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Un Papa che ci sfida sull'idea del potere

Per chi ha una visione provvidenziale della vita e della storia, non è un caso che questa lezione ci arrivi proprio mentre in Italia stiamo vivendo una fase tanto avvilente

papa-benedetto-xvi-Medium-1024x682.jpg«Alle ore 20 di oggi termina il pontificato di Benedetto XVI, 265.mo Papa, 264.mo successore di Pietro. Dal 19 aprile 2005, giorno della sua elezione, Benedetto XVI ha guidato la Chiesa universale per 7 anni, 10 mesi e 9 giorni».

Si legge così, sotto la data di giovedì 28 febbraio 2013, nel bollettino ufficiale della Radio Vaticana che annuncia gli impegni del Papa. Bisogna ammettere che fa una certa impressione. Forse neppure il cronista più smaliziato avrebbe immaginato che un giorno la notizia sarebbe stata questa. Eppure ci siamo arrivati. E ci siamo arrivati con il Papa che per tanto tempo è stato dipinto come conservatore. È la riprova che le categorie di "progressista" e "conservatore" valgono poco quando si parla di pontefici e, più in generale, di rappresentanti della gerarchia cattolica. La lettura, per forza di cose, deve sempre essere più complessa. Ma è anche la riprova del fatto che questo Papa e questo pontificato andranno analizzati con attenzione per capirne il ruolo e la portata. Colui che era stato scelto per rimettere in linea di galleggiamento una barca di Pietro sballottata da "qualsiasi vento di dottrina", in realtà non si è limitato a questo. L'"umile lavoratore nella vigna del Signore" non ha messo mano soltanto alle fondamenta dell'edificio. Gli ha dato anche una bella rinfrescata. In almeno due modi: prima combattendo lo scandalo pedofilia e poi rinunciando al pontificato. Con la prima battaglia ha dimostrato che certi peccati non sono ineluttabili e che un'opera di purificazione può essere condotta con i fatti e non solo a parole. Con la scelta della rinuncia ha ricordato che il Papa è al servizio della Chiesa e non viceversa. La funzione del successore di Pietro è di servizio (per questo si chiama servizio petrino), e un servizio lo si può svolgere al massimo grado proprio facendosi da parte, proprio tornando a separare l'uomo (in questo caso Joseph Ratzinger) dalla funzione di Papa che gli era stata conferita dai cardinali sotto ispirazione dello Spirito Santo.

È una quaresima davvero speciale quella che stiamo vivendo. E il professor Ratzinger, con questa sua ultima lezione, sta dicendo qualcosa che forse capiranno bene solo i nostri figli e nipoti. È qualcosa che riguarda la Chiesa, certamente, ma anche l'idea stessa di potere. E non è certamente un caso, per chi ha una visione provvidenziale della vita e della storia, che questa lezione ci arrivi proprio mentre in Italia, il Paese nel quale il Papa ha la sua sede, il potere politico sta vivendo una fase tanto avvilente.

Che cos'è il potere? È un dominare o un proteggere? Che cosa vuol dire avere la potestà? È qualcosa che attiene più alla forza o all'accoglienza? Più al possesso o al dono? Come può e deve cambiare l'idea di potere oggi?

Riflettere sul potere a tutti i livelli: in politica, nel lavoro, in famiglia. Papa Benedetto, che per sette anni, dieci mesi e nove giorni ci ha spinti a interrogarci su tante questioni fondamentali per l'uomo e per le comunità (che cos'è la verità, che cosa vuol dire essere razionali, che cosa ci potrà tenere uniti) ci consegna ora un ultimo compito. Svolgerlo, come sempre, non sarà facile. Provarci, almeno un po', sarà l'unico modo per onorare questo Papa timido e grande.

Aldo Maria Valli

© www.vinonuovo.it, 28 febbraio 2013

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