto quotidiano animato dallo Spirito.

Paul Claudel scriveva che le celebrazioni insegnano più dei libri: dopo un matrimonio così siamo ancora più convinti della scelta di rivoluzionare un po' dallo scorso anno il corso decanale di preparazione al matrimonio scandendo gli incontri sul Nuovo Rito 2005 (sono oltre 10 anni che le serate con gli esperti li organizza l'ente pubblico e in diocesi si fa "altro"). Sgombrato il campo che "rito" non è la messa (e non è così scontato, ma è molto chiara la scelta CEI di poter scegliere anche la celebrazione del matrimonio al di fuori dell'eucaristia), con le coppie si riflette insieme in base anche alle loro attese.

Si parte dal dialogo della volpe con Piccolo Principe: "cos'è un rito?". Esistono riti laici (per chi ha figli anche il momento della buonanotte) e riti religiosi. C'è un celebrare attraverso segni che ri-velano (tolgono il velo) e re-inviano (diventano trasparenti). Si celebra la vita di figli di Dio, diceva padre Pelagio Visentin a Praglia, uno che di liturgia se ne intendeva. E anche se il "don" che ci aiuta è teologo "made" in Gregoriana (o forse è proprio per quello), non si tratta di offrire un percorso di catechesi o di studio teologico, quanto piuttosto alcuni spunti per far conoscere "il lieto annuncio di Dio sull'amore umano" ("una Parola per noi" il tema di un incontro 2012) e la realtà di una Chiesa che è innanzitutto "madre" che li accoglie in festa, senza fare domande.

Che siano coppie conviventi, talvolta con figli, non ci crea problema: hanno chiesto di essere lì e, vista l'età sopra i 30, senza alcuna forzatura (certo si configura sempre di più una sorta di "matrimonio a tappe" come lo definiva don Dianin ad un incontro ATISM).

Che i matrimoni in chiesa siano in calo da anni (a qualcuno è sembrata una "rivelazione" delle scorse settimane), anche questo non dovrebbe creare problema: prima la fede, poi tutto il resto. E se poi aggiungiamo la valenza ecclesiale del matrimonio cristiano (mica un fatto privato tra parenti e amici, ma un autentico ministero quello della famiglia cristiana che non potrà mai chiudere la porta di casa e starsene una buona volta "in pace"), ma perché allora sposarsi in chiesa?

Maria Teresa Pontara Pederiva

© www.vinonuovo.it, 2 gennaio 2013

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