Zio Girolamo: metti un asino nel motore

Da  quando era arrivato a Sesto San Giovanni, zio Girolamo non aveva  conosciuto un giorno di disoccupazione. Lavorava dieci ore senza  fermarsi nemmeno a bere un bicchiere d’acqua e certe volte faceva pure  gli straordinari. «Ho da comperare la Cinquecento caffellatte» spiegava  ai colleghi della Breda, quando lo invitavano a ballare. Era l’estate in  cui un giovane dalla pelle nera correva di notte, in mezzo alle torce  accese, chilometri e chilometri a piedi nudi nelle strade di Roma e zio  Girolamo si godeva queste scene alla tv del bar. «Cari genitori –  scriveva per lettera al padre e alla madre – qui non manca niente. State  tranquilli se pensate a me. Voglio acquistare una Cinquecento  caffellatte, così vi porterò a visitare la città di tubi e ciminiere il  giorno che verrete a trovarmi». Zio Girolamo non aveva vizi: non fumava,  non beveva, non andava a donne e, se gli veniva voglia di un film,  preferiva le sale parrocchiali, dove non c’erano biglietti da pagare,  solo un’offerta, che era sempre un bel risparmio rispetto al cinema.
Era  l’unico lusso che si concedeva in una vita di sirene, turni e ferie  estive. «Ho già messo gli occhi sull’auto» assicurava agli amici, «devo  solo arrivare al denaro esatto». Ma passarono un bel po’ di anni prima  che zio Girolamo riuscisse ad accomodarsi in una Cinquecento caffellatte  decapottabile, con la coda di volpe sul cruscotto e la tromba del  clacson che faceva potipotipotipò. L’unico inghippo era che la  benzina costava troppo. Come faccio a rifornirmi all’Agip, si domandava,  se vado in giro a consumare soldi? A chi gli suggeriva che era da  manicomio possedere un’automobile e non usarla, zio Girolamo lo invitava  nella baracca dove abitava, dalle parti della grande acciaieria. Era un  guazzabuglio di arnesi che andava recuperando qua e là, ma non colpiva  tanto il disordine, quanto il tappeto di paglia, in un angolo, su cui  dormiva disteso un asino. «Vedi questo animale? L’ho comprato alla fiera  di Villa Cortese e non mi è costato tanto. Se ho voglia di fare una  passeggiata, prendo una corda, lo attacco davanti alla Cinquecento e mi  faccio trainare». Era vero. La domenica mattina, mentre bevevano  l’aperitivo al bar e giocavano a scala quaranta, gli amici vedevano  comparire zio Girolamo in piedi nell’automobile caffellatte, con il  busto che usciva dal tettuccio mentre tirava le redini. «Ehilà Girolamo,  ma la bestia mangia o non mangia?». Zio Girolamo sapeva dove volevano  arrivare con una simile domanda: il denaro che spendeva per l’animale  non poteva consumarlo per la benzina? Ma non si lasciava ingannare e  rispondeva con uno dei suoi ragionamenti: «Io ho due vetture, l’asino e  la Cinquecento, una mi ricorda mio padre, l’altra mio figlio che avrò  appena mi sposo. Siccome un figlio ancora manca, preferisco usare  l’asino che si accontenta di una carruba al giorno e una carruba al  giorno costa meno della benzina».
Era un azzardo seguire zio  Girolamo quando faceva il filosofo, meglio non contraddirlo. Nel  frattempo, se scriveva ai suoi genitori, andava a pescare le parole in  fondo a un bicchiere di grappa: «Miei amatissimi padre e madre, qui sono  sistemato bene, c’è lavoro per tutti, giovani e vecchi, e io che ho  comprato un’automobile mi sento un signore. Quando verrete a trovarmi,  vi farò conoscere il paradiso dove vivo». I genitori, per un motivo o  per un altro, non andarono mai da lui. «Teniamo la tosse – rispondevano –  la vigna ha bisogno del nostro lavoro, la terra non può fare a meno  delle nostre braccia». E il tempo passava senza aver visto la  Cinquecento caffellatte, anzi con il rammarico che il paradiso dove  abitava il figlio cambiava troppo in fretta per le loro gambe di vecchi.
