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Verso Bari 2020. In Egitto i cristiani nel mirino. «Ma la paura non ci ferma»

Il patriarca copto cattolico Sidrak: «Basta avidità e sfruttamento. Vogliamo dignità e pace. I grandi Paesi ci aiutino a crescere e a restare nelle nostre terre»

Di fronte alla chiesa una camionetta dell’esercito presidia gli ingressi. I militari hanno il mitra sotto il braccio ma il loro volto è sereno. Per entrare all’interno bisogna superare prima un checkpoint e poi i controlli che includono anche l’ispezione con il metal detector. È stato un Natale “blindato” quello che hanno vissuto i cattolici in Egitto. Come lo è stato per i copti ortodossi che hanno celebrato la Natività il 7 gennaio. Non è una novità. Da quando le chiese sono finite nel mirino degli estremisti, gli attentati sono considerati “probabili” soprattutto durante le festività religiose. «Certo che viviamo nella paura. Ma ogni atto terroristico non è solo contro i cristiani: è contro l’intero Egitto e i suoi progressi», spiega il patriarca copto cattolico Ibrahim Isaac Sidrak.

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Anche la Messa di notte che lui ha presieduto è stata all’insegna della massima sicurezza. «È innegabile – aggiunge – che gli islamisti abbiano sete di potere. E minano il Paese, partendo dai più deboli: le minoranze religiose. Se viene attaccata una chiesa, l’evento ha un’eco mondiale. E fra gli effetti che l’attuale clima di tensione produce c’è anche la fuga dei cristiani». Il patriarca torna al recente passato. «Sì, soffriamo e abbiamo sofferto. Ma anche gli stessi musulmani sono vittime di questa furia insensata, come dimostra il raid a una moschea nel Sinai. Chi non è sulla lunghezza d’onda dei terroristi diventa un bersaglio». Una pausa. «L’inquietudine ci segna – afferma il patriarca –. Di sicuro negli ultimi 60 o 70 anni gli estremisti hanno lavorato in modo sotterraneo, soprattutto nei quartieri popolari, arrivando a fare autentici lavaggi del cervello. Ecco perché la prima sfida è quella formativa. Poi ci sono la povertà, la disoccupazione e l’ignoranza che favoriscono l’opera di quanti non hanno a cuore il Paese».

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Sessantaquattro anni, originario dell’Egitto centrale, Sidrak è stato eletto patriarca di Alessandria dei copti il 15 gennaio 2013 e tre giorni dopo Benedetto XVI gli ha concesso l’ecclesiastica communio. Nella veste di presidente dell’Assemblea della gerarchia cattolica d’Egitto, parteciperà all’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” promosso dalla Cei che porterà a Bari dal 19 al 23 febbraio i vescovi delle Chiese affacciate sul grande mare e che sarà concluso da papa Francesco. «Se c’è un peculiare contributo che il nostro Paese può offrire all’intero bacino mediterraneo, è la capacità di abitare le diversità. Siamo in un contesto musulmano ma la storia ci insegna che la convivenza è possibile». Eppure è difficile essere oggi cristiani in Egitto. Per di più se si è cattolici: circa 300mila su 97 milioni di abitanti che per quasi il 90% sono musulmani. «Testimoniare il Vangelo è complicato ovunque nel mondo. E qui in particolare: noi cattolici siamo uno sparuto gruppo, stretto fra gli islamici e gli ortodossi. Inoltre le condizioni sociali non aiutano: attraversiamo una profonda crisi economica che porta a lasciare la nostra terra. Eppure nascono nuove città o quartieri che ci sollecitano anche dal punto di vista pastorale. E una parte dei nostri fedeli giunge dall’alto Egitto dove domina la miseria. Ma non ci scoraggiamo. Vogliamo impegnarci per tutta la nazione, anche attraverso quelli che sono i nostri principali campi d’intervento: l’educazione e la sanità».

