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Un anno con Francesco il Papa che ci ha cambiati

Il Papa? Un po' don Camillo e un po' Robin Hood, ma intanto preghiamo di più, andiamo di più a Messa e facciamo più volontariato

Francesco, il Papa che apre le porte della Chiesa

Il Pontefice venuto "dalla fine del mondo" sbalordisce e appassiona. Ai tradizionalisti non piace, ai fedeli sì.

L’ultima accusa è di proporre un magistero “liquido” che porta confusione nel cuore dei fedeli. Papa Francesco ai conservatori cattolici proprio non piace e nemmeno piace il suo metodo, quel vedere, ascoltare, pregare e decidere, che in una parola va rubricato con il concetto di discernimento, proprio di Bergoglio e di ogni gesuita.
Papa Francesco al giro di boa del primo anno di Pontificato ha sbalordito e ha meravigliato. Ha conquistato la gente con un semplice buonasera e poi con quell’augurio di buon pranzo con cui chiude l’Angelus alla domenica. Sostenere che ha cambiato il corso della storia della Chiesa cattolica è esagerato.
Ha cambiato la percezione nella gente della Chiesa, ha creato condivisione spiegando che il tratto di Dio è avere passione per ogni persona. Ha uno stile diverso e qui entra in gioco il suo carattere e la sua cultura latinoamericana, anche dal punto di vista ecclesiastico. Si preoccupa meno delle strutture, perché la Chiesa latinoamericana è più giovane e non ha alle spalle strutture e tradizioni millenarie.

Ha messo in movimento la Chiesa e ha avvisato che le porte delle Chiese vanno aperte non per farvi entrare il mondo, ma per far uscire il Vangelo. Stile latinoamericano, diverso da quello europeo. Eppure non dice cose che dovrebbero stupire. Se ciò accade e quindi molti si stupiscono, dentro la Chiesa, allora forse è perché ci siamo tutti scordati che il Concilio aveva detto esattamente queste cose. Bergoglio non è cambiato da quando è Papa. La cosiddetta “grazia di Stato” non lo ha trasformato. Lo si è visto nelle scelte che ha fatto a cominciare da quella di lasciar vuoto l’appartamento papale. Fa il prete prima che il Papa, anzi fa il Papa perché fa il prete.
E il magistero è quello del sacerdote, che attribuisce importanza alla predicazione con le omelie quotidiane di Santa Marta. Ha fatto sapere nel colloquio con il direttore del Corriere della Sera che l’adulazione e la descrizione di lui come una sorta di superman lo infastidisce, arrivando a dire che l’idealizzazione sfiora l’aggressione.

Ma glielo hanno fatto notare gli altri, per lui tutto è normale. Il pesce di solito non vede l’acqua in cui nuota. Non si preoccupa nemmeno molto di come vengono interpretate o accolte le sue parole. Ha rilasciato un’intervista al fondatore di Repubblica Eugenio Scalfati, il quale, pare, ha riportato il pensiero del Papa non troppo fedelmente. Ma non c’è stato alcuna scandalo e alcuna precisazione. Quando si sta in mezzo alla storia e si cammina con la gente si corre sempre qualche rischio. Ma è il rischio del Vangelo, riassunto nella parabola dei talenti: solo chi non gioca non sbaglia e chi non mette a frutto ciò che gli è stato donato rischia la condanna eterna.
In questo anno ci ha abituati ad un linguaggio nuovo. Non è assolutamente facile stare dietro alle sue battute e al suo stile oratorio intrecciato di metafore e di parole che si trasformano subito in immagini. Sono frasi semplici, ma sono anche le più difficili da accettare: pastori con l’odore delle pecore, Dio spray, cristiani da salotto o da pasticceria, preti farfalla.
Ha usato con sapienza perfetta l’ironia come quando ha detto che “c’è il dubbio che le guerre servano per vendere le armi”. Ha proposto analisi drammatiche sulla globalizzazione e ha parlato di cultura dello scarto, perché lui viene dall’unico Paese al mondo che ha dichiarato default, che è fallito per via della cattiva politica e della cattiva globalizzazione e quindi sa di cosa si parla. E ha detto sempre tutto con una facilità di comprensione per l’opinione pubblica mondiale talmente elevata che ha dato fastidio forse molto più di quanto non avvenne per Wojtyla al tempo delle critiche sul marxismo e sul capitalismo o dell’opposizione alla guerra del Golfo.