Per  fortuna le lettere da Sesto San Giovanni arrivavano puntuali: «Oggi si è  avvicinata una ruspa di fronte a casa, ha sterrato il terreno,  dopodiché un geometra ha tirato le linee per un capannone». Il mese  seguente zio Girolamo annunciava: «Dentro il capannone hanno portato le  macchine filettatrici. Dopo un altro mese aggiungeva: Sono finiti i  lavori e adesso gli operai entrano ed escono da questi capannoni a tutte  le ore. Che grande invenzione la modernità!». Anche zio Girolamo faceva  a meno di scendere in Bassitalia a trovare i genitori. La spesa per il  viaggio era impegnativa, la benzina era cara, anzi adesso c’era la crisi  e la Cinquecento caffellatte non era ancora stata messa in moto una  sola volta perché tanto c’era l’asino, meno male, che costava meno della  benzina. Purtroppo l’asino morì, zio Girolamo non riuscì a trovarne un  altro, pur girando fiere nei giorni di festa, e si rassegnò a non  toccare l’automobile. I gatti avevano scoperto un buco tra le lamiere e  usavano l’abitacolo come tana. Tra il volante e il cambio si allargava  un palmo di ragnatela e i moscerini finivano tutti per impigliarsi  sopra.
Zio Girolamo ogni tanto appoggiava il mento, spiava, poi  sentiva il rumore della grande acciaieria e scuoteva la testa. Rimaneva  convinto che la modernità fosse una grande invenzione, ma sulla sua  baracca il sole non arrivava più perché dopo il capannone si erano  aggiunte altre scatole di cemento. Un giorno il capo del personale lo  chiamò nel suo ufficio e gli disse, serio serio, che all’altro lato  della terra, proprio dove c’erano cammelli e deserto, avevano chiuso i  rubinetti del petrolio e non c’era più bisogno del suo lavoro. Da allora  fuori dai cancelli della grande acciaieria appesero un cartello con la  scritta: licenziamento. Zio Girolamo vedeva crescere le erbacce, contava  i camion che andavano a caricarsi i macchinari nei capannoni e faceva  le sue pensate: se queste scatole di cemento resteranno vuote, sai  quanti animali si potrebbero chiudere dentro! Anche gli amici erano  invecchiati, però non avevano perso l’abitudine di fermarsi al bar per  una partita a carte, alzavano i bicchieri di bianchino in aria e  ridevano fra loro: cin cin, cin cin...
Zio Girolamo invece  continuava a macinare nella mente discorsi che preferiva non  pronunciare, se li teneva di riserva per il giorno del ritorno degli  asini. «Ehilà Girolamo, quando ti vedremo di nuovo sulla Cinquecento ti  candidiamo a sindaco». Zio Girolamo rispondeva: «A farsi fottere la  modernità!» Aspettava la vendetta. E la vendetta arrivò. Un mattino gli  amici si erano incontrati per il solito bianchino. Avevano i capelli  grigi e, se uno li avesse fotografati, non avrebbe riconosciuto in loro i  ragazzi che avevano lavorato per anni nella grande acciaieria. Appena  sentirono ragliare un asino, si affacciarono sulla strada e sgranarono  gli occhi: era zio Girolamo a bordo della Cinquecento caffellatte.
«Avete saputo?»
«Saputo cosa?»
«La benzina è finita».
«A furia di stare con gli asini, sei riuscito a rassomigliare a loro. Che vuoi dire?».
«I  distributori sono chiusi» spiegò zio Girolamo. «Secchi come innaffiatoi  abbandonati al sole. Mentre le fiere sono piene di asini e costano pure  tanto. Ormai li comprano tutti per farsi trainare».
 
            