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Proprio il 26 dicembre il governo ha annunciato di voler concedere la personalità giuridica alla Chiesa cattolica egiziana. E lo scorso settembre è stato legalizzato lo status di centinaia di chiese. Del resto, sotto il presidente al-Sisi, lo Stato consente di costruire nuovi luoghi di culto. «È un segno di cambiamento – fa sapere Sidrak –. E mostra come i cristiani stiano diventando cittadini alla pari degli altri. Anche il fatto che al-Sisi o i suoi rappresentanti siano stati presenti alle celebrazioni di Natale dice che si stanno compiendo passi in avanti. Da noi c’è libertà di culto ma non di abbracciare un’altra fede. Però le conversioni avvengono, grazie a Dio». Segna alti e bassi il barometro delle relazioni con i “fratelli” ortodossi. «Prevale l’atavico timore verso l’altro – confida il patriarca –. Ancora si addita il cattolico e si incoraggia a non frequentarlo. Poi resta forte l’eredità lasciata dal pope Shenuda che per quaranta anni ha plasmato un modo di pensare. I frutti sono amari. Con l’attuale pope Tawadros II, la situazione è migliorata: lui è stato educato in ambiente cattolico, cerca di fare il suo meglio ma ha difficoltà. Anche sul tema dei “ribattesimi” è stato tentato un accordo che è saltato all’ultimo momento».


Sidrak non usa il termine “persecuzione” quando parla dei cristiani in Egitto. «Preferisco ricorrere al vocabolo “discriminazione”. Si viene discriminati sul lavoro, ad esempio, o anche nell’esercito». Eppure all’ombra delle piramidi il dialogo con l’islam è possibile. Anche sulla scia della visita del Papa al Cairo nel 2017 con l’incontro nell’università di al-Azhar e poi del Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi. Il presule cita entrambe le tappe. «Le parole di Francesco, la sua personalità, i suoi gesti facilitano i rapporti. Nel dialogo con i musulmani non possiamo trattare questioni di fede. Invece la strada è quella del dialogo della vita. Viviamo lo stesso spazio; affrontiamo identici problemi e sofferenze; siamo gli uni accanto agli altri. E il dialogo parte proprio dalla condivisione del quotidiano. Ricordo, come vescovo di Minya, l’impegno comune per i detenuti. Ciò significa che la conoscenza reciproca, l’agire insieme, il rispetto ci avvicinano. Aggiungo che le opere cattoliche in ambito sanitario, educativo o sociale sono un avamposto di incontro e provano che la fraternità non è utopia».

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Anche l’Egitto è toccato dall’onda delle migrazioni. C’è chi lascia il Paese; e chi, al contrario, arriva in cerca di un futuro nuovo. «Si parte per ragioni economiche, per lo più. Tuttavia il Paese è anche punto di approdo per chi fugge dall’Africa subsahariana. Tutto ciò alimenta la tratta di esseri umani con trafficanti senza scrupoli che sfruttano i dolori degli ultimi». Il patriarca alza lo sguardo. «In questi mesi – prosegue – si discute molto se e come si debba accogliere i profughi. E ci sono governi occidentali che si sono accordati con l’Egitto per evitare che i migranti raggiungano i loro territori. Non è la soluzione. Vanno indagate le ragioni. E, se devo indicare il problema di fondo, dico che è l’ingiustizia: non può essere consentito di sfruttare i Paesi. L’Europa, gli Usa, la Russia e anche la Cina agiscono nell’area solo per interesse. Perché gli Stati Uniti attaccano? L’avidità non deve dettare legge». Nel testo di preparazione all’Incontro di Bari viene ricordata un’intuizione di Paolo VI secondo cui “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. «Se l’Occidente consentisse ai popoli di crescere – riflette Sidrak – gli equilibri del pianeta sarebbero meno instabili. Mi piace ripetere: aiutateci a restare nelle nostre terre. Non è giustizia farci l’elemosina, ma permetterci di progredire. Anche questo è Vangelo». Il patriarca tira fuori un appunto. C’è una frase di Anthony de Mello. «Faccio mio ciò che sostiene lo scrittore gesuita. “Queste cose distruggeranno la razza umana: la politica senza principi; il progresso senza compassione; la ricchezza senza lavoro; il culto senza consapevolezza”. Meditiamo...».

Sidrak, patriarca di Alessandria dal 2013

Ibrahim Isaac Sidrak è patriarca cattolico di Alessandria dei copti da sette anni. Nato nel 1955, è originario di un villaggio nel governatorato di Asyut, nell’Egitto centrale. È stato ordinato sacerdote nel 1980. Dopo un primo incarico nella parrocchia dell’Arcangelo Michele al Cairo, ha proseguito gli studi alla Pontificia Università Gregoriana di Roma dove ha conseguito il dottorato in teologia dogmatica. Dal 1990 al 2001 è stato rettore del Seminario di Maadi. È stato nominato eparca di Minya nel 2002 quando ha anche ricevuto la consacrazione episcopale. Dopo le dimissioni del patriarca Antonios Naguib, è stato eletto nel 2013 a succedergli dal Santo Sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica copta.

Giacomo Gambassi

© Avvenire, lunedì 13 gennaio 2020

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