Bergoglio per la gente è il Papa della porta accanto. Eppure dopo un anno Bergoglio è diventato anche un interlocutore globale, capace di rimettere in circolazione il linguaggio di Gesù. Qualcosa di simile era accaduto con Papa Giovanni XXIII. Dunque c’è qualcosa di più profondo di un’ empatia semplicemente mediatica trascinata dai social network. Tutto sta a vedere se il sentimento di simpatia per Papa Francesco è anche simpatia per la Parola del Vangelo e si tradurrà in un cambio nel cuore degli uomini e delle loro istituzioni per rendere migliore il mondo.

Alberto Bobbio

© Famiglia Cristiana, 11 marzo 2014

 

«Gli oppressi gli stanno a cuore più che a Robin Hood»

«La gente sente in lui chi afferma i diritti, difende i più deboli, proclama la giustizia», commenta padre Maurizio Patriciello, il sacerdote al fianco delle vittime nella Terra dei fuochi.

Il mondo non è la foresta di Sherwood. Né Jorge Mario Bergoglio tira con l’arco per risolvere i problemi. Anche se i poveri e gli oppressi stanno a cuore a lui come e più che a Robin Hood. Non è strano che la gente identifichi il Papa come amico degli ultimi. Sente in lui chi afferma i diritti, difendei più deboli, proclama la giustizia.

Accadde un anno fa, lo sappiamo. Il Signore ha visitato il suo popolo. Volle chiamarsi Francesco. «Buonasera», ci disse, e noi capimmo che una nuova era stava per iniziare. Francesco ci abituò fin da subito alle sorprese. Sulle sue labbra le verità, da sempre credute e praticate,cominciarono a rifiorire. Alle parole ha unito una gestualità che è stata apprezzata dagli uomini del nostro tempo.Se alcuni simboli, pur preziosi, si fanno pesantemente afoni per la mentalità corrente, non c’è problema a metterli in soffitta. 

Tutto serve, ma niente è indispensabile. È Cristo che deve essere predicato. Il Vangelo cammina con l’uomo di ogni tempo e chi lo annuncia deve tenerne conto. In questo anno, Francesco non si è inventato niente, non ha cambiato niente del prezioso deposito che è chiamato a custodire.

Padre Maurizio Patriciello

© Famiglia Cristiana, 11 marzo 2014

 

«Vicino alla gente, proprio nello stile di don Camillo»

«Ma il carattere è molto diverso, lui era rissoso, Bergoglio è paziente», dice don Evandro Gherardi, il parroco di Brescello, dove sono stati girati i film della saga tratta dai romanzi di Giovannino Guareschi.

Di sè don Camillo diceva: «Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro». Bergoglio ripete di continuo:. «Io faccio il parroco, mi piace».

Nel paesino di Brescello, provincia di Reggio Emilia, dove  sono stati girati diversi film della serie Don Camillo e Peppone, don Evandro Gherardi, parroco di San Genesio, sorride: «Il paragone tra i due ci sta, certo, anche se ... ».
Cosa non la convince? «Dai libri di Giovannino Guareschi emerge un don Camillo dal carattere un po' rissoso; era un uomo di confronto, talvolta pure di scontro. Con Peppone battagliava di continuo, anche se se poi,  sotto sotto, si volevano bene.  In papa Francesco, invece, vedo un uomo di grande dialogo, di tolleranza profonda, un vero apostolo della misericordia ». 

E le analogie tra i due quali sono? «La vicinanza concreta alle persone, come fa il Papa che attraverso gesti nuovi, che vanno oltre il protocollo, si fa prossimo ai fratelli più sfortunati. Penso all’episodio di don Camillo quando aiuta la sua gente colpita dall’alluvione o quando fa da mediatore, assieme a Peppone, tra due famiglie di orientamento politico opposto i cui figli si sposano».

