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Tettamanzi: accettare la sfida d'incontrare l'uomo fragile

XXV Congresso Eucaristico Nazionale. L'Eucaristia, che «mette al centro la persona nel mistero sempre eccedente che abita la sua umanità», è «la via che Dio ci offre per vincere l’isolamento e l’emarginazione»

tettamanzi2.jpgBinari morti della vita ai quali «l’individualismo esasperato di alcune forme della cultura attuale» sembra avere «consegnato» non solo «coloro che soffrono nel corpo e nello spirito», ma anche «quanti si prodigano per una nuova concezione della cura e dell’assistenza ai malati, ai disabili, agli anziani e ai morenti».

È stato il cardinale Dionigi Tettamanzi, amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Milano, a definire in questo modo il ruolo del sacramento dell’Eucaristia, «segno della pochezza di ciò che l’uomo può offrire da se stesso a Dio», e nel quale «si nasconde la potente forza della Misericordia del Signore: l’abbraccio tenerissimo del Crocifisso risorto». Nell’omelia della Messa vespertina celebrata nella cattedrale di San Ciriaco, ad Ancona, che ha chiuso la terza giornata del XXV Congresso eucaristico nazionale, dedicata al tema della fragilità umana, il porporato ha insistito su come «in realtà non sono soltanto i malati a sperimentare non poche volte la solitudine, l’indifferenza e l’estraneità, ma anche i medici, gli operatori sanitari e i pastori d’anime che non si rassegnano agli attuali imperativi dell’efficienza biotecnologica, della produttività aziendale, della impermeabilità dei rapporti tra chi cura e chi viene curato e della marginalizzazione della dimensione spirituale della vita del sofferente».

La verità, per Tettamanzi, è che «non siamo soli nel soffrire e nel lenire le sofferenze, nel chiedere aiuto e nel prestare soccorso, nel cercare un senso per la nostra malattia e la fine dei nostri giorni e nell’offrire una compagnia a chi non riesce a scoprire il volto autentico della vita e della morte». E proprio l’Eucaristia «è l’antidoto potente contro la solitudine dell’uomo in cammino, dell’uomo stanco e deluso, dell’uomo che cerca un compagno di viaggio quando scendono le tenebre e si fa sera».
Infatti «la comunione eucaristica – ha osservato Tettamanzi – va oltre la fraternità ecclesiale, perché spalanca al massimo l’orizzonte della nostra solidarietà umana in Cristo, sino a raggiungere anche coloro che non credono in lui. In quanto figli "reali" di Dio, in forza della "reale" presenza di Gesù Cristo nel suo corpo che è la Chiesa, anima dell’intera umanità, possiamo sentirci ed essere realmente fratelli di ogni uomo che incontriamo nel cammino della vita e che cerca insieme a noi conforto, aiuto e speranza».

Una presenza, ha sottolineato ancora il cardinale, che si fa vissuto quotidiano in quanto «l’opera di Dio, la fede, quando è vissuta con intensità e generosità diviene feconda, si fa generatrice di innumerevoli e multiformi gesti d’amore, che la dottrina della Chiesa ha raccolto attorno al duplice settenario delle opere di misericordia corporale e spirituale». Opere, ha spiegato, «che nascono dal desiderio di imitare, per quanto possibile all’uomo, la sconfinata Misericordia di Dio verso ciascuno di noi. A coloro che praticano la medicina e si prendono cura dei sofferenti è affidata la sfida di declinarle in stili di carità capaci di incontrare le nuove fragilità e povertà dell’uomo contemporaneo». E ha ricordato, in proposito, Madre Teresa di Calcutta, sulle cui labbra «la parola "carità" dice non un amore "nostro", scaturito spontaneamente dal cuore dell’uomo, bensì un amore "ricevuto", radicalmente nuovo, inimmaginabile: è l’amore stesso di Dio che ci raggiunge gratuitamente in Gesù Cristo, generando in noi l’energia spirituale di rispondere con il medesimo cuore di Cristo».

Salvatore Mazza
© Avvenire, 7 settembre 2011
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