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Steve Jobs, meglio l'uomo del santo

Profeta, messia, autore di un nuovo "vangelo" e dei nuovi "dieci comandamenti". Una specie di culto che fa torto all'uomo Steve Jobs, al suo genio e alla sua sofferenza di malato.

jobs_2058260.jpgLa scomparsa di Steve Jobs, imprenditore di successo ma soprattutto uomo che ha guardato in faccia la malattia con coraggio e dignità, ha provocato dentro e fuori dal web un grande tributo alle sue indubbie capacità. Qualcuno, però, ha un tantino esagerato.

     Lo hanno definito “profeta di una nuova religione”, “cristo del transumanesimo”, “messia dei nostri giorni”, Wired Italia addirittura lo ha già fatto risorgere come “eterno genio informatico”. A questo punto sembra quasi una conseguenza logica che “la bibbia della rivoluzione digitale”, come aveva titolato il Tg1 in occasione dello sbarco di Wired in Italia, sia in edicola con uno speciale dossier: “il vangelo secondo Steve Jobs” e che le sue regole per il successo abbiano preso la forma, grazie a Newsweek, di “dieci comandamenti”.

Vista l’insistenza sul tema viene da chiedersi se non vi siano elementi che favoriscano questo accostamento tra l’esperienza religiosa e la parabola del genio californiano. Di certo colpiscono la ritualità, il carisma, la consegna del segreto, lo sguardo che penetra il futuro e la capacità in parte di predirlo. La Bbc ha voluto scendere ancora più in profondità sottoponendo il cervello di Alex Brooks, un fan infatuato di Apple, a vari test neurologici nel corso del documentario Secrets of the Superbrands per verificare le sue reazioni di fronte ad alcuni dispositivi della casa di Cupertino. La sorpresa, almeno per i neuroscienziati, è stata quella di rintracciare reazioni neurali analoghe a quelle dell’esperienza mistica o risposte simili a quelle che i fedeli di una religione provano nel vedere oggetti sacri. 

     Alex Riley, il giornalista che ha curato il documentario, è convinto addirittura che ci sia una somiglianza tra il popolo che accorre al richiamo della mela morsicata e quello convocato dalla presenza del Papa. Arriva ad ipotizzare che la casa di Cupertino favorisca la crescita di questo culto planetario alimentandolo con strategie scaltre e mirate.

     Che Steve Jobs fosse più o meno consapevole di sostenere questo subdolo meccanismo non ci è dato sapere. Di certo negli ultimi otto anni lo abbiamo scoperto malato e vulnerabile, più che semidio, convinto che la legge dell’amore superi ogni abbaglio promesso dalla tecnica o dall’economia. Questo, implicitamente, è il testamento che ha lasciato ai suoi seguaci.

don Marco Sanavio
 
© Famiglia Cristiana, 7 ottobre 2011
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