Antonio Sanfrancesco

© Famiglia Cristiana, 11 marzo 2014

 

«La rivoluzione di un uomo sempre aperto al mondo»

«Più che al Poverello d’Assisi», riflette lo storico Franco Cardini, «papa Bergoglio può essere accostato a san Francesco Saverio, a padre Matteo Ricci o, soprattutto, a Giovanni Paolo II».

Francesco d’Assisi e Francesco papa. L’accostamento è allettante, quasi inevitabile, ma dal punto di vista storico, spiega Franco Cardini, docente di Storia medievale, non regge affatto.

Perché, professore? «Capisco la tentazione del paragone,ma la risposta alle esigenze nuove della Chiesa Francesco la interpreta da semplice fedele il quale, a un certo punto, corre in aiuto a una Chiesa guidata da un papato potentissimo, ma in profonda crisi spirituale, proponendo un nuovo modo di essere cristiano. Il primato della letizia, l’idea di conformarsi a Cristo non c’erano prima di lui, trionfavano regalità e potere. Credo che la rivoluzione di Francesco sia un po’ inarrivabile. Il Poverello, peraltro, non volle mai entrare nell’istituzione, non si fece ne anche prete. Bergoglio deve anche lui rinnovare la Chiesa fiaccata da tanti scandali, ma deve farlo da capo dell’istituzione,in prima persona. Le funzioni sono molto diverse».

A chi accosterebbe Bergoglio?«A grandi figure di gesuiti come san Francesco Saverio o padre Matteo Ricci con i quali condivide un’apertura diversa verso il mondo, una volontà di convertire non con forme, anche dolci, di costrizione, ma attraverso una convergenza tra cristianesimo e altri modi di intendere il sacro che è un tratto tipicamente gesuita. Francesco ha dato prova di questa sensibilità. Poi c’è l’azione che sta portando avanti nella Chiesa per la quale si può avvicinare ai Papi riformatori dell’XI o del XVI secolo, i quali hanno agito nel senso di imporre e portare la Chiesa al centro del mondo. Oggi non è questo l’obiettivo, bisogna fare i conti con il processo di secolarizzazione e con le realtà emergenti che non sono cristiane o cattoliche. Il paragone più calzante è con un altro Papa, però».

Quale?«Papa Francesco risente della grande intuizione di Giovanni Paolo II per il quale i cristiani, oggi, non possono pretendere di essere l’unico centro del mondo, ma possono piuttosto essere “sale del mondo”. Questo avvicina molto Bergoglio al Papa polacco il quale ha dato un senso di profondo rinnovamento al terzo millennio».

Antonio Sanfrancesco

© Famiglia Cristiana, 11 marzo 2014

 

«L'ho disegnato come Superman per affetto»

Parla Mauro Pallotta, che ha realizzato il murales "Super-pope" in via Plauto, nel rione di Borgo Pio, poco distante dal Vaticano. Il 26 febbraio l'artista ha incontrato il Papa cui ha donato una riproduzione dell'opera. «Non mi ha detto nulla, ma mi ha sorriso».

Non si sente una star, papa Francesco, ma una persona normale. Né vuole essere mitizzato in alcun modo. Ma non era questo l’intento che ha mosso l’artista romano quarantunenne Mauro Pallotta quando ha realizzato in via Plauto, nel rione di Borgo Pio limitrofo al Vaticano, il murales “Super-Pope”, rimosso dal Comune per motivi di «decoro ambientale».

Ricevuto dallo stesso Bergoglio mercoledì 26 febbraio, al termine dell’udienza generale, lo street artist ha donato al pontefice una riproduzione di quell’opera: «Era il mio sogno poterglielo regalare; ho preparato una versione su una tavoletta di legno grezzo. Non ho scambiato parole con il Santo Padre, ma nel momento della consegna del dono lui ha sorriso divertito e mi ha fatto una carezza sulla testa. È stato emozionante, specialmente guardarlo negli occhi e osservare il suo sguardo puro e pieno di vitalità».

Per l’artista «Francesco è “Il Papa”: il suo corpo, i suoi occhi, le sue parole e principalmente le sue gesta sono quelle che ho sempre creduto dovesse avere un Papa. In un solo un anno di pontificato è stato in grado di avvicinare la Chiesa alla gente con un’empatia e un entusiasmo grandiosi. Sta usando i suoi poteri verso il bene, con i fatti, semplicemente», spiega.

Nato e cresciuto a Borgo Pio, il pittore ha usato una tecnica particolare: smalti e spray sopra una texture di lana d’acciaio. «Rappresentare papa Francesco nelle vesti di un super-eroe è stato naturale. Credo che quest’immagine sia piaciuta tanto perché, con un disegno semplice e ispirato a Superman, sono riuscito a rendere visibile su carta semplice – attraverso colori acrilici e linguaggio grafico – un’idea che in molti avevano già dentro».

Sui social network Pallotta ha ricevuto migliaia di commenti provenienti da ogni parte del mondo, positivi nella maggioranza dei casi. I complimenti più numerosi? «Sono arrivati da persone non credenti ma di diverse fedi, che hanno guardato con un sorriso al mio gesto, perché probabilmente condividevano con me l’idea che questo Papa sia in prima di tutto un uomo buono e un simbolo di positività».

Laura Badaracchi

© Famiglia Cristiana, 9 marzo 2014

 

Il Papa: «Sono una persona normale»

Non ci sta. Jorge Mario Bergoglio ha preso nettamente le distanze da ogni possibile forma di "papolatria". Certe rappresentazioni ideologiche sono aggressioni, ha detto citando Freud. Così come, ha precisato, è offensivo vedere in lui una star, una specie di superman...

Lui la chiama “francescomania” e si sa che non gli piace. Lo ha detto nell’intervista al Corriere delle Sera addirittura citando Sigmund Freud per il quale ogni idealizzazione sfiora l’aggressione. Jorge Mario Bergoglio ha in questi mesi sempre ripetuto di essere una persona normale e di fare gesti normali.

Eppure proprio su questo hanno insistito il sistema dei media e le regole del gioco. Non si era mai visto un papa che saliva sull’aereo con la borsa a mano, poiché l’ufficio di romano pontefice era collocato nell’immaginario della gente in una dimensione di maestosità lontana dalla preoccupazioni quotidiane. La normalità di Bergoglio è diventata così “straordinarietà” per il Papa.

Oggi si rischia tuttavia che l’empatia diventi papolatria, una sorta di idolatria con al centro il Papa. Finora  Francesco non aveva pubblicamente avvisato che non gli piaceva. Adesso lo ha fatto, forse perché ci si sta pericolosamente avvicinando al punto dove diventa più importante l’uomo Bergoglio che le cose che dice, cioè una comunicazione rinnovata e appassionata del Vangelo.

Ci sono molte ragioni interne ed esterne alla Chiesa. Bergoglio in questi mesi è diventato un leader globale, per mancanza di concorrenti. E’ riuscito nell’impresa di ridare credibilità ad una istituzione che appariva in crisi e non si è trattato solo di qualcosa di mediatico, anche se i media, compresi quelli social, sono i primi responsabili dell’attribuzione a Benedetto XVI di ogni guaio e al cambio di pontificato e quindi a papa Francesco di ogni loro soluzione.

Insomma qualcosa è successo, perché si è rimesso in circolazione il linguaggio di Cristo in modo più semplice e sereno. Ora il problema è il mito e gli equivoci che può generare la considerazione di una sorta di superuomo alla guida della Chiesa. Per ora con Francesco ci si è sintonizzati bene, al punto che la sua immagine ha un buon riscontro di marketing .Più tempo e uno spirito più attento serviranno per cogliere le indicazioni sulla strada che invita a percorrere con in mano il Vangelo.

Certamente papa Francesco marca rotture con molti schemi sul papato, sulla Chiesa e anche sulla concezione ecclesiastica della storia umana. Sa bene tuttavia che l’interpretazione di tutto ciò può sfiorare l’ingenuità negli interlocutori meno consapevoli della storia bimillenaria della Chiesa. Bergoglio è consapevole dell’ambiguità possibile delle ricadute dei suoi gesti e delle sue parole e dell’uso strumentale. Ma sa che ciò fa parte delle regole del gioco della storia. Forse ci abituerà a suonare un avviso quando si sta un po’ esagerando.

Alberto Bobbio

© Famiglia Cristiana, 9 marzo 2014

 

Casa Santa Marta: la scelta di stare tra la gente

Papa Francesco ha deciso di non abitare negli appartamenti papali ma di rimanere nello stesso residence che l'aveva accolto, più di un anno fa, durante il Conclave. Una scelta controcorrente, ma coerente con il desiderio del Pontefice di vivere una vita quanto più possibile comunitaria.

Da un anno Casa Santa Marta è la residenza di Papa Francesco. Bergoglio ha deciso immediatamente dopo la sua elezione di non abitare l’appartamento papale nel palazzo Apostolico come aveva fatto tutti i Papi prima di lui. E’ stato un segno che molti hanno letto come la massima discontinuità del pontificato di Francesco. Bergoglio ha sempre lasciato dire.
Poi un giorno durante l’udienza alle scuole italiane dei gesuiti ha spiegato perché: “Io ho la necessità di vivere fra la gente, se vivessi solo, forse un po’ isolato, non mi farebbe bene”. Così è rimasto a Santa Marta. Sulla porta ci sono due guardie svizzere perché loro per ufficio devono vigilare sulla persona del Papa e dunque sulla residenza del Papa e si sposta la residenza si spostano anche loro. La curiosità sulla casa del Papa è grandissima.
Ci sono al mondo solo due residenze di capi di Stato sui quali si spreca così tanta curiosità: la Casa Bianca e la Casa del Papa. Con Bergoglio la casa del Papa è cambiata, ma non è venuta meno la curiosità. Prima si favoleggiava sull’appartamento pontificio. Ora accade per Santa Marta.

Domus Sanctae Marthae, questa la sua dicitura esatta, è sostanzialmente un albergo, o meglio un residence. L’idea di costruirla venne a Giovanni Paolo II per rendere più confortevole la vita dei cardinali durante il Conclave. L’uso delle stanze di santa Marta a questo scopo sono previste dalla Costituzione apostolica Universi dominici gregis, promulgata da Wojtyla nel 1996, che cambiò le regole che governano i Conclavi.
Tra esse anche quelle che riguardano la residenza. Nel resto del tempo la Domus è un residence. Vi abitano sacerdoti e monsignori che lavorano in Vaticano. Ma si può anche prenotare per pochi giorni. Lo fanno vescovi che vengono in Vaticano per incontri e colloqui, alcuni vescovi italiani durante le assemblee della Cei. Funziona né più né meno come un qualsiasi altro albergo. Anche adesso che vi abita il Papa.

La casa è gestita dalla suore Figlie della Carità di San Vincenzo de’Paoli e ha un direttore, mons. Battista Ricca. In tutto ci sono 109 suites e 20 camere singole. E’ stata costruita agli inizi degli anni Novanta, quando venne abbattuto il complesso precedente che risaliva nel 1891.
I lavori, iniziati nel 1992, suscitarono le proteste di “Italia Nostra”, perché l’edificio toglieva l’unica vista da fuori del Vaticano al complesso della basilica di san Pietro. Non fu una polemica da poco perché coinvolse il Comune di Roma e il governo italiano, finché nel 1993 il Consiglio internazionale dei monumenti e dei siti (Icomos) un organismo internazionale incaricato di vigilare sulla protezione di siti e monumenti di interesse mondiale, e l’Unesco dettero parere favorevole al nuovo fabbricato dentro le Mura vaticane. Il progetto è stato preparato dall’architetto americano Astorino.
La Domus sarebbe costata circa 20 milioni di dollari, pagati all’epoca da un benefattore americano. I piani sono cinque più un seminterrato. Il Papa abita nella suites 201, dove si trasferito dopo il Conclave, durante il quale gli era stata assegnata per sorteggio la stanza 207. Il regolamento del personale laico della Fondazione Domus Sanctae Marthae è stato promulgato nel 2010 ed è pubblicato sul sito della Santa Sede.

Alberto Bobbio

© Famiglia Cristiana, 12 marzo